Obbligo di trasmissione all’ENEA delle ristrutturazioni assistite da detrazione fiscale che comportano risparmio energetico (interventi 2018)

ENEA ha messo on line un nuovo portale dedicato alle ristrutturazioni edilizie 2018 (articolo 16bis DPR 917/86) che comportano un risparmio energetico e l’utilizzo delle fonti rinnovabili di energia.

Occorre registrarsi, inserire i propri dati e quelli dell’immobile oggetto di ristrutturazione, indicare i lavori eseguiti e inviare il tutto entro 90 giorni dal termine dei lavori o dal collaudo.  Il portale è raggiungibile all’indirizzo www.ristrutturazioni2018.enea.it

Il portale consente di trasmettere i dati relativi a lavori completati entro fine 2018. Ecco quali sono con precisione gli interventi che danno diritto alla detrazione al 50% che vanno comunicati all’Enea:

Strutture edilizie

riduzione della trasmittanza delle pareti verticali che delimitano gli ambienti riscaldati dall’esterno, dai vani freddi e dal terreno;

  • riduzione delle trasmittanze delle strutture opache orizzontali e inclinate (coperture) che delimitano gli ambienti riscaldati dall’esterno e dai vani freddi;
  • riduzione della trasmittanza termica dei Pavimenti che delimitano gli ambienti riscaldati dall’ l’esterno, dai vani freddi e dal terreno;

Infissi

riduzione della trasmittanza dei serramenti comprensivi di infissi che delimitano gli ambienti riscaldati dall’ esterno e dai vani freddi;

Impianti tecnologici

  • installazione di collettori solari (solare termico) per la produzione di acqua calda sanitaria e/o il riscaldamento degli ambienti;
  • sostituzione di generatori di calore con caldaie a condensazione per il riscaldamento degli ambienti (con o senza produzione di acqua calda sanitaria) o per la sola produzione di acqua calda per una pluralità di utenze ed eventuale adeguamento dell’impianto;
  • sostituzione di generatori con generatori di calore ad aria a condensazione ed eventuale adeguamento dell’impianto;
  • pompe di calore per climatizzazione degli ambienti ed eventuale adeguamento dell’impianto;
  • sistemi ibridi (caldaia a condensazione e pompa di calore) ed eventuale adeguamento dell’impianto;
  • microcogeneratori (Pe<50kWe);
  • scaldacqua a pompa di calore;
  • generatori di calore a biomassa;
  • installazione di sistemi di contabilizzazione del calore negli impianti centralizzati per una pluralità di utenze;
  • installazione di sistemi di termoregolazione e building automation;
  • installazione di impianti fotovoltaici.

Elettrodomestici

(solo se connessi a un intervento

di recupero del patrimonio edilizio

iniziato dal primo gennaio 2017)

forni,

frigoriferi,

lavastoviglie,

piani cottura elettrici,

lavasciuga,

lavatrici.

Tutti gli interventi effettuati nel 2018, entro la data del 21 novembre (giorno di apertura del portale), devono essere trasmessi entro il 19 febbraio 2019.

 

 

eFattura di Tommaso Guerra e Simona Vignudelli

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Come funziona la fatturazione elettronica?
Qual è l’impatto nelle procedure aziendali?

Tommaso Guerra – Simona Vignudelli

Valutazioni, casi pratici, analisi cicli attivi e passivi.
Che cosa deve fare l’azienda per adeguare le proprie procedure interne?

Questo libro è frutto di riunioni e incontri con varie aziende, studi professionali, case di software, incontri a cui, come professionisti e consulenti in genere abbiamo partecipato per traghettare i nostri clienti e i nostri studi professionali verso una gestione digitale della documentazione.
Oltre a una presentazione generale della normativa e delle procedure telematiche (ampiamente riportata in pubblicazioni, convegni e stampa di settore) in queste pagine vogliamo soprattutto fare emergere la necessità di analizzare gli aspetti organizzativi/procedurali in essere all’interno delle aziende: processi che devono essere completamente rivisti alla luce della nuova normativa in materia di fatturazione elettronica obbligatoria a partire dall’1 gennaio 2019.
All’interno dei capitoli troverete il paragrafo “Aspetti operativi” in cui riportiamo valutazioni, idee, domande emerse nel corso dei nostri incontri presso le aziende. Siamo quasi certi che a qualche cosa non avevate pensato e forse, vi verrà in mente qualcosa a cui noi non abbiamo pensato.

INDEBITE COMPENSAZIONI MODELLI F24

Con il provvedimento direttoriale protocollo n. 195385/2018 del 28 agosto 2018, Agenzia delle entrate comunica l’avvio, a decorrere dal prossimo 29 ottobre 2018 della procedura che permette all’Agenzia di sospendere, per un massimo di 30 giorni, l’esecuzione dei modelli di pagamento F24 che contengono compensazioni che presentano profili di rischio.

Il profilo di rischio è legato ad alcuni elementi quali la tipologia dei debiti pagati e dei crediti compensati, coerenza dei dati indicati, dati presenti nell’anagrafe tributaria o resi disponibili da altri enti pubblici, analoghe compensazioni effettuate in precedenza, pagamento debiti iscritti a ruolo.

Se il controllo automatizzato è positivo (non vi sono profili di rischio) la delega si intende correttamente presentata, le compensazioni ed i versamenti sono considerati effettuati alla data indicata nel file inviato

Se il controllo automatizzato è negativo (ovvero vengono riscontrati problemi nell’utilizzo in compensazione dei crediti fiscali) la delega di pagamento non è eseguita e i versamenti e le compensazioni si considerano come non effettuati.

Notizie a cura di

MDV – Tax Consulting Commercialisti
Dott. Comm. Enrico Marangoni – Dott. Comm. Marco Dalfiume – Dott.Comm Simona Vignudelli
Via Zanotti 19 | 40137 Bologna | C.F. / P.IVA 02811121207
Mail: segreteria@mdvtax.it | Tel e Fax: +39 051-227265
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SCADENZE FISCALI: 31 ottobre 2018 – Invii telematici

Invio telematico dichiarazioni Unico PF, Unico SP, Unico SC (con esercizio solare), Irap e CNM
Invio telematico dichiarazione 770/2018

 

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SCADENZE FISCALI: 22 ottobre 2018 – Invio comunicazione credito imposta per investimenti pubblicitari

Termine ultimo per invio comunicazione telematica credito imposta per investimenti pubblicitari incrementali: dichiarazione sostitutiva per spese sostenute nel 2017 e comunicazione per l’accesso al credito per spese sostenute/da sostenere nel 2018

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Nasce oggi ASPPI ON CLOUD

Con la pubblicazione di bologna.asppioncloud.il prende corpo il progetto  ASPPIonCloud a cura di ASPPInext

Le novità del sito sono legate soprattutto alla comunicazione con il socio, che ora avrà un quadro chiaro dei Servizi, delle attività di Consulenza, delle molteplici Convenzioni e delle Iniziative culturali e sociali. Grazie al nuovo sito sarà più semplice la comunicazione fra socio e sede ASPPI: il socio non avrà difficoltà a trovare a quali servizi, a quali sedi e a quali iniziative aderire.

Lo spirito con cui venne fondata settant’anni fa l’associazione si rinnova e i soci e le sedi ASPPI saranno in grado di sfruttare positivamente le potenzialità della comunicazione digitale.

Grazie ad ASPPIonCloud le singole sedi ASPPI , potranno sviluppare una strategia web e mobile condivisa e razionale, rinforzando la presenza sul web dei servizi ASPPI su tutto il territorio nazionale con  un appropriato utilizzo di tutti gli strumenti digitali. La ridefinizione e il coordinamento della visibilità del marchio ASPPI sul web e l’uso professionale di strumenti e metodologie per la gestione del mondo digitale porranno le sedi ASPPI come avangardia nella innovazione tecnologica dei servizi per il cittadino.

Ulilizzando la posta elettronica (assistenza@asppinext.it) o scrivendo direttamente sul sito, vi saremo grati se ci segnalerete correzioni, miglioramenti e idee per migliorare il nuovo sito e per contribuire a rendere la nostra Associazione una vera comunità di cittadini del nuovo millennio.

Amedeo Pangrazi

Presidente ASPPInext srl

 

Compravendita Il​ ​deposito​ ​Prezzo​ ​presso​ ​il​ ​Notaio

Dal 29 agosto 2017 è entrata in vigore la Legge 124/2017 avente ad oggetto la nuova normativa del “deposito prezzo”. Tale normativa rientra in quella linea di tutela e garanzia della circolazione degli immobili che è iniziata con la legge di conformità catastale del 30 luglio 2010 n.122, è proseguita con l’obbligo della dotazione della certificazione energetica e dal 1 settembre 2017 con l’ulteriore prassi di produrre alla stipulazione notarile la “relazione tecnica integrata urbanistico edilizia e di conformità catastale.” (Prassi perchè non è per legge ma per disposizioni dei singoli ordini notarili).

La normativa del “deposito prezzo” stabilisce che su richiesta di una delle parti contraenti il prezzo della compravendita possa essere depositato su un conto corrente dedicato e vincolato al pagamento delle tasse, bolli e diritti degli Uffici, a cura del Notaio, finchè lo stesso non abbia provveduto agli adempimenti di legge .All’indomani della trascrizione della compravendita e dopo aver verificato ulteriormente la libertà da ipoteche, il prezzo viene consegnato dal Notaio stesso al venditore. Tale procedura che è sicuramente una garanzia per un compratore il cui venditore è in crisi economica, con possibilità di iscrizioni di ipoteche da parte di creditori o di Equitalia, ha però qualche controindicazione per le compravendite prive di complicazioni.

Il Notaio per poter effettuare gli adempimenti e successivo svincolo dei soldi ha necessità di tempi tecnici che pur non superando due o tre giorni, forse qualche giorno di più in caso di festività possono ostacolare il venditore che vuole contestualmente acquistare a sua volta un nuovo immobile subito dopo la vendita. Lo stesso infatti non è di fatto in possesso del corrispettivo da poter utilizzare per il suo acquisto e deve inoltre corrispondere al Notaio un ulteriore compenso per la procedura del deposito prezzo che va annotato nel registro somme e valori disciplinato dalla normativa sui Notai. Con tale normativa non vi è alcun rischio di una mancata restituzione del corrispettivo da parte del Notaio in quanto la somma stessa viene versata in un “conto dedicato” apposito, impignorabile ed utilizzato dal professionista esclusivamente per tale fine. La disciplina è per fortuna facoltativa perchè nella prassi commerciale avviene spesso che il venditore intenda immediatamente acquistare un nuovo immobile.

Legge di Bilancio: i bonus edilizi per il 2018

Tante le novità contenute nella legge di Bilancio 2018 per i bonus edilizi. Oltre alla proroga della detrazione IRPEF del 50% per le ristrutturazioni e del bonus mobili, la Manovra ha riscritto le regole per l’ecobonus. Dal 2018, l’aliquota sarà differenziata a seconda della tipologia di intervento. Si amplia anche la possibilità di cessione del credito, che riguarda anche gli interventi effettuati sulle singole unità immobiliari e non solo i condomìni.

Nel 2018 debuttano, inoltre, il nuovo bonus verde per i giardini e una maxi-detrazione per interventi di messa in sicurezza sismica finalizzati anche alla riqualificazione energetica. Quali sono le altre agevolazioni nel 2018? Nel 2018, è molto articolato il ventaglio dei bonus edilizi. Il quadro è cambiato con la legge di Bilancio 2018 che, oltre alla proroga della detrazione IRPEF del 50% per le ristrutturazioni e del bonus mobili, ha riformato in parte la disciplina dell’ecobonus e ha introdotto nuove agevolazioni. Ristrutturazioni edilizie Fino al 31 dicembre 2018, i contribuenti che effettuano lavori di ristrutturazione edilizia potranno contare sulla detrazione IRPEF “potenziata” del 50% delle spese sostenute, fino ad una soglia massima di 96.000 euro per unità immobiliare. Dal 1° gennaio 2019, salvo proroghe, la detrazione tornerà alla misura ordinaria del 36% e con il limite di 48.000 euro per unità immobiliare. Bonus mobili Per tutto il 2018 si potrà fruire anche del bonus mobili, ossia la detrazione dall’IRPEF del 50% per l’acquisto di mobili ed elettrodomestici destinati all’arredo di immobili ristrutturati. Per gli acquisti che si effettueranno nel 2018, l’agevolazione compete solo con riferimento agli interventi di recupero del patrimonio edilizio iniziati a partire dal 1° gennaio 2017. La detrazione spettante, da ripartire tra gli aventi diritto in 10 quote annuali di pari importo, deve essere calcolata su un ammontare complessivo di spesa non superiore a 10.000 euro. Per gli interventi di ristrutturazione iniziati nel 2017 e proseguiti nel 2018, l’importo massimo di 10.000 euro deve essere considerato al netto delle spese sostenute nel 2017 per le quali si è già fruito della detrazione.

Ecobonus Ricco di novità si presenta l’ecobonus nel 2018. Innanzitutto, con la legge di Bilancio 2018, il bonus è confermato fino alla fine del 2018 per i lavori effettuati sulle singole unità immobiliari, mentre per i lavori in condominio, come previsto dalla legge di Bilancio 2017, il bonus proseguirà fino al 31 dicembre 2021 anche nella misura potenziata del: – 70% per interventi sulle parti comuni degli edifici condominiali che interessano l’involucro dell’edificio con un’incidenza superiore al 25% della superficie disperdente lorda dello stesso edificio; – 75% per interventi sulle parti comuni degli edifici condominiali diretti a migliorare la prestazione energetica invernale ed estiva e che conseguono almeno la qualità media indicata nel decreto del Ministro dello sviluppo economico del 26 giugno 2015 (Linee guida nazionali per la certificazione energetica). Per le detrazioni del 70 e 75%, il tetto di spesa è pari a 40.000 euro moltiplicati per il numero di appartamenti che compongono il condominio interessato dai lavori di efficientamento. Nuova articolazione per l’ecobonus Altra modifica apportata dalla legge di Bilancio 2018 alla disciplina dell’ecobonus riguarda la misura della detrazione.

Dal 2018, la percentuale agevolativa non è più unica, pari al 65%, ma è differenziata a seconda della tipologia di intervento. In particolare, lo sconto scende dal 65% al 50% per le spese sostenute dal 1° gennaio 2018 per: – l’acquisto e la posa in opera di finestre comprensive di infissi; – l’acquisto e la posa in opera di schermature solari; – la sostituzione di impianti di climatizzazione invernale con impianti dotati di caldaie a condensazione con efficienza almeno pari alla classe A di prodotto, prevista dal regolamento (UE) n. 811/2013.

Asppi Genova: idee per «l’Agenzia Sociale per la Casa»

Il 27 febbraio presso il Salone di Rappresentanza del Comune di Genova si è svolto il dibattito pubblico “Fisco e immobili: le novità della legge di Stabilità 2016. Quale futuro per l’Agenzia Sociale per la Casa”, al quale la nostra Associazione è stata invitata a partecipare per esprimere il punto di vista della proprietà immobiliare. L’incontro ha suscitato un significativo interesse in termini di partecipazione e ha visto la presenza di rappresentanti sia delle Istituzioni locali che nazionali, in particolare, Pippo Rossetti, Vice Presidente del Consiglio Regionale della Liguria, Cristina Lodi e Alberto Pandolfo, rispettivamente, Presidente della Commissione delle Politiche Abitative e della Commissione Bilancio del Comune di Genova, promotori dell’iniziativa, Marco Causi, deputato della Commissione Finanze. La riflessione è partita dall’analisi puntuale dei diversi aspetti affrontati dall’ultima finanziaria in tema di politiche abitative, che hanno rappresentato complessivamente quell’inversione di tendenza in materia di fiscalità immobiliare per la quale ASPPI ha lottato in questi anni, contribuendone al raggiungimento grazie al suo costante impegno politico-sindacale. All’interno del dibattito centrali sono stati i temi riguardanti l’eliminazione della tassazione sulla prima casa, la riconferma, nella loro ampiezza e portata, delle detrazioni per le ristrutturazioni edilizie e per la riqualificazione energetica degli edifici e le agevolazioni previste per le aliquote IMU in sede locale sui contratti a canone concordato. Abbiamo accolto con favore la possibilità di esprimere il nostro punto di vista, critico e puntuale sui diversi temi, che ne ha evidenziato margini di miglioramento e lacune da colmare, in primis la totale assenza di interventi in materia di locazioni ad uso diverso dall’abitativo, tema totalmente assente nelle politiche dei vari Governi succedutisi negli ultimi 20 anni. La nostra associazione ha voluto preliminarmente analizzare ed evidenziare come è composta e da chi è rappresentata la proprietà immobiliare nel nostro Paese: in maniera molto spesso superficiale si identifica come parte della popolazione appartenente a ceti medio alti. I dati statistici ci presentano, invece, una realtà molto diversa, oggi i proprietari di immobili sono in gran parte pensionati, impiegati e operai che spesso faticano a mantenere la propria abitazione principale per l’eccessiva pressione fiscale e per il continuo aumento delle spese di amministrazione e di conservazione dell’immobile; per tale ragione, l’abolizione della tasi sulla c.d. “prima casa” e la riproposizione degli incentivi fiscali sulle ristrutturazioni hanno dato “respiro” proprie alle categorie che sono fortemente penalizzate dalla odierna crisi. Quando si vuole analizzare un fenomeno nel suo complesso, in questo caso la portata degli interventi della manovra in termini di efficacia per la ripresa di un mercato immobiliare, è necessario approfondire anche il contesto di riferimento: in un periodo di sfavorevole e generalizzata difficoltà economica, i proprietari e, in particolare, coloro che concedono un immobile in locazione come fonte primaria di reddito, hanno la necessità di veder garantito l’effettivo rendimento del proprio bene al fine di scongiurare il rischio di svendere o di uscire dal mercato della locazione; per tali ragioni, alcuni provvedimenti della manovra, seppur da incentivare e finanziare per gli anni futuri, possono concretamente agevolare la piccola proprietà immobiliare e dare impulso al sistema delle locazioni. A questo scenario si aggiunge e si affianca il dilagante problema dell’emergenza abitativa, per cui sempre più famiglie, pur non avendo i requisiti per accedere al sistema ERP, non riescono a permanere in maniera automa nel mercato della locazione privata, necessitando di interventi a sostegno della propria condizione abitativa. E’ necessario e improcrastinabile scongiurare il rischio che i costi sociali della crisi si ripercuotano sulla categoria dei proprietari e locatori, già ampiamente compromessa negli ultimi anni. Con queste finalità e sulla base di queste premesse, ASPPI Genova ha sostenuto e promosso, già nel 2011, l’istituzione dell’ Agenzia Sociale per la Casa (quale unica Associazione della Proprietà che ha sottoscritto il protocollo di intesa con il Comune di Genova) e ha lavorato e lavora per la sua diffusione e piena realizzazione. Questo progetto della Agenzia Sociale della Casa è conforme alla nostra idea di locazione ovvero un mercato delle locazioni “low cost”, “low risk” e “low profit”: canoni calmierati con l’incentivo e lo sviluppo sempre maggiore del contratto concordato “low profit”, a fronte di garanzie contro la morosità “low risk” e con una tassazione agevolata “low cost”. Questa è la visione che ASPPI Genova ha proposto all’interno del dibattito, chiamando a “gran voce” il Comune a sviluppare, incentivare e promuovere l’Agenzia Sociale per la Casa, come primario istituto per dare risposte efficaci ai conduttori e certezze ai proprietari. Nel 2014 è stata rinegoziata la Convenzione, allargandone le maglie e introducendo nuovi soggetti promotori, ma ancora i numeri risultano insufficienti: 70 contratti siglati con l’ Agenzia , a fronte di quasi 4000 domande di accesso all’ ERP e circa 100 assegnazioni di immobili di proprietà pubblica. Sulla base di queste argomentazioni, nelle conclusioni dell’incontro, abbiamo riscontrato un impegno e una volontà comune affinchè il rilancio dell’Agenzia Sociale venga affrontato non solo all’interno del dibattito politico ma soprattutto da un punto di vista operativo; questo percorso ci vedrà direttamente coinvolti con l’amministrazione comunale in un processo di nuova organizzazione, con impronta anche manageriale e imprenditoriale, affinchè si possano sviluppare buone pratiche in grado di fornire risposte concrete, nell’interesse non solo dei singoli soggetti ma dell’intera collettività.

ASPPI Bologna e progetto Portici

Il Progetto Portici di Bologna rappresenta un ottimo ‘caso di scuola’ di valore nazionale per testimoniare le capacità propositive di Asppi, l’attitudine a stabilire relazioni positive con Enti Pubblici e soggetti privati, la vocazione a coniugare gli interessi dei proprietari che rappresenta e la difesa del bene e del patrimonio comune. Da tempo si discute di come realizzare le migliori condizioni per far riconoscere ai Portici di Bologna il titolo di Sito Patrimonio dell’Umanità in base al protocollo Unesco. I 58 Km di portici, gran parte dei quali situati nel centro storico, rappresentano una realtà unica sul piano storico, architettonico e culturale certamente suscettibile di valorizzazione sul piano internazionale. Per ottenere questo riconoscimento e, una volta ottenuto, per mantenerlo nel tempo, è però indispensabile realizzare un’importante opera di riqualificazione che richiede impegno ed investimenti cospicui. Di più: si tratta di agire in questo senso partendo dal presupposto che gran parte di questo patrimonio riveste la natura giuridica di patrimonio privato ad uso pubblico, la qual cosa chiama in causa la volontà e la capacità di investimento di molteplici soggetti privati, singoli proprietari e condomini. Al pubblico certo spetta il compito di assecondare in tutti i modi possibili lo sforzo privato che però rimane il motore dell’iniziativa. Di qui prende corpo il Progetto Portici che ha in Asppi Bologna la sua componente trainante come coordinatrice del Progetto in partnership con altri soggetti: Comune di Bologna, Anaci, Resto del Carlino ed altri ancora, firmatari di un Protocollo di Intesa che contempla obiettivi ambiziosissimi: l’apertura di 150 cantieri in 3 anni per realizzare opere di recupero completo e innanzitutto per riportare all’originario splendore le pavimentazioni storiche – spesso vere opere d’arte in battuto veneziano. Il primo passo da compiere è ovviamente il più difficile e su questo si sta manifestando l’impegno più forte dell’Associazione: persuadere i proprietari che l’investimento sulla loro proprietà corrisponde sì ad un interesse generale, ma corrisponde allo stesso tempo all’obiettivo di conferire maggior valore al loro patrimonio e che oggi esistono le condizioni ottimali per farlo: le detrazioni fiscali che possono interessare anche questi lavori, la decisione del Comune di Bologna (che patrocina il progetto) di assicurare velocità nelle procedure, sgravio degli oneri di occupazione del suolo pubblico; infine la possibilità di introitare le entrate pubblicitarie consentite nei cantieri per ridurre i costi di progetto, senza soggiacere al canone di concessione pubblicitaria. Asppi è impegnata in prima fila a garantire l’assistenza necessaria in tutte le fasi di progettazione ed esecuzione delle opere. Il progetto, spiega Enrico Rizzo, presidente di Asppi Bologna, l’associazione dei piccoli proprietari immobiliari, «è il coronamento di un nuovo modo di fare sindacato, di interpretare il nostro ruolo anche con interventi a favore del bene comune, del decoro della città». Interventi che, «valorizzano allo stesso tempo le singole proprietà». Dei circa 40 chilometri di portici del centro storico – bene privato a uso pubblico – circa il 70% è di proprietà di condomìni. Riqualificare il portico, a partire dalla pavimentazione, «significa accrescere il valore dell’immobile che vi affaccia», spiega Rizzo. Mentre, se il contesto è degradato, non curato, «l’immobile perde di valore». La cosa più importante, come racconta il Resto del Carlino (il giornale più diffuso a Bologna) è data dal fatto che il progetto ‘Bologna portici’ comincia il 2016 con il passo giusto. Dei cinquanta cantieri previsti per quest’anno, quindici sono già in agenda al 3 di febbraio. In cinque casi , in alcune vie principali della città– i lavori di rifacimento della pavimentazione sono già terminati. Già oggi, la nostra Associazione, oltre alla soddisfazione per un lavoro ben fatto a beneficio dei proprietari e della città può contare su una ricaduta d’immagine estremamente positiva e utile per approfondire ancor di più il già solido radicamento nella realtà bolognese.

Locazioni commerciali e cedolare secca

Il Presidente Nazionale di Confcommercio Sangalli ha sollecitato pubblicamente Governo e Parlamento ad introdurre la cedolare secca anche per le locazioni commerciali: “Siamo di fronte ha osservato Sangalli ad un vero e proprio rischio di desertificazione dei centri storici e quindi occorre migliorare i processi di pianificazione urbanistica e governance delle realtà cittadine”. “Ma soprattutto ha aggiunto il presidente di Confcommercio la nostra proposta è quella di introdurre la cedolare secca sulle locazioni commerciali per calmierare il prezzo degli affitti”. La presa di posizione di Concommercio non rappresenta una voce isolata: nell’ottobre scorso anche Confesercenti era intervenuta per sostenere la medesima richiesta, nell’ambito di un patto fra Stato, proprietari di immobili ed esercenti di negozi che porti ad un calmieramento degli affitti e alla riqualificazione delle aree commerciali dei centri urbani. Confesercenti, oltre all’introduzione della cedolare secca proponeva la stipula di accordi di locazione a canone concordato anche per i negozi, analogamente a quanto avviene per le abitazioni nei comuni ad alta tensione abitativa. ASPPI ha espresso più volte il consenso a questi obiettivi, da ultimo nel corso della propria Assemblea Nazionale (Torino 13 novembre 2015) alla presenza dei rappresentanti della stessa Confesercenti, di Confedilizia, del Sunia e del Presidente Nazionale dell’Anci Piero Fassino, che hanno condiviso questa impostazione. Il proprietario di un negozio affittato vede infatti eroso dalle imposte statali e locali (Irpef, addizionali comunale e regionale Irpef, Imu, Tasi, imposte di registro e di bollo)anche l’80 per cento del canone di locazione. Introdurre la possibilità di aderire al regime della cedolare secca certo non risolve ma sicuramente allevia un onere che è ormai insostenibile. A questo si aggiunga il regime pesantemente vincolistico a cui sono assoggettate le locazioni commerciali che rende sempre meno conveniente affittare negozi o altri locali destinati ad usi non abitativi. Il fronte di forze che chiedono una modifica di questa situazione è quindi molto ampio. Per noi è necessario che queste forze coordinino i loro sforzi ed esercitino una pressione unitaria per introdurre innovazioni assolutamente ragionevoli e difficilmente contestabili. Asppi si farà promotrice di una iniziativa unitaria che coinvolga le Associazioni che finora si sono espesse in questa direzione per operare assieme ed allargare il campo delle forze disponibili.

Siamo vicini a una svolta nella tassazione dei trust

Le tre sentenze della Corte di Cassazione, le nn. 25478 della V sezione civile del 18 dicembre, 25479 della V sezione civile del 18 dicembre 2015 e 25480 della Sez. tributaria civile del 18 dicembre 2015, affermano, con ragionamento totalmente in linea con le affermazioni dottrinali e delle numerosissime pronunce delle Commissioni Tributarie, che il trasferimento di beni immobili al trustee di un trust non sconta l’imposta proporzionale di registro né le imposte proporzionali ipotecaria e catastale, che sono pertanto dovute nella sola misura fissa. Il trust liberale, afferma la Corte, è totalmente estraneo all’imposta di registro, mentre le imposte ipotecaria e catastale saranno dovute in misura proporzionale soltanto al momento del trasferimento finale dei beni ai beneficiari. La Cassazione, in particolare, afferma che è Illogico applicare subito le imposte proporzionali, visto che non c’è trasferimento di ricchezza a favore di alcuno. È vero che queste sentenze si riferiscono a trust stipulati prima dell’entrata in vigore del D.L. 262/06, che ha reintrodotto le imposte di successione e donazione, ma se non ci s’inganna non vi è alcuna ragione per non applicare gli stessi principi affermati dalla Corte anche ai trust istituiti dopo l’entrata in vigore del d.l. 262/06. I trust istituiti post ottobre 2006 hanno infatti le stesse caratteristiche (ben evidenziate dalla Suprema Corte) di quelli istituiti prima. E le norme in materia di imposte ipotecaria e catastale sono rimaste immutate. Non una, ma ben tre sentenze che affermano i medesimi principi non possono considerarsi casi isolati, ma espressione di un orientamento che ambisce a divenire consolidato, di cui l’amministrazione finanziaria dovrà giocoforza prendere atto, emanando apposite istruzioni agli uffici locali e ritirandosi dalle tante controversie tuttora pendenti. Le sentenze affermano, con un ragionamento in linea con le affermazioni dottrinali e le innumerevoli pronunce delle Commissioni Tributarie, che il trasferimento di beni immobili al “Trustee” non sconta l’imposta proporzionale sia del registro, che dell’ipotecaria e catastale, che sono pertanto dovute nella sola misura fissa. Pertanto, giustamente afferma la Corte che il trust “liberale”, è totalmente estraneo all’imposta di registro, mentre le imposte ipotecaria e catastale saranno dovute in misura proporzionale soltanto al momento del trasferimento finale dei beni ai beneficiari. La Cassazione definisce ed afferma che l’acquisto in capo al trustee è solo un mezzo funzionale alla realizzazione dell’effetto finale successivo consistente nell’attribuzione definitiva del bene al beneficiario, attribuzione quest’ultima che costituisce il presupposto dell’imposta sul trasferimento di ricchezza … sia l’imposta di registro che l’imposta ipotecaria e l’imposta catastale, mancando l’elemento fondamentale dell’attribuzione dei beni al soggetto beneficiario, va considerata estranea al presupposto di imposta indiretta sui trasferimenti in misura proporzionale … accoglie la tesi secondo cui l’atto istitutivo di trust non può annoverarsi nell’alveo degli atti a contenuto patrimoniale per il solo fatto di realizzare un vincolo su beni muniti di valore economico …. Forse una buona occasione per un “rilancio” dell’istituto del trust, tante volte attaccato sulla base di meri pregiudizi.

Pensionati residenti all’estero: le agevolazioni IMU, TASI e TARI

È noto che, a partire dal 2015, i pensionati italiani residenti all’estero beneficiano di particolari agevolazioni in materia di imposta municipale propria (IMU), Tributo per i servizi indivisibili (TASI) e Tassa sui rifiuti. Con le risoluzioni n. 6/ DF e 10/DF il Ministero dell’Economia e delle Finanze ha provveduto a fornire i necessari chiarimenti in merito alla disciplina introdotta dal D.L. n. 47 del 2014, convertito, con modificazioni, dalla Legge n. 80 del 2014.. In particolare, l’art. 9-bis del D.L. n. 47 dispone che l’IMU non trovi applicazione nei confronti dei cittadini italiani all’estero che: • possiedano in Italia – a titolo di proprietà o usufrutto – una unità immobiliare che non risulti locata o data in comodato d’uso, • siano iscritti all’Anagrafe degli italiani residenti all’estero (AIRE), • risultino già pensionati nei rispettivi Paesi di residenza. Pertanto, diversamente dai contribuenti non pensionati residenti all’estero, i pensionati possono beneficiare delle agevolazioni riconosciute ai residenti e beneficiano dell’esenzione IMU tanto sull’immobile in questione, quanto sulle sue pertinenze.Riguardo alle pertinenze dell’abitazione principale, si ricorda che può essere considerata tale soltanto un’unità immobiliare per ciascuna categoria catastale, fino ad un massimo di tre; nel rispetto di tale limite, il contribuente ha la facoltà di individuare le pertinenze cui applicare il regime agevolato. Restano comunque esclusi dall’agevolazione gli immobili rientranti nelle categorie catastali classificate A/1, A/8 e A/9. Con riferimento all’unità immobiliare di cui sopra, è inoltre previsto che, per ciascun anno, le imposte comunali TARI e TASI siano applicate in misura ridotta di due terzi. Nel particolare caso in cui il contribuente risulti proprietario di più abitazioni dislocate in diversi comuni del territorio italiano, è lasciata allo stesso la facoltà di scelta dell’immobile da destinare ad abitazione principale, fermo restando che le altre unità immobiliari andranno considerate come abitazioni diverse da quella principale e, come tali, assoggettate ad imposizione applicando l’aliquota deliberata dal comune per tali tipologie di fabbricati. Al fine di usufruire delle prescritte agevolazioni sono necessari specifici adempimenti amministrativi La scelta dell’immobile da adibire ad abitazione principale deve essere effettuata mediante la presentazione della dichiarazione di cui al D. M. 30 ottobre 2012, barrando il campo 15 relativo alla “Esenzione” e riportando nello spazio dedicato alle “Annotazioni” la seguente frase: “l’immobile possiede le caratteristiche e i requisiti richiesti dal comma 2 dell’art. 13 del D. L. n. 201/2011”. La dichiarazione IMU vale anche ai fini TASI. I Soci che necessitassero di maggiori informazioni in merito alla disciplina applicabile e alle modalità per poter beneficiare dell’esenzione possono rivolgersi alle Sedi dell’Asppi.

Importante novità introdotta dalla Finanziaria 2016

La legge di stabilità 2016 (legge n. 208/2015), pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale del 30 dicembre 2015 ed in vigore dal primo gennaio 2016, ha introdotto nel nostro ordinamento un’importante novità: il leasing immobiliare agevolato per l’acquisto della prima casa (commi 76-84 dell’unico articolo della legge). Questo strumento innovativo può costituire una valida alternativa al mutuo bancario, nonché una misura di stimolo per l’edilizia e il mercato immobiliare, settori duramente colpiti dalla crisi. Con l’operazione di leasing immobiliare l’acquirente stipula un contratto di locazione finanziaria con un banca o un intermediario abilitato (c.d. concedente), che acquista o fa costruire un immobile (su indicazioni dell’acquirente) divenendone proprietario, e a cui l’inquilino-acquirente (c.d. utilizzatore) deve pagare un canone per un periodo prefissato, al termine del quale può acquistare l’immobile al prezzo precedentemente concordato. Se l’utilizzatore recede dal contratto prima della scadenza, il concedente ha diritto alla restituzione del bene. La legge prevede una serie di norme che tutelano l’utilizzatore da eventi sfavorevoli di particolare rilevanza economica, come la perdita del lavoro: in questo caso è infatti possibile sospendere il pagamento del canone per un periodo massimo di 12 mesi senza spese aggiuntive, ma questa opzione è esercitabile una sola volta. In sostanza il leasing immobiliare consiste in un’o¬perazione di finanziamento che consente all’utilizzatore di ottenere la disponibilità di un immobile e di acquistarne, al termine della durata prevista, la proprietà grazie alla provvista messa a sua disposizione da un soggetto abilitato al credito (concedente); ciò a fronte del pagamento di canoni perio¬dici e del prezzo finale di riscatto. L’utilizzatore, anche se non è ancora il proprietario, si assume tutti i rischi e i benefici legati all’utilizzo del bene. Per questo motivo, di norma, nel contratto di leasing è previsto l’obbligo a carico dell’utilizzatore di stipulare apposita polizza assicura¬tiva per danni all’immobile o a terzi. La legge di stabilità ha previsto incentivi fiscali particolarmente favorevoli per l’utilizzatore, cosa che può rendere decisamente preferibile questo strumento rispetto al mutuo tradizionale, purché l’immobile da acquistare venga adibito ad abitazione principale. La finalità della misura è quella di agevolare, specie per i più giovani, l’acquisto della prima casa attraverso l’utilizzo di uno strumento (quello della locazione finanziaria) meno oneroso rispetto al classico mutuo ipotecario. Il leasing immobiliare agevolato è fruibile da soggetti con reddito complessivo non superiore a 55.000 euro e privi di abitazione principale. Per l’individuazione della soglia del reddito si può fare riferimento al reddito dichiarato nel quadro RN 1 dell’ultima dichiarazione dei redditi presentata. Tali soggetti, titolari di contratti di leasing immobiliare stipulati dal 1 gennaio 2016 al 31.12.2020, potranno portare in detrazione dalla dichiarazione dei redditi i costi del leasing “prima casa” in misura più vantaggiosa rispetto alle agevolazioni concesse per mutui ipotecari. In particolare per i giovani che abbiano meno di 35 anni all’atto della stipula del contratto, purché con reddito complessivo non superiore a 55.000 euro, gli incentivi fiscali sono particolarmente favorevoli: una detrazione fiscale del 19% sulle rate pagate fino a un massimo di 8 mila euro annui, nonché sulla maxi rata finale fino a 20mila euro. Invece, per i soggetti con età uguale o superiore a 35 anni e con reddito complessivo non superiore a 55.000 euro, gli incentivi fiscali consistono nella detraibilità pari al 19% dei canoni di leasing fino ad un importo massimo di 4 mila euro annui e sul prezzo del riscatto fino ad un importo massimo di 10 mila euro. Sia per gli under 35 che per gli over 35, l’imposta di registro sull’acquisto dell’abitazione “prima casa” è ridotta all’1,5% e questo rende più conveniente per i privati il ricorso al leasing rispetto al mutuo ipotecario, per il quale l’imposta di registro per la prima casa è del 2%. Le agevolazioni fiscali prescindono dalle caratteristiche oggettive dell’immobile: le detrazioni spettano a qualsiasi abitazione, anche se appartenente alle categorie catastali A/1, A/8 e A/9 (queste ultime però sono escluse dalle agevolazioni “prima casa” per quanto riguarda l’imposta di registro). Può inoltre trattarsi di un fabbricato ad uso abitativo già completato e dichiarato agibile, di un fabbricato ad uso abitativo da costruire su uno specifico terreno, di un fabbricato ad uso abitativo in corso di costruzione e da completare, o anche di un fabbricato abitativo da ristrutturare. Nel caso di un leasing “prima casa” cointestato a più soggetti in possesso dei requisiti richiesti dalla legge (ciascuno con un reddito complessivo non superiore a 55.000 euro), le detrazioni IRPEF spettano a ciascun soggetto in misura proporzionalmente corrispondente alla percentuale di quota di proprietà prevista nel contratto. Qualora la società di leasing acquisti l’abitazione dal costruttore (soggetto passivo Iva), si applica un’aliquota Iva ridotta: al 4% anziché al 10%. L’Iva, così come le imposte e le spese notarili e peritali sull’immobile, possono essere finanziate dalla società di leasing. I vantaggi fiscali del leasing prima casa sono cumulabili con altre agevolazioni, come il 50% dell’IVA dovuta sull’acquisto di abitazioni di nuova costruzione ad alto standard energetico. Elemento caratterizzante del leasing immobiliare è il riscatto, cioè la possibilità per l’utilizzatore, alla fine del contratto, di acquistare il bene a un prezzo prestabilito. La struttura finanziaria più diffusa di una operazione di leasing prevede un primo pagamento al momento della stipula del contratto (c.d. maxi¬canone una tantum, ad es. il 15% o il 20% del prezzo concordato), il versamento di canoni periodici per una durata determinata (ad es. 20 anni ), ed infine il prezzo finale di riscatto (ad es. il 15% o il 20% del prezzo pattuito). Come il mutuo, anche il leasing è un contratto di durata che si svolge in un determinato arco di tempo; al canone periodico che deve pagare l’utilizzatore viene applicato un tasso d’interesse calcolato secondo criteri finanziari, e quindi tenendo conto non soltanto del costo del bene, ma anche del prezzo pattuito per il riscatto e della durata del contratto. Chi volesse approfondire l’argomento, può consultare la “Guida al leasing immobiliare abitativo” realizzata dal Ministero dell’Economia e delle Finanze in collaborazione con il Consiglio Nazionale del Notariato e l’Associazione Italiana Leasing.

Prima regola: partecipare all’assemblea

Inutile negarlo: la partecipazione all’assemblea di condominio rappresenta per ogni condomino un momento spesso percepito come spiacevole; nella migliore di tutte le ipotesi è ritenuto una sorta di perdita di tempo, nella peggiore un momento di aspro e stressante confronto tra condomini o con l’amministratore. Non va molto meglio cambiando prospettiva, perché anche l’amministratore si trova in una posizione difficile, trovandosi a dirimere conflitti, a giustificare le proprie strategie di gestione, a considerare le perplessità anche se “sopra le righe” di alcuni dovendo però fare in modo che le decisioni vengano prese e la complessa “macchina” della gestione condominiale funzioni senza intoppi. Nessuna regola impone all’amministratore di partecipare all’assemblea, per quanto la sua presenza viene data per ovvia, trattandosi del momento topico dello svolgimento del suo mandato. Diverso è il discorso per i condomini, molti dei quali sono abituati a non presenziare per molti motivi, dagli impegni lavorativi o famigliari, alla stanchezza, alle asperità dei rapporti personali. La prima regola di una gestione ben funzionante è invece proprio la partecipazione attiva dei condomini. I proprietari partecipano all’assemblea ed in tal modo – solo in tal modo – le volontà singole si trasformano in volontà collegiali, vincolanti per tutti. L’amministratore ha certamente importanti funzioni di gestione dell’edificio, alla stregua di un vero e proprio “manager”, è il legale rappresentante del condominio e agisce a tutela dei diritti di tutti i condomini sui beni comuni, ma ha un’autonomia limitata: è l’assemblea che ha il potere prendere decisioni per conservare e adeguare i beni comuni. Inoltre l’assemblea è l’organo che dà e toglie fiducia all’amministratore, il quale deve annualmente rendere il conto del proprio operato ai condomini riuniti in assemblea, dando conto di come ha speso i loro soldi. Spesso i condomini hanno l’impressione di essere governati dall’amministratore, come se, una volta ottenuto il mandato dall’assemblea, il suo potere gestionale fosse illimitato e non mancano amministratori che, poco opportunamente, considerano la convocazione dell’assemblea come un impegno solamente burocratico: la legge invece ha congegnato un sistema in cui l’assemblea è il vero gestore dei beni comuni, che si serve dell’amministratore come un professionista esperto al proprio servizio. La riforma del condominio ha inciso in modo significativo su questo aspetto, rafforzando e razionalizzando gli strumenti di cui l’assemblea dispone per adeguare l’immobile alle esigenze dei condomini e per rendere efficiente il controllo della gestione. Diamo quindi uno sguardo da vicino alla partecipazione all’assemblea. Non è obbligatorio partecipare all’assemblea: ogni condomino può decidere di essere assente oppure, se preferisce, può delegare un altro condomino a partecipare al suo posto, come pure, eventualmente, il proprio inquilino e può essere delegato anche un estraneo al condominio. La delega, dopo l’entrata in vigore della riforma del condominio, deve sempre avvenire in forma scritta. Dal punto di vista della tutela della privacy, chi partecipa, fosse appunto anche un estraneo al condominio, deve essere consapevole che viene a conoscenza di dati che, sebbene non siano “sensibili” nel senso tecnico – giuridico del termine, sono comunque riservati e non possono essere oggetto di diffusione. Chi è presente in assemblea per delega è presente a tutti gli effetti, ma occorre ricordare che non è possibile vincolare la delega, cioè non si può imporre al delegato il voto che deve esprimere: indicazioni di questo tipo, anche se documentate per iscritto, hanno valore solo nei rapporti tra delegante e delegato e non hanno effetto in assemblea. Il regolamento di condominio ed ora la Legge di riforma del condominio impongono alcuni limiti al numero di deleghe di cui ciascuno può disporre: in particolare, la legge di riforma del condominio impone all’amministratore di non accettare deleghe del tutto (art 67 comma 5 Disp Att Cod Civ). Per garantire la collegialità delle assemblee, inoltre, è stato stabilito che se i condomini sono più di venti, il delegato non può rappresentare più di un quinto dei condomini e dei millesimi (art. 67 comma 1 Disp Att Cod Civ): esistono quindi limiti precisi in relazione al numero di condomini che possono farsi rappresentare da una stessa persona. Non esistono invece limiti per quanto riguarda il numero di condomini che possono avvalersi della partecipazione all’assemblea per mezzo di un rappresentante, ma occorre ricordare che il proprietario di più unità immobiliari può conferire una sola delega. In ogni caso, il soggetto delegato non può a sua volta “subdelegare” e quindi non può delegare altri soggetti alla partecipazione in assemblea. Nell’ipotesi in cui un piano o porzione di piano dell’edificio appartenga in proprietà indivisa a più persone, queste hanno diritto a un solo rappresentante nell’assemblea, che è designato dai comproprietari interessati a norma dell’art. 1106 Cod Civ (art. 67 comma 2 Disp Att Cod Civ), cioè dalla maggioranza di loro calcolata secondo il valore delle rispettive quote: la norma è tra quelle oggetto di modifica ad opera della riforma del condominio ed il presidente dell’assemblea non ha ora più il potere disporre il sorteggio tra i comproprietari, in caso di disaccordo, per stabilire chi avesse la possibilità di partecipare all’assemblea con diritto di voto. Nelle ipotesi di supercondominio, quando i partecipanti sono complessivamente più di sessanta, ciascun condominio deve designare, con il voto della maggioranza dei presenti in assemblea che rappresentino almeno 2/3 dei millesimi – in mancanza, si può chiedere l’intervento dell’Autorità Giudiziaria – il proprio rappresentate all’assemblea per la gestione ordinaria delle parti comuni a più condominii e per la nomina dell’amministratore. La partecipazione all’assemblea di supercondominio per mezzo di un rappresentante vale però solo per quelle ipotesi specificamente previste dalla legge: negli altri casi valgono le stesse regole delle assemblee condominiali. La partecipazione all’assemblea spetta quindi in primo luogo ai proprietari: l’amministratore deve pertanto provvedere alla convocazione di tutti i proprietari anche di quelli che rappresentano una quota millesimale esigua; deve rivolgersi al “vero” proprietario della porzione immobiliare e non al condomino “apparente”, colui cioè che si sia comportato come tale senza esserlo (Cassazione sentenza n. 574/11). La partecipazione all’assemblea si riflette sul tema della corretta convocazione: la mancata convocazione di taluno degli aventi diritto rende infatti la delibera annullabile (Cassazione SS.UU. sentenza n. 4086/05) La legge di riforma del condominio ha introdotto importanti innovazioni anche in relazione alla convocazione per la partecipazione all’assemblea di condominio. Il nuovo testo dell’art 1136 comma 6 Cod Civ e dell’art 66 comma 3 Disp Att Cod Civ non fanno più riferimento ai “condomini” come destinatari dell’avviso di convocazione dell’assemblea, ma appunto agli “aventi diritto”. Tutti i commentatori hanno ritenuto che questa modifica nel testo delle norme in questione sia da intendere nel senso per cui, a partire dalla data di entrata in vigore della legge di riforma del condominio, anche i conduttori devono essere convocati dall’amministratore di condominio a partecipare all’assemblea condominiale nelle materie di loro competenza. “Aventi diritto a partecipare”, sono, in effetti, non solo i proprietari, ma tutti coloro ai quali la legge riconosce questa facoltà. L’articolo 10 della legge 392/1978 (comma 1) attribuisce al conduttore il diritto di voto, al posto del proprietario, nelle delibere dell’assemblea condominiale relative alle spese e alle modalità di gestione dei servizi di riscaldamento e di condizionamento d’aria; inoltre dispone (comma 2) che il conduttore ha diritto di intervenire, senza diritto di voto, nelle delibere relative alla modificazione degli altri servizi comuni. Per effetto di questa norma, però, il rapporto di locazione e quello di condominio non interferiscono tra loro: si stabilisce, piuttosto, il diritto di intervento del conduttore in luogo del proprietario locatore essenzialmente a tutela dei propri diritti ed interessi, potenzialmente contrapposti a quelli di quest’ultimo. Secondo la Giurisprudenza si tratterebbe solo di una sostituzione legale del conduttore al locatore, correlata all’incombenza dell’onere delle relative spese (articolo 9 L 392/1978), quindi rilevante unicamente all’interno del rapporto contrattuale tra locatore e conduttore, senza cioè alcun rilievo per il condominio (Corte di Cassazione sentenza n. 4802/92). Questo principio cambia con la riforma del condominio. Attualmente, si ritiene infatti che l’amministratore deve necessariamente convocare gli aventi diritto a partecipare all’assemblea di condominio, che altrimenti non può deliberare regolarmente. Poichè tra gli “aventi diritto” ci sono i conduttori, l’amministratore, nei casi individuati dall’art. 10 della legge n. 392/78 (solo in questi casi), deve convocare proprio i conduttori. D’altra parte, all’inquilino viene invece di fatto negato il diritto di partecipazione alle assemblee di supercondominio quando i condomini sono più di 60: in questo caso ogni condominio deve nominare un rappresentante per la partecipazione ad assemblee che deliberino in merito alla gestione ordinaria, tra cui rientra anche la modalità di gestione dei servizi di riscaldamento e di condizionamento d’aria ove svolti con impianti “supercomuni”. Resta da chiarire se il conduttore non convocato o comunque dissenziente abbia egli stesso la legittimazione ad impugnare una delibera dell’assemblea di condominio. Da questo punto di vista, occorre affermare che la possibilità di impugnazione della delibera da parte degli inquilini è alquanto limitata: l’inquilino ha, infatti, certamente diritto di impugnare esclusivamente le deliberazioni che abbiano ad oggetto le spese e le modalità di gestione dei servizi di riscaldamento e di condizionamento d’aria: “al di fuori delle situazioni richiamate, la norma in esame (art 10 L 392/78) non attribuisce all’inquilino il potere generale di sostituirvi al proprietario nella gestione dei servizi condominiali, sicché deve escludersi la legittimazione del conduttore ad impugnare la deliberazione dell’assemblea condominiale di nomina dell’amministratore e di approvazione del regolamento di condominio e del bilancio preventivo” (Cassazione sentenza n. 8755/93). Una posizione recentemente confermata, in termini più ampi, dalla giurisprudenza della Cassazione nella sentenza n. 13204/15 secondo cui in caso di annullabilità, l’impugnazione spetta ai soli condomini e non anche ai conduttori di un alloggio condominiale, pur essendo interessati dagli effetti della delibera stessa. Nella sentenza sopracitata la Cassazione precisa che l’eventuale difetto di quorum costitutivo e deliberativo, può essere fatto valere (solo) dai condomini assenti o dissenzienti con l’azione prevista dall’art. 1137 Cod. Civ. e non dall’inquilino che resta una parte terza estranea al condominio. La sostituzione del condomino locatore con il conduttore avviene del resto solo nel momento della votazione delle delibere e non in quello riguardante il processo della regolare costituzione dell’assemblea: è infatti al condomino locatore a cui occorre riferirsi ai fini del calcolo del quorum costitutivo della medesima. Il presidente dell’assemblea dovrà peraltro fare attenzione che la partecipazione dell’inquilino non delegato dal proprietario deve limitarsi alla discussione delle materie a cui la legge 392/78 gli attribuisce autonomo diritto di voto o di partecipazione: diversamente, si corre il rischio di porre in essere illegittime comunicazioni di dati personali di condomini. Il Garante per la privacy si è espresso in tal senso con il provvedimento del 18 maggio 2006. In conclusione: l’assemblea è un momento di effettiva partecipazione alla gestione ed è importante cogliere tale occasione per tutti coloro che vi hanno diritto e per lo stesso amministratore a cui è demandato il difficile compito di rendere effettivo tale esercizio di democrazia “diffusa”.

Comunicazione in condominio

Ad una prima riflessione, potrebbe sembrare che per svolgere la professione di amministratore di condominio, oggi peraltro molto più impegnativa rispetto anche solo a qualche anno fa, basti conoscere e saper applicare la normativa attuale, anche tecnica, e saper gestire gli aspetti economici che stabiliscono il rapporto tra coloro che offrono un servizio (fornitori) e coloro che lo utilizzano (condòmini), cioè potrebbe sembrare che per fare l’amministratore di condominio sia indispensabile avere fondamentalmente delle buone competenze tecniche e giuridiche che permettano di giostrarsi tra assemblee, preventivi, consuntivi, spese straordinarie, aspetti legali e così via. E già così non sarebbe poco. Non dobbiamo però dimenticarci di un altro aspetto di fondamentale rilevanza soprattutto oggi: gli aspetti di comunicazione condominiale. Prima di addentrarci su quali punti possono essere profili critici di questa materia per l’amministratore di oggi, occorre fare una premessa importante e considerare che la professione di amministratore di condominio è nel tempo divenuta sempre più multidisciplinare: ogni amministratore di condominio è un elemento di un sistema professionale complesso in cui collaborano molti esperti con profili e formazione differenti e integrabili a quella dell’amministratore stesso. L’amministratore di condominio potrebbe acquisire tutte le competenze necessarie a svolgere la sua professione, ma è pressoché impossibile e, d’altra parte, forse non sarebbe neppure opportuno. L’amministratore perciò non potrà fare a meno della collaborazione di altri professionisti, competenti nelle varie materie di interesse. Al di là della sua formazione di base e di quella indispensabile e necessaria (ora anche per Legge) che può offrirgli un corso iniziale di tematiche condominiali, l’amministratore di condominio avrà bisogno del supporto di un fiscalista o di un ragioniere, se necessario di un avvocato, in alcuni casi di un ingegnere e di un architetto, certamente di un geometra e di vari tecnici che possano indirizzarlo nelle scelte più oculate e opportune, ad esempio nei nuovi ambiti di interesse per il settore casa/condominio come il risparmio energetico e le energie rinnovabili. Occorre perciò che ogni aspirante amministratore non abbia il timore di confrontarsi con materie lontane dalla propria formazione professionale, insomma che faccia “squadra” con altri. Può anche ricoprire il ruolo di manager del condominio come coordinatore efficace delle attività degli altri professionisti che gli gravitano attorno. La professione di amministratore di condominio inoltre, oggi, sempre di più, richiede non solo di essere in staff con altri professionisti, ma di essere in rete attraverso internet e i social network (come LinkedIn, Twitter, Instagram, Facebook) che, se usati in modo appropriato e consapevole, possono offrire ottimi spunti di scambio e assicurano un mezzo per rendersi visibili ai potenziali clienti. Osserviamo che uno degli aspetti più qualificanti dell’attività di amministratore di condominio che sta diventando sempre più una delle qualità più funzionali e competitive, è proprio la molteplicità degli aspetti che riguardano le modalità comunicative e la conoscenza dei cosiddetti aspetti psicologico-sociali che attengono all’amministratore di condominio, cioè una sorta di “psicologia pratica” che permetta di offrire al meglio la propria professionalità. Al di là delle competenze tecniche e giuridiche, sicuramente imprescindibili per svolgere l’attività di amministratore condominiale, è infatti sempre più necessario conoscere anche alcuni aspetti legati alla comunicazione individuale e di gruppo. Si può dire che fornire assistenza professionalmente come amministratori ad un condominio rientra nei servizi alla collettività e, come tutti i servizi, segue il seguente principio: è più difficile giudicare la qualità di un servizio che la qualità di un prodotto, cioè non è facile valutare in modo obiettivo il lavoro di chi offre il servizio (in questo caso l’amministratore). Facciamo un esempio: i condomini giudicheranno senza dubbio con maggior facilità l’aspetto delle plafoniere scelte per l’androne del palazzo rispetto al lavoro di ricerca, al confronto dei prezzi per un buon bilanciamento tra costo e qualità e alla attenzione con cui l’amministratore ha provveduto alla scelta delle stesse. Come può allora un amministratore gestire situazioni di questo tipo per far sì che il suo impegno possa essere apprezzato? Certamente attraverso una strategia di fidelizzazione dei condòmini che passi attraverso l’immagine che l’amministratore riesce a dare di sé stesso. La modalità più efficace per raggiungere questo obiettivo è il saper utilizzare con competenza le tecniche della comunicazione interpersonale. Pensiamo anche ad un altro aspetto, senz’altro molto nuovo e delicato per l’amministratore di condominio e cioè a come egli possa rispondere nel modo più appropriato alla richiesta di visionare i giustificativi della sua gestione da parte dei condòmini. In effetti, a questo proposito, ci ricordiamo che con l’entrata in vigore della Riforma del condominio, l’amministratore è tenuto ad informare (art. 1129 Cod. Civ.) i condòmini sin dall’inizio del suo mandato circa i tempi e le modalità in cui è possibile consultare la documentazione condominiale e può essere chiamato a proporre la creazione di un sito internet condominiale sul quale, con le dovute cautele, visionare i medesimi documenti. A questo proposito, peraltro, è intervenuta anche la Cassazione con la sentenza n. 15159/2001 in cui si legge: “I condomini possono esercitare in ogni tempo, la vigilanza ed il controllo sullo svolgimento dell’attività di gestione delle cose, dei servizi e degli impianti comuni e, perciò, prendere visione dei registri e dei documenti che li riguardano, sempre che la vigilanza ed il controllo non si risolvano in un intralcio all’amministrazione, non siano contrari al principio della correttezza e che delle attività afferenti alla vigilanza ed al controllo i condomini si addossino i costi, Non è necessario, pertanto, che i condomini specifichino la ragione per cui vogliono prendere visione o estrarre copia dei documenti, spettando all’amministratore l’onere di dedurre e dimostrare l’insussistenza di qualsivoglia interesse effettivo in capo ai condomini istanti, perché i documenti non li riguardano, ovvero l’esistenza di motivi futili o inconsistenti e comunque contrari alla correttezza”. Detto questo è opportuno che l’amministratore non consideri questo come mero onere. Infatti, la possibilità di offrire dei momenti di disponibilità pianificati per i condomini richiedenti, così come pure l’eventuale attivazione di un sito internet, può consentire la gestione di un condominio con maggiore trasparenza e, come spesso accade quando si utilizzano bene gli strumenti informatici, di snellire molte procedure burocratiche riducendo peraltro anche la produzione di copie e incartamenti cartacei, risparmiando e creando un beneficio anche ecologico-ambientale. La creazione di un ambiente più collaborativo tra condomini e amministratore e un’atmosfera di scambio reciproco e supporto ai condomini stessi non potrà far altro che ottimizzare l’immagine dell’amministratore sfatando vecchi preconcetti e consentendogli di essere considerato un vero manager di cui ci si potrà fidare.

Sicurezza degli immobili

Il recente crollo di tre piani in un edificio di Roma ha riproposto alcune questioni fondamentali in materia di sicurezza degli edifici, di prevenzione dei danni, di accertamento di responsabilità, di risarcimento di chi ha subito danni. Questioni che ritornano in queste evenienze e che scompaiono quando i fari dell’attenzione pubblica si spostano altrove. Il primo problema da più parti sollevato riguarda il cosiddetto Libretto di Fabbricato, una sorta di Carta d’Identità dell’immobile che documenta le caratteristiche strutturali, manutentive, architettoniche dell’immobile stesso e viene aggiornato sulla base delle trasformazioni che nel tempo interessano l’edificio. Si tratterebbe di una documentazione importantissima sia per risalire alle cause di eventuali danni, sia, soprattutto in funzione preventiva. La via dell’obbligatorietà per Legge ha finora incontrato vari ostacoli (soprattutto in relazione ai costi, ecc); ciò ha fatto si che se ne discuta dalla fine degli anni 90 senza esito. Forse varrebbe la pena seguire un’altra strada: quella della premialità e dell’incentivazione. I fattori legati alla sicurezza, assieme agli altri elementi di qualità (es. certificazioni energetiche,ecc.) concorrono sempre più a determinare il valore degli edifici sul mercato immobiliare. Riconoscere questo valore aggiunto ai fabbricati dotati del libretto e delle relative documentazioni unitamente alla possibilità di dedurre sul piano fiscale i costi di queste operazioni può costituire un incentivo importante per spingere i proprietari ed i condomini ad adottare uni strumento importantissimo per la prevenzione e l’accertamento dei danni. Un’altra questione di grande rilevanza riguarda le coperture assicurative degli immobili. In Italia, a differenza di altri Paesi (es. Francia) non esiste l’assicurazione obbligatoria nè per le singole abitazioni, nè per i condomini (anche se in questo caso la prassi di assicurarsi è abbastanza diffusa). Questo rende molto complicate e a volte infruttuose le azioni risarcitorie. C’è da chiedersi se non sia opportuno prevedere la copertura assicurativa garantita per tutti gli immobili (come si fa per le auto). Certamente per i proprietari che dovranno stipulare polizze ex novo ciò rappresenterebbe un aggravio di costi, ma anche un motivo di maggiore tranquillità e sicurezza che si aggiunge alla maggiore sicurezza per i soggetti (altri comproprietari in caso di condominio o altri soggetti terzi) danneggiati senza colpa nelle varie tipologie di danno che spesso si verificano. Naturalmente, nel caso della introduzione dell’assicurazione obbligatoria lo Stato sarebbe chiamato ad una puntuale verifica dell’operato delle compagnie di Assicurazione per evitare le sin troppo numerose iniquità oggi presenti nel sistema assicurativo.

Efficienza energetica in Italia

In termini di efficienza energetica, l’Italia parte già da un buon livello medio. È uno dei primi paesi per intensità energetica in Europa, con un livello inferiore alla media di circa il 14%, nonostante una struttura economica in cui l’industria manifatturiera ha un peso superiore alla media europea (anche se, negli ultimi due decenni, altri Paesi europei hanno mediamente migliorato tale indicatore in maniera più forte rispetto a quanto fatto dall’Italia). L’Italia vanta inoltre una consolidata tradizione industriale in molti settori strettamente correlati all’efficienza energetica (caldaie, motori, inverter, smart grid, edilizia, …). Rimane tuttavia un potenziale di miglioramento importante. Da quanto risulta dall’ultimo Rapporto dell’ENEA (giugno 2015) relativo all’anno 2013, grazie alle politiche nazionali per l’efficienza energetica l’Italia ha risparmiato 7,55 milioni di tonnellate di petrolio equivalenti (Mtep) all’anno, pari a oltre 2 miliardi di euro di minori importazioni di gas naturale e petrolio, evitando la produzione di 18 milioni di tonnellate di CO2. Inoltre, grazie al solo meccanismo delle detrazioni fiscali, i cosiddetti ‘ecobonus’, oltre 2 milioni di famiglie hanno investito 22 miliardi di euro per riqualificare energeticamente le proprie abitazioni dal 2007 al 2013, con un indotto di 40 mila occupati in media l’anno. Il Rapporto evidenzia che nel 2013 è stato raggiunto oltre il 20% dell’obiettivo di efficienza previsto per il 2020; tra i settori che hanno maggiormente contribuito a questo risultato il residenziale e l’industria. Relativamente all’anno 2014, il Rapporto del MISE sulla situazione energetica italiana, evidenzia che il fabbisogno energetico lordo del Paese nel 2014 si è ridotto del 3,8% rispetto al 2013 (nel 2014 è stato di 166,43 milioni di tonnellate equivalenti di petrolio (Mtep), che rappresenta il valore, in termini assoluti, più basso da 18 anni) e che il decremento del fabbisogno energetico del 2014 è stato determinato dall’azione congiunta della recessione economica, della ricomposizione settoriale della produzione e della maggiore efficienza energetica. Coerentemente con la strada tracciata nel 2013 dalla Strategia Energetica Nazionale, nell’attuale legislatura, nel 2014, è stato adottato il provvedimento di recepimento della Direttiva sull’Efficienza Energetica, D.Lgs. n. 102/2014, sia il Piano d’Azione per l’Efficienza Energetica (PAEEE, con D.M. 17 luglio 2014), nonchè sono state adottate misure sull’efficienza energetica nel patrimonio edilizio, attraverso la leva delle detrazioni per la riqualificazione energetica degli edifici (i cd. ecobonus) e sulla certificazione energetica. In particolare, il Decreto Legislativo 102/2014 ha recepito in Italia la Direttiva 2012/27/UE10 stabilendo un quadro di misure per la promozione e il miglioramento dell’efficienza tese al raggiungimento degli obiettivi nazionali di risparmio energetico definiti al 2020, pari alla riduzione dei consumi di energia primaria di 20 Mtep/anno, equivalenti a 15,5 Mtep/anno di energia finale. Per quanto riguarda il settore industriale, entro il 5 dicembre 2015 (e successivamente ogni quattro anni) le grandi aziende e le imprese ad alta intensità energetica saranno tenute ad eseguire diagnosi energetiche periodiche, utili per individuare gli interventi più efficaci per ridurre i consumi di energia. Per incentivare la realizzazione dei progetti di efficienza energetica definiti sulla base delle diagnosi realizzate, il Decreto prevede un ulteriore potenziamento del meccanismo dei Certificati Bianchi, nonché l’istituzione di schemi di certificazione e accreditamento per la conformità alle norme tecniche in materia di Società di Servizi Energetici, esperti in gestione dell’energia, sistemi di gestione dell’energia e diagnosi energetiche. Per il settore edilizio, l’ENEA viene incaricata di elaborare una proposta di interventi di medio-lungo termine per il miglioramento della prestazione energetica degli immobili, sia pubblici che privati, anche per aumentare il numero di Edifici a Energia Quasi Zero. Per il settore pubblico è previsto un programma annuale di interventi di riqualificazione energetica negli edifici della Pubblica Amministrazione centrale, inclusi gli immobili periferici, relativi ad almeno il 3% annuo della superficie coperta utile climatizzata, da realizzare ricorrendo al finanziamento tramite terzi e ai contratti di rendimento energetico. Inoltre, nell’ambito delle forniture di prodotti e servizi della Pubblica Amministrazione centrale, il provvedimento rafforza il vincolo di acquisto di prodotti e servizi ad alta efficienza energetica. Il provvedimento istituisce, inoltre, il Fondo nazionale per l’efficienza energetica, un importante strumento finanziario di supporto alla riqualificazione energetica degli edifici della Pubblica Amministrazione ed agli interventi per la riduzione dei consumi di energia nei settori dell’industria e dei servizi. Il D.Lgs. 201/2014 prevede una cabina di regia per il coordinamento degli interventi per l’efficienza energetica, composta dallo Ministero dello sviluppo economico e dal Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare. La cabina di regia si potrà avvalere della collaborazione di ENEA (Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile) e GSE (Gestore Servizi Energetici). Tra i primi obiettivi, coordinare la rapida attuazione del programma per la riqualificazione energetica degli edifici della pubblica amministrazione centrale. Il decreto 9 gennaio 2015 stabilisce le modalità di funzionamento della cabina di regia.

Impianti di riscaldamento centralizzati e contabilizzazione del calore

Il Decreto legislativo 102 del luglio 2014, recependo le Direttive europee volte al contenimento del consumo energetico e all’emissione dei gas serra, ha introdotto all’art. 9 l’obbligo di realizzare entro il 31/12/2016 la termoregolazione e la contabilizzazione del calore prelevato dal singolo utente finale (condòmino), imponendo anche l’adozione di specifici criteri per la ripartizione delle spese, a valere dall’entrata in vigore del decreto (luglio 2014) anche per gli impianti in cui la contabilizzazione era stata già installata. Sono previste sanzioni significative per chi non ottemperi alla installazione nei termini previsti e anche per chi non adotti i criteri imposti per la ripartizione delle spese. La contabilizzazione del calore al singolo appartamento può essere fatta in due modi: attraverso l’applicazione di contatori a lettura diretta; o – dove ciò non sia possibile o risulti non efficiente sotto un profilo economico (impossibilità attestata con relazione tecnica del progettista o del tecnico abilitato) – mediante applicazione di ripartitori su ciascun corpo scaldante (contabilizzazione indiretta, negli impianti cosiddetti a colonna). Una condizione esimente all’obbligo di installare la contabilizzazione anche in questa seconda modalità è contenuta nella lettera c) dell’art. 9 ove si dice testualmente che l’obbligo sussiste “salvo che l’installazione di tali sistemi risulti essere non efficiente in termini di costi con riferimento alla metodologia indicata nella norma UNI EN 15459. In tali casi sono presi in considerazione metodi alternativi efficienti in termini di costi per la misurazione del consumo di calore”. “Eventuali casi di impossibilità tecnica alla installazione dei suddetti sistemi di contabilizzazione devono essere riportati in apposita relazione tecnica del progettista o del tecnico abilitato”, sulla base di quanto indicato all’art. 16 punto 7 in tema di SANZIONI. Lo scopo infatti della normativa dichiarato all’art. 1 è quello di rendere il consumo volontario attribuibile direttamente a ciascun utente così da indurlo a risparmiare individualmente – con ovvie ripercussioni sul consumo e sul risparmio collettivo. In altre parole: attraverso la misurazione del calore volontario i cui costi sono addebitati direttamente al singolo si induce un circolo virtuoso tale per cui il singolo è portato a risparmiare (o razionalizzando i consumi con l’utilizzo della termoregolazione che efficienta il consumo garantendo il confort necessario, oppure con l’adozione di NUOVI sistemi di protezione dell’involucro disperdente – quali cappotti termici, sostituzione di infissi, ecc.) e la somma dei risparmi dei singoli costituisce il risparmio collettivo. Lo scopo della norma è dunque responsabilizzare (addebitandogliene direttamente i costi) l’utente del servizio. Tali costi devono essere quantificati con sistemi di calcolo del consumo quanto più precisi possibile, individuati normativamente nella contabilizzazione che ha dunque la funzione di poter attribuire con certezza al singolo utente il costo relativo al suo consumo volontario. Esiste infatti anche un consumo involontario come specificato nella norma UNI 10200 specificamente richiamata nel dlgsl 102/14. Tale norma chiarisce l’esistenza di consumi volontari e di consumi involontari e li definisce rispettivamente cosi: i primi, dovuti all’azione volontaria dell’utente mediante i dispositivi di termoregolazione (valvola termostatica o termostato), che vanno ripartiti in base alle indicazioni fornite dai dispositivi (letture) atti alla contabilizzazione del calore (contatori, ripartitori e altri sistemi); i secondi, quelli indipendenti dall’azione dell’utente e cioè principalmente le dispersioni di calore della rete di distribuzione, che vanno ripartiti in base ai millesimi calcolati secondo il fabbisogno di energia termica utile (UNI 11300). Per poter individuare la quota da ripartire a millesimi in e i millesimi di riscaldamento sulla base del fabbisogno energetico, occorre affidare ad un tecnico abilitato il calcolo del fabbisogno di energia termica utile ad ogni singola unità immobiliare (per consentire di ottenere una temperatura standard di 20°) che andrà a costituire il valore millesimale attribuibile a quell’appartamento, indipendentemente dalle superfici radianti installate. Questi nuovi millesimi saranno il criterio di ripartizione:

• delle spese di gestione del servizio di riscaldamento;

• di tutte le spese di manutenzione e conduzione ( terzo responsabile, estintori, lettura e ripartizione contabilizzatori, ecc.);

• di tutte le spese relative alla dispersione dell’energia totale consumata (una percentuale della spesa energetica totale – cioè combustibile + energia elettrica – calcolata dal Tecnico sul singolo impianto, ovvero differenza tra la spesa energetica totale e il consumo volontario di tutti gli utenti);

Poiché le sanzioni previste colpiscono anche coloro che non applichino tali criteri di ripartizione (ciò anche per gli impianti esistenti già dotati di contabilizzazione) è giocoforza provvedere immediatamente all’affidamento ad un tecnico abilitato del calcolo dei nuovi millesimi secondo la norma UNI 10200, da utilizzare fin dalla ripartizione dei costi della pregressa gestione 2014/15. Per quanti invece non abbiano ancora la contabilizzazione, sorge l’esigenza di dare immediato impulso alla progettazione di tale impiantistica con il correlativo calcolo dei nuovi millesimi. L’obbligo della progettazione anche per la sola applicazione del sistema di contabilizzazione e termoregolazione scaturisce dall’art. 26 comma 3 della legge 10/91 che recita: “Gli edifici pubblici e privati, qualunque ne sia la destinazione d’uso, e gli impianti non di processo ad essi associati devono essere progettati e messi in opera in modo tale da contenere al massimo, in relazione al progresso della tecnica, i consumi di energia termica ed elettrica.” (l’impianto di riscaldamento è un impianto non di processo ndr). La progettazione della termoregolazione e contabilizzazione deve essere affidata dunque ad un professionista abilitato, il quale dovrà mappare i radiatori esistenti per consentire una corretta programmazione dei singoli contabilizzatori, ovvero certificare il coefficiente di conversione delle unità di consumo che saranno rilevate dai singoli ripartitori. Il progettista dovrà altresì predisporre i millesimi per ripartire la quota dei consumi involontari. Dopo l’applicazione del sistema di contabilizzazione e termoregolazione (anche in assenza di ulteriori opere di riqualificazione dell’impianto) la ditta esecutrice dovrà rilasciare apposita dichiarazione di conformità alla norma e al progetto. Si badi bene che sia negli impianti di contabilizzazione esistenti che in quelli di nuova realizzazione, la dichiarazione di conformità e le mappature (o la valutazione dei coefficienti di conversione) sono essenziali alla corretta applicazione dei criteri di ripartizione dei costi e quindi ad evitare il rischio delle sanzioni. Infatti per far sì che ciascuno paghi i costi esclusivi del proprio prelievo VOLONTARIO è fondamentale che tale prelievo volontario sia misurato in modo ineccepibile e corretto. Ciò è possibile soltanto applicando i ripartitori o i contatori secondo la regola dell’arte (certificata dalle Ditta installatrice) e soltanto attraverso la conversione delle unità di consumo segnate da ogni ripartitore opportunamente programmato (secondo la norma UNI 10200:13 ) o secondo coefficienti adeguati al singolo radiatore (secondo la norma UNI 10200:15).

A Londra monolocali da un milione di euro

Un monolocale a Londra costerà almeno un milione di euro: fortunatamente, non è il prezzo medio per un appartamento ma la stima di prezzo per i 200 appartamenti di lusso con una sola stanza da letto firmati da Kohn Pedersen Fox Associates annunciata del costruttore cinese Dalian Wanda Group. Il progetto prevede la costruzione di due torri sul Tamigi vicino alla stazione della metropolitane di Vauxhall destinate a ospitare 496 abitazioni e un hotel a cinque stelle. I lavori dovrebbero essere completati entro il 2018. Il distretto di Nine Elms, dove dovrebbero sorgere le torri, sta diventando uno dei più ricercati della capitale inglese e, in tre anni, ha registrato un incremento dei valori di oltre il 30% con punte di oltre 20 mila euro al metro quadro. Londra è del resto la città più cara al mondo dove vivere e lavorare, mentre Bombay è la più economica. È quanto emerge da uno studio di Savills che ha analizzato i costi immobiliari dei dodici principali centri finanziari del mondo. Londra nei primi sei mesi dell’anno ha strappato lo scettro a Hong Kong per una crescita dei costi immobiliari del 10,6%: nella capitale britannica infatti il costo per le aziende per alloggiare ogni impiegato è di 94 mila euro l’anno mentre a Bombay è di solo 23 mila. A Hong Kong le aziende spendono in media 90 mila euro all’anno per ogni dipendente mentre a New York e Parigi ne pagano all’incirca 85 mila. Seguono poi Mosca, Tokyo e Singapore poco sotto il 60 mila. In ottava posizione c’è poi Sidney con una spesa annua di 50 mila euro, in nona Dubai con 40 mila, seguita da Shanghai con 33 seguita e Rio con 25 mila. Negli ultimi cinque anni però il record rimane di Hong Kong dove, nel 2011, per ogni dipendente le aziende spendevano 100 mila euro.

Il mondo che cambia: New York punta sul lusso, Los Angeles cambia volto

I l mondo cambia, e tra le prime a cambiare sono sempre le grandi metropoli nordamericane. L’America ha anticipato tanti dei fenomeni che si sono diffusi in Europa negli anni successivi, ed il settore immobiliare è sempre un termometro molto indicativa sullo stato di salute dell’economia e sulle nuove tendenze immobiliari. Ad inizio novembre si sono registrate novità che riguardano due tra le più importanti città degli Stati Uniti: New York sulla costa est, e Los Angeles ad ovest, in California. New York punta sempre più sul lusso: lo dimostrano i dati delle nuove costruzioni in città che nel 2014 costeranno il 60% in più dello scorso anno per costruire solo il 22% di abitazioni in più. La ricerca è stata effettuata dal New York Building Congress. La spesa in nuove abitazioni raggiungerà gli 8,5 miliardi di euro, la più alta dal 1995, con 3 miliardi in più del 2013. Con questi soldi saranno però realizzate 22.500 unità, a fronte delle 18.400 dello scorso anno. A New York è infatti in arrivo una vera e propria ondata di condomini di lusso, programmati o già in costruzione. Nonostante la crescita delle costruzioni il numero di nuove abitazioni non basta a soddisfare il fabbisogno di 30 mila nuove case l’anno. Nei prossimi anni il numero dovrebbe aumentare ancora, raggiungendo 23 mila nel 2015 e 24 mila nel 2016. La novità che riguarda Los Angeles è invece ‘estetica’: lo skyline di L.A., fino ad ora giudicato dai più abbastanza anonimo, è destinato a cambiare. Dopo quattro decenni è venuta infatti meno una regola del dipartimento dei Vigili del fuoco che imponeva di avere tetti piatti per facilitare il recupero in caso di incendio. La regola aveva impedito la costruzioni di strutture particolari come cupole e guglie e da tempo gli architetti sottolineavano come la tecnologia anti-incendio fosse ora molto più avanzata e fosse giunto il momento di permettere all’architettura della città degli angeli di evolversi. Ora architetti e investitori stanno guardando alla metropoli californiana, l’unica in USA ad avere una regola simile, progettando restauri e nuovi grattacieli. Al momento in città sono 788 gli edifici considerati grattacieli e altri 22 sono in fase di costruzione.

Lo strumento del trust

Le origini del trust si collocano in tempi molto lontani, addirittura prima della conquista normanna del 1066. Il caso più appariscente è legato alla vicenda delle crociate: l’uomo d’arme in partenza per la Terra Santa (disponente) trasferiva ad un amico fidato (trustee) la sua proprietà, dandogli dei vincoli: se tutto fosse finito felicemente, di riavere le sue proprietà, ed in caso negativo di destinarle ai suoi discendenti (beneficiari). Con la Legge 16/10/1989 n° 364, è stata ratificata la Convenzione dell’Aja, e dal 1/1/1992 è consentita in Italia l’istituzione dei trust interni. I soggetti del trust che viene “istituito”, sono: Il disponente: è il proprietario dei beni, dei diritti presenti/futuri, che trasferisce o segrega gratuitamente nel Trust e sono: i beni immobili, i beni mobili, i titoli finanziari, le partecipazioni societarie, ed altro. I beni conferiti formano il Fondo in trust, che viene destinato ai beneficiari, i discendenti, il coniuge, altre persone o società o enti, o lo stesso disponente. Il trustee: è il gestore del trust e del suo fondo (trust fund), è nominato dal disponente, come sua persona o società di fiducia “trust company”, e può essere revocato/a. Il disponente, nel trust autodichiarato, ha la funzione di trustee. Il guardiano: è il garante dei beneficiari del trust, e vigila sulla corretta destinazione dei beni secondo i vincoli stabiliti nell’atto istitutivo dal disponente. Il guardiano è persona/e o società/e di fiducia nominata/e dal disponente. I beneficiari: sono i soggetti che al termine del trust usufruiscono, dei beni e dei diritti “segregati” dal disponente, secondo l’entità indicata nell’atto istitutivo. LA FORMA L’atto istitutivo è autenticato dal notaio, che dispone l’atto dispositivo, con il trasferimento gratuito al trust della proprietà dei beni mobili ed immobili o di altri diritti. Lo strumento del trust I CONTENUTI Il termine inglese trust, vuol dire “affidamento” o “fiducia”. L’atto istitutivo fissa l’esistenza di tre certezze, e sono: 1. La volontà del disponente di istituire un trust; 2. Il fondo in trust; 3. I beneficiari. SI PUÒ OSSERVARE CHE I BENI: 1. Non sono più patrimonio del disponente perché sono segregati nel trust (i suoi creditori personali non possono aggredire i beni del trust); 2. Non sono parte del patrimonio del trustee perché i beni in trust non fanno parte del suo regime patrimoniale, e della sua successione (i suoi creditori personali non possono aggredire i beni del trust); 3. Non sono ancora patrimonio del beneficiario, quindi i beni e i diritti non sono soggetti ad azioni di aggressione perché sono ancora del trust. LA LEGGE APPLICABILE Il trust è regolato dalla legge scelta dal costituente. La scelta deve essere espressa e la legge applicabile al Trust interno è straniera. Queste sono alcune applicazioni: • Sicurezza patrimoniale della famiglia: beni personali destinati ai figli, coniuge; • Per i soggetti deboli: il trust protegge l’anziano, il malato, l’incapace, il disabile; • In caso di separazione o divorzio: per assicurare i figli e, il coniuge; • Aziendale o professionale: i beni immobili vengono segregati nel trust; • Societario: le partecipazioni, gli accordi parasociali, i patrimoni destinati nel trust; • Professionale ed imprenditoriale: i beni vengono segregati nel trust, per evitare azioni dei terzi che richiedono “risarcimenti”, per la responsabilità professionale (vedi: medico, consulente, imprenditore, amministratore, ed altri soggetti); • Il conto corrente in trust per le somme “dei terzi”: per evitare i prelevamenti da parte di terzi, scongiurando di sottrarre le somme da destinare ai propri fornitori, compreso il personale, mantenendo le risorse finanziarie di proprietà di terzi; • I patti di famiglia, il trasferimento dell’azienda al/alla figlio/a, per garantire nel tempo, all’imprenditore la continuità aziendale. Il trust è istituito prima di tutto con finalità donatorie e successorie. Il disponente, con l’istituzione del trust mira, generalmente, a segregare e proteggere il proprio patrimonio e a gestire il passaggio generazionale in linea con le aspettative e le attitudine dei discendenti; • Trust di garanzia per assicurare il pagamento dei debiti, dei mutui, e nel concordato preventivo per garantire i creditori dell’azienda; • Trasformazione di società immobiliari in trust; • Costituzione di una Holding famigliare in un trust. Il trust è uno strumento versatile, flessibile e trasparente che permette di affrontare e risolvere varie tipologie di problemi, e tiene conto dei bisogni particolari del cliente definendoli con le diverse legislazioni applicabili. È certamente una forma giuridica insostituibile per la protezione dei patrimoni, la gestione delle più delicate vicende familiari e la soluzione di situazioni debitorie con la prestazione di garanzie. La meritevolezza delle ragioni, di concerto con le ragioni giuridiche, che si adducono in supporto per convalidare il programma enunciato dal disponente. Un trust è molto più di un atto di segregazione. Da un lato, esso vive in un quadro di riferimento che non è possibile riprodurre convenzionalmente; dall’altro, se si guarda alla selezione degli interessi, esso è essenzialmente rivoluzionario per la ragione che sovverte le priorità tipiche del nostro ordinamento, senza tuttavia violarne i princìpi fondamentali. Sta qui, a ben vedere, la chiave di lettura dell’enorme interesse che i trust stanno suscitando.

Un’opera di Patrizio Marafini per la tessera ASPPI 2016

A Roma il 10 ottobre u.s. è stata svelata, ai componenti della Direzione Nazionale di ASPPI, l’Opera del pittore e grafico Patrizio Marafini per la tessera nazionale 2016: i partecipanti hanno espresso gradimento e apprezzamento. Si rinnova così quell’appuntamento annuale con l’arte che l’ASPPI ha intrapreso dal 2005. L’Opera scelta dall’autore appartiene ad un suo interessante percorso, sorta di viaggio sperimentale, intrapreso tra i versi poetici che Marafini illustra con sapiente e raffinata maestria: questa, in particolare, è presente in una pubblicazione “Le Terre della Memoria” a cura di Gabriella Sobrino e si riferisce ai versi della poetessa Anna Buoninsegni (“C’è un pezzo di Toscana” e “Paesaggio Umbro”). Patrizio Marafini studia a Roma scenografia, arte e design all’Accademia di Belle Arti, frequenta corsi di incisione della Calcografia Nazionale di Roma e quelli di sperimentazione foto/grafica dell’AIAP. Convinto assertore della funzione etico-sociale, ma anche pedagogica dell’arte, sviluppa un personale percorso artistico basato sull’interazione tra arte e ambiente, sperimentando diversi linguaggi. Realizza regolarmente laboratori e corsi di aggiornamento per enti pubblici e privati. Numerose sono le presenze in rassegne d’arte di sue Opere ed installazioni.

Nuovo Attestato di Prestazione Energetica (Ape) 2015

A partire dal 1 ottobre 2015, cambia in modo sostanziale l’attestato di prestazione energetico, diventando unitario a livello nazionale e basandosi sulla L. 90/2013. Per i proprietari che hanno già provveduto negli scorsi anni a far redigere un attestato di certificazione energetico o di prestazione energetica, non devono preoccuparsi di nulla, in quanto quelli rilasciati in data anteriore al primo ottobre restano validi fino alla loro scadenza. Brevemente si ricorda su cosa si fondano questi attestati e in base a cosa si stabilisce la classe energetica, viene attribuita in base al consumo annuo di un’unità immobiliare per il riscaldamento e l’acqua calda sanitaria, questi calcolati in base alla tipologia dell’immobile, al suo grado di isolamento termico e all’efficienza degli impianti presenti all’interno per la produzione del riscaldamento e dell’acqua calda sanitaria. Dal punto di vista tecnico, cambia molto la situazione, prima di tutto le classi non saranno più sette, dalla A+ alla G ma saranno dieci, dalla A4 alla G, dalla più efficiente alla peggiore. Il metodo di calcolo viene modificato dalla L. 90/2013 che ha portato al D.M. “requisiti minimi”: Per la determinazione della classe energetica complessiva dell’edificio ai fini della redazione dell’APE unico, si procede calcolando il valore dell’indice di prestazione, per l’edificio di riferimento, in corrispondenza dei parametri vigenti per gli anni 2019-2021. L’edificio di riferimento è lo stesso edificio oggetto della redazione dell’attestato, ma considerandolo di nuova realizzazione con il massimo delle prestazioni energetiche raggiungibili, sarà il confronto tra quello effettivamente esistente e quello di riferimento a determinare la nuova classe energetica. Il valore dell’indice di prestazione energetica dell’immobile oggetto dell’APE, individua la classe energetica da attribuire in base a una apposita tabella riportata nel decreto (tabella 2, paragrafo 5 delle nuove linee guida). Importante ricordare che in questo nuovo metodo di calcolo, entra in gioco anche il consumo avuto dall’immobile per l’illuminazione artificiale e nel caso di edifici a destinazione d’uso commerciale il consumo degli impianti di risalita. Per quanto riguarda le nuove classi energetiche nel nuovo modello APE, queste diventano 10 e sono calcolate sulla base dell’indice di prestazione energetica globale non rinnovabile dell’edificio EP gl,nr che va confrontato con la scala di classi dell’edificio di riferimento EPgl, nren (2019/21) dotato quindi di tecnologie impiantistiche standard e i requisiti minimi di legge. Ogni classe energetica è espressa in lettere dove la G rappresenta il maggior consumo energetico e la lettera A il minor consumo mentre il numero affiancato alla lettera, rappresenta il livello di prestazione energetica dove 1 è il livello più basso della classe A, per cui significa che l’Edificio è ad energia quasi zero. Inoltre per ogni scala di classe energetica, è stato inserito il requisito minimo che l’edificio avrebbe nel caso fosse una nuova costruzione conforme ai nuovi requisiti minimi in vigore al momento della compilazione e rilascio APE, (l’edificio di riferimento). Quali dati contiene il nuovo APE 2015? Nel nuovo modello di attestazione prestazione energetica le prime due pagine sono riservate alle informazioni relative alla qualità dell’involucro dell’edificio e dei suoi impianti, agli interventi che potrebbero essere effettuati per migliorare la prestazione al fine di abbassare i consumi e gli eventuali costi. Nelle pagine seguenti del nuovo APE si trovano invece le informazioni più tecniche come ad esempio i dati generali e identificativi del fabbricato, la tipologia d’uso e la prestazione energetica globale. In quest’ultima sezione è riportato appunto l’indice di prestazione energetica globale non rinnovabile calcolato in base ai servizi energetici presenti e gli impianti, la cui prestazione energetica è espressa anche con apposite emoticon (faccine sorridenti) per facilitare l’utente non del settore a comprendere meglio tale presentazione. Nella sezione Raccomandazioni del modello APE sono invece riportati tutti gli interventi che dovrebbero essere effettuati dall’utente per migliorare la prestazione energetica dell’edificio oggetto dell’attestazione mentre la sezione dati tecnici, riporta i dati dell’immobile in cui è stata effettuata la valutazione e la diagnosi. La sezione Certificatore, sopralluogo e software APE, invece sono indicati i dati del professionista che ha effettuato e redatto l’attestato, la data del sopralluogo e il tipo di software utilizzato per i calcoli che ricordiamo deve essere provvisto di dichiarazione di conformità. Inoltre il professionista dovrà verificare che l’impianto sia a norma, questo influirà sulla validità effettiva dell’attestato, infatti se l’impianto è registrato nel catasto impianti regionale, ed in regola con le manutenzioni, questo varrà dieci anni, in caso contrario la validità dell’attestato scadrà al 31/12 dell’anno in cui si effettua il sopralluogo. Nel D.M. della L. 90 vengono definiti i requisiti minimi che sono:

• Metodi di calcolo contenuti nelle norme UNI/TS 11300 parti 1, 2, 3 e 4 – Raccomandazione CTI 14/2013 e novità UNI EN 15193 (Prestazione energetica degli edifici – Requisiti energetici per illuminazione). Tra le nuove modalità di calcolo le più rilevanti sono quelle che riguardano la valutazione ponti termici, periodo di riscaldamento e di raffrescamento, consumo energetico degli impianti di ventilazione, recupero termico con le pompe di calore;

• Software e strumenti di calcolo presenti sul mercato, dovranno essere aggiornati e garantire al massimo uno scostamento del 5% rispetto a parametri elaborati con lo strumento nazionale di riferimento, SIAPE. Tale garanzia, sarà fornita attraverso una • Dichiarazione di conformità del software;

• Indici di prestazione energetica per definire la prestazione: EPH – climatizzazione invernale, EPC – climatizzazione estiva, EPW – produzione acqua calda sanitaria, EPV – ventilazione, EPL – illuminazione, EPT – trasporto di persone e cose. Indice di prestazione globale EPgl espresso in kWh/m2 per tutte le destinazioni d’uso è la somma di tutti gli indici;

• Le nuove norme APE verranno introdotte in modo graduale per cui sono definiti requisiti diversi in base al tipo di ristrutturazione, se di primo livello o di secondo livello, dove nel primo rientrano interventi per il rifacimento dell’impianto termico dell’intero edifico e nel secondo quelli che possono interessare anche l’impianto termico.

• Nuovi metodi di valutazione delle prestazioni energetiche: l’edificio reale soggetto a certificazione APE, viene confrontato con lo stesso edificio se fosse dotato di involucro e impianti in base ai requisiti minimi fissati dalla legge 90. Per cui, l’edificio di riferimento avrà caratteristiche geometriche, ubicazione, orientamento, destinazione d’uso uguali all’edificio reale, ma caratteristiche termiche e parametri energetici di riferimento determinate dalla legge.

• Nuova diagnosi energetica in caso di ristrutturazione o nuova installazione di impianti termici con potenza termica nominale ≥ 100 kW. Come garantire la professionalità degli attestati? Per effettuare controlli sulla redazione degli attestati viene istituito il SIAPE, che è il nuovo sistema informativo unificato che dovrà essere utilizzato in tutte le regioni a partire dal 1° luglio 2015. Tale strumento, servirà quindi a contenere tutti i dati relativi all’attestazione di prestazione energetica effettuati, in modo tale da dare alle Regioni la possibilità di svolgere i controlli di qualità sul servizio svolto del certificatore in sede di sopralluogo e compilazione dell’APE. Il SIAPE quindi servirà per verificare la correttezza dei dati e sulla base di questi, farà attivare accertamenti sulla documentazione APE, il rispetto delle procedure, le congruità delle valutazioni e delle diagnosi, oltre che ovviamente ai calcoli effettuati. A tal fine, l’ENEA entro 90 giorni dall’entrata in vigore del decreto attuativo alla legge 90, dovrà istituire una banca dati a livello nazionale chiamata Sistema Informativo o SIAPE per la raccolta dati relativi agli APE. Cosa cambia per gli utenti? Per l’utente cambia l’aspetto dell’attestato, reso più comprensibile dall’inserimento delle emoticon, per cercare di dare un indicazione chiara ed immediata, la garanzia di ottenere maggiore professionalità data da un sistema di controllo più accurato, e di provvedere ad una conduzione del proprio impianto termico in maniera più diligente.

Expo e contratti turistici: un’occasione per ripensare la locazione abitativa

L a manifestazione EXPO che si avvia al termine ha registrato, insieme con la cospicua affluenza di visitatori, la richiesta di alloggi privati per locazioni brevi. A questa richiesta ASPPI ha risposto fornendo (su Milano e comuni limitrofi) un servizio dedicato ai propri soci articolato su due tipologie: un servizio “chiavi in mano” con il quale il proprietario affida ad ASPPI tutta la gestione del contratto (a partire dalle fotografie dell’immobile, la predisposizione sui portali web dell’inserzione, il reperimento del conduttore, la transazione commerciale, il check-in e il check-out, le pulizie e il cambio biancheria, la manutenzione, ecc) ed un servizio più leggero che si limita a quelle prestazioni richieste di volta in volta dal socio. Il servizio è molto piaciuto e abbiamo l’intenzione di renderlo permanente: nelle città a forte impatto turistico così come nelle città sede di polo fieristico è sempre più sentita la voglia da un lato del conduttore di avere un’alternativa più comoda rispetto al classico albergo, da un altro del proprietario che non desidera imbarcarsi in locazioni troppo impegnative. I portali web che offrono servizi di questo tipo sono ormai numerosi e ben noti. ASPPI però, a differenza di essi, ha un “plus” costituito dal fatto di essere un organismo vivo, tangibile, a contatto diretto con le persone, e dalla consolidata esperienza e affidabilità. ASPPI non si maschera dietro società di servizi con sedi all’estero, ha sedi fisiche ove ciascuno può recarsi ogni qual volta lo ritenga e chiedere e ottenere tutte le informazioni di cui necessita. La trasparenza e l’organizzazione di chi opera nel campo tutti i giorni costituiscono da sempre il nostro biglietto da visita. Ora, nei numeri precedenti della rivista abbiamo provato a fornire un quadro delle locazioni a carattere turistico. Qui intendiamo fornire un una sorta di documento di sintesi, prendendo il via proprio dall’esperienza fieristica di EXPO, accompagnato da una proposta di revisione, o meglio di aggiornamento, della disciplina di cui al nostro ordinamento giuridico in tema di locazioni. Sappiamo infatti che la locazione turistica non ha ancora trovato una disciplina organica. Il codice civile si limita a dettarne i contorni, nel mezzo ci sono provvedimenti regionali, non necessariamente uniformi, uniti alla prassi che prova, non riuscendovi, a colmare i vuoti normativi. Oggi i proprietari di immobili che intendono concedere in locazione un alloggio si trovano di fronte ad una serie di problemi:

• l’assoluta incertezza circa i tempi di rilascio dell’immobile da parte del conduttore, non solo in caso di morosità (ciò che è più grave) ma anche in caso di finita locazione (ormai siamo a tempi di attesa di oltre un anno dopo l’ordinanza di convalida)

• la difficoltà, quando non l’impossibilità, di recuperare il proprio credito per canoni e spese non pagati e per danni (in questo, il pur meritevole intervento legislativo circa il fondo sociale per l’affitto e per la morosità incolpevole non ha dato i risultati sperati)

• la quasi impossibilità di ottenere idonei strumenti di garanzia • uno schema normativo ancora troppo vincolistico Il quadro normativo di cui alla Legge 431/98, che non smetteremo mai di salutare come una vera e propria Luce dopo gli anni bui dell’equo canone, prevede infatti solo 3 tipologie di contratto

• il contratto 4+4 a canone libero

• il contratto 3+2 a canone concordato

• il contratto transitorio (sempre a canone concordato)

con la opportuna precisazione che il contratto transitorio prevede una durata minima di sei mesi e la necessità, pena la sua invalidità, dell’allegazione dei documenti da parte del conduttore che testimonino la causa della transitorietà. Di fronte a questo quadro, è chiaro che restano escluse dalle tipologie previste dalla legge tutte quelle ipotesi (e sono moltissime) in cui la transitorietà non può essere documentata, così come quelle in cui le parti sono concordi nello stipulare contratti di durata inferiore ai sei mesi. Ecco perché sempre più proprietari cercano soluzioni contrattuali più snelle e meno rischiose. E’ evidente che lo stato attuale delle cose non consente di sperare in una vera e assoluta liberalizzazione delle locazioni (anche se non dobbiamo dimenticarci, come recitava il nostro manifesto dell’ultimo Congresso Nazionale tenutosi a Bologna due anni or sono, che l’Italia riparte se riparte la casa). E’ possibile, tuttavia, tentare di intraprendere una strada che conduca sempre più verso una disciplina il meno vincolistica possibile (e ciò, sia per le locazioni abitative, sia per le locazioni commerciali che ancora, dal 1978, soffrono il limite del 6+6). Per dirla in parole più semplici, meno vincoli si mettono al mercato della locazione, più in fretta riparte il mercato della locazione. E non è vero che ciò danneggerebbe i conduttori. Da un lato infatti, spesso e volentieri sono gli stessi inquilini che pretendono contratti brevi, da un altro chi vuole mettere a reddito una seconda casa, magari per pagare un mutuo o avere una seconda entrata che in famiglia non c’è, è ben contento di affittare anche per periodi lunghi. Da un altro punto di vista, non meno importante, una normativa che desse disciplina organica a quelle “zone d’ombra” in cui ancora molti si trovano a vagolare e regolamentasse meglio tutte le locazioni brevi, sarebbe senza dubbio un forte incentivo per fare emergere e dare legittimità piena a tutte quelle situazioni ancora non in chiaro sotto il profilo fiscale, con incremento di gettito per lo Stato. Insomma, con l’EXPO i proprietari che si sono messi in gioco nelle locazioni brevi, hanno capito (e hanno fatto capire a noi) che è il momento di cambiare qualcosa. Noi metteremo in campo le nostre forze. Diamoci una mano tutti insieme.

Il fondo per la morosità incolpevole

A poco più di un anno di distanza dalla creazione del Fondo destinato agli inquilini morosi incolpevoli occorre fare un primo bilancio sulla effettiva applicazione di questo istituto. Come si ricorderà (si veda il n. 2/2014 di questa rivista, pag.18) la nuova figura della c.d. “morosità incolpevole”, introdotta per la prima volta dal D.L. 102/2013 (sul sostegno alle politiche abitative) convertito nella legge 28.10.2013 n. 124 e meglio delineata con il D.L. 28.03.2014 n. 47 (c.d. Piano Casa) convertito in legge n. 80/2014 del 24.05.2014, prevedeva lo stanziamento di nuove risorse da parte dello Stato per far fronte all’emergenza sociale della morosità involontaria degli inquilini e delle migliaia di sfratti che ne sono la conseguenza. Nel fondo di cui sopra vengono convogliati contributi statali da erogarsi alle Regioni, che vi aggiungono ulteriori risorse e li distribuiscono a loro volta ai singoli Comuni. La distribuzione dei fondi viene fatta in base al numero di sfratti intimati in ogni regione e in ogni comune. I Comuni provvedono a distribuire le risorse ricevute sulla base di appositi bandi e graduatorie. Ogni comune ha approvato i propri regolamenti in materia (prevedendo bandi a cadenze periodiche) in modo autonomo, pur rispettando i principi generali e i limiti posti dal decreto ministeriale attuativo del 14.05.2014. In genere tutti comuni hanno previsto la possibilità di erogare il contributo (che va ai locatori) nei casi indicati dall’art. 5 del decreto e cioè: • nel caso di sottoscrizione con il locatore di un nuovo contratto con canone concordato. In questo caso il contributo per il locatore è previsto in misura diversa da comune a comune; • nel caso in cui la ridotta capacità economica del conduttore non gli permetta di versare il deposito cauzionale di 3 mesi per stipulare un nuovo contratto per un altro alloggio. In questo caso il contributo a copertura del deposito cauzionale viene erogato al nuovo locatore; • nel caso in cui il locatore sia disponibile a differire l’esecuzione del provvedimento di rilascio fino al reperimento da parte dell’inquilino di un altro alloggio, per lo più tramite Agenzie sociali per l’affitto all’uopo delegate dal Comune. Anche in questo caso l’incentivo per il locatore varia, anche sensibilmente, da comune a comune, ma in genere corrisponde al canone di locazione moltiplicato per ogni mese di differimento, con il limite massimo di 8.000 euro. Successivamente il Comune comunica l’elenco dei soggetti destinatari dei contributi alle Prefetture, per “le valutazioni funzionali all’adozione delle misure di graduazione programmata dell’intervento della forza pubblica nell’esecuzione dei provvedimenti di sfratto” e permettere l’accompagnamento sociale dei soggetti sottoposti allo sfratto verso un altro alloggio. L’istanza per l’accesso ai contributi spetta solo al conduttore e non al locatore. Statisticamente, l’ipotesi più applicata è stata quella del differimento della procedura di rilascio. Le somme stanziate fino ad ora dallo Stato per il fondo in questione sono state di 35,73 milioni di euro per il 2014 e di 32,73 milioni di euro per il 2015 (stanziamento avvenuto nel marzo di quest’anno), cui si sono aggiunte altre risorse provenienti dalle Regioni, per un totale complessivo di 83,39 milioni di euro. Tuttavia questa somma è stata utilizzata solo in minima parte. Secondo i dati diffusi dal sottosegretario alle Infrastrutture Umberto Del Basso De Caro, infatti, degli 83,34 milioni di contributi disponibili, risultano assegnati alle Regioni solo 23,49 milioni e, di questi, sono stati distribuiti ai Comuni poco più di 12 milioni. A fronte di questo scarsissimo utilizzo del fondo, è invece aumentato in maniera esponenziale il numero degli sfratti per morosità, che nel 2014 ha visto un incremento del 5,3% rispetto al 2013, e addirittura del 47,8% rispetto al 2008. Ciò sta a significare che l’istituto volto a fronteggiare la c.d. morosità incolpevole e a ridurre il numero degli sfratti, così come congegnato, alla prova dei fatti ha dimostrato di non essere sufficiente né particolarmente efficace per contrastare il fenomeno dilagante della morosità degli inquilini e la conseguente emissione di provvedimenti di rilascio. Ma come si spiegano risultati così poco lusinghieri? C’è chi ritiene che vi sia soprattutto un problema di trasmissione dei dati relativi al numero degli sfratti da parte dei Comuni, dati sui quali le Regioni devono basarsi per poter erogare le somme. Se i dati non vengono trasmessi, i fondi distribuiti necessariamente sono esigui. Le associazioni degli inquilini attribuiscono, invece, la causa dell’insuccesso soprattutto ai criteri troppo rigidi previsti dalla normativa e chiedono al Governo di modificare, da un lato, i criteri di distribuzione dei fondi ai Comuni e, dall’altro, i requisiti previsti per accedere ai contributi da parte degli inquilini. Sostengono, infatti, che l’aver limitato il diritto alla contribuzione ai soli Comuni capoluogo di provincia e ad alta tensione abitativa abbia penalizzato tutti quei comuni che, pur non rientrando nella previsione normativa, presentano il problema della morosità incolpevole in misura addirittura superiore rispetto ad altri comuni destinatari dei contributi. Lamentano inoltre che i requisiti richiesti agli inquilini per accedere ai fondi siano troppo restrittivi, con conseguente esclusione di tanti inquilini ugualmente bisognosi. Noi riteniamo, invece, che lo strumento in questione si sia dimostrato carente e sostanzialmente fallimentare soprattutto perché non è in grado di offrire al locatore un incentivo tale da permettergli di procrastinare ulteriormente il rilascio del proprio immobile. Non a caso i fondi antimorosità hanno avuto più successo in quei comuni in cui l’incentivo economico per il locatore è stato più alto (pur sempre con il limite massimo degli ottomila euro), e soprattutto in quei comuni come Torino, Bologna, Modena, Reggio Emilia e altri dove le amministrazioni hanno coinvolto le associazioni dei proprietari e degli inquilini in vista dell’emissione del regolamento comunale in materia. Non va dimenticato, infatti, che il danno economico che il locatore subisce a seguito della morosità del proprio inquilino è enorme, e quando arriva a ottenere lo sfratto esecutivo, spesso il suo credito ha già raggiunto livelli altissimi (anche anni di morosità), per cui, per concedere ulteriore tempo all’inquilino moroso, avrebbe bisogno che almeno in parte la morosità pregressa venisse coperta, e non soltanto i mesi dell’ulteriore differimento. A questo proposito, il limite di 8mila euro previsto dalla legge appare eccessivamente basso. Per quanto riguarda, poi, la possibilità di stipulare un nuovo contratto con il proprio inquilino moroso, comportante la rinuncia pressoché totale al proprio credito, è abbastanza improbabile che il locatore accetti, considerato che, una volta giunti allo sfratto, di solito i rapporti con l’inquilino si sono ormai deteriorati. Chiediamo quindi al Governo di ripensare e rivedere questo strumento che, nelle intenzioni, si prefiggeva il pregevole scopo di ridurre il numero degli sfratti per morosità.

La Corte Costituzionale boccia per la seconda volta la norma relativa alle sanzioni per i locatori non in regola con la registrazione dei contratti

Come si ricorderà, il D.L.vo n.23/2011 (all’art.3 commi 8 e 9) aveva previsto gravi sanzioni per il locatore in caso di mancata registrazione del contratto nei termini di legge (30 giorni), con l’intento dichiarato di scoraggiare la stipula di contratti di locazione in nero. La norma in questione prevedeva la possibilità per il conduttore di denunziare all’Agenzia delle Entrate l’irregolarità della registrazione e ottenere così un contratto di locazione ex novo con durata pari a 4 anni + 4 anni e un canone di locazione estremamente ridotto, pari cioè al triplo della rendita catastale. Con la sentenza n.50/2014 del 14.03.2014 era intervenuta la Corte Costituzionale, che aveva dichiarato incostituzionale, e quindi caducato completamente, la norma in questione. Senonché, appena due mesi dopo, la legge n. 80/2014 del 23.05.2014 di conversione del d.l. n. 47/2014, modificandone l’art.5 e introducendo il comma 1 ter, faceva salvi fino alla data del 31 dicembre 2015 (cioè per 21 mesi) tutti gli effetti prodottisi e i rapporti giuridici sorti sulla base dei contratti di locazione registrati ai sensi di quell’art. 3, commi 8 e 9, del d.lgs. n. 23/2011 che la Corte Costituzionale aveva appena soppresso. Noi criticammo aspramente un simile provvedimento (si veda l’articolo sul n. 2/2014 di questa rivista, a pag. 9), che ritenevamo illegittimo perché contrario al dettato costituzionale. Recentemente la Corte Costituzionale è nuovamente intervenuta sulla questione e ha confermato la fondatezza di quanto da noi sostenuto. Con la sentenza n. 169/2015 del 16.07.2015 ha dichiarato l’incostituzionalità anche di tale norma, affermando che al legislatore è vietato “mantenere in vita” o prorogare l’efficacia di norme dichiarate incostituzionali, norme che, ai sensi dell’art. 136 della Costituzione, non possono avere applicazione dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione d’incostituzionalità. A questo punto, quindi, a meno che il legislatore non intervenga nuovamente in questa materia (e ci si augura fortemente di no!), si è tornati alla situazione preesistente all’emanazione dell’art.3, commi 8 e 9, del D.L.vo n.23/2011, essendo stati ora eliminati anche quegli effetti che erano sopravvissuti in virtù della legge ora dichiarata incostituzionale. Ma cosa succederà in concreto ai rapporti caduti sotto la mannaia della norma poi dichiarata incostituzionale? Anche gli addetti ai lavori al momento non sembrano avere le idee chiare sul punto, anche perché questa perniciosa alternanza tra leggi e dichiarazioni di incostituzionalità fa sorgere un bel po’ di dubbi, soprattutto in relazione ai diritti quesiti dei conduttori. In sostanza, posto che il contratto registrato d’ufficio ai sensi del famigerato art. 3 del D.L.vo n.23/2011 non esiste più, e con esso è venuto meno anche il canone pari al triplo della rendita catastale, il locatore potrà ora pretendere dal suo inquilino il canone precedentemente pattuito? E da quando? Dal giorno successivo alla prima pronuncia della Corte Costituzionale (cioè dal 15.03.2015), da quello successivo alla seconda pronuncia o addirittura chiedere gli arretrati fin dall’inizio? A queste domande sicuramente verrà data risposta in sede giudiziale, perché è evidente che le varie situazioni concrete creeranno controversie tra le parti che saranno portate nelle aule giudiziarie. A parere di chi scrive, occorre fare prima di tutto una distinzione, a seconda che il contratto originario sia stato stipulato in forma scritta o solo verbale. Se si è in presenza di un contratto ora le, esso dovrebbe ritenersi nullo ai sensi della L.431/98, che richiede la forma scritta ab substantiam, cioè per la sua validità. Conseguentemente il proprietario dovrebbe poter agire nei confronti dell’occupante senza titolo al fine di ottenere il rilascio dell’immobile e il risarcimento per il godimento dello stesso. In proposito si è espressa recentemente la Suprema Corte con la sentenza n. 18214 del 17.09.2015 emessa a Sezioni Unite, che ha confermato che i contratti di locazione orali sono nulli alla stregua di quanto disposto dalla L. 431/98, fatta eccezione, però, per il caso in cui la forma orale sia stata imposta dal locatore e subita dal conduttore contro la sua volontà, nel qual caso il contratto viene fatto salvo ai sensi dell’art.13, comma 5 della L.431/98 con riduzione del canone libero a canone concordato. Però, ha precisato la Corte, “l’onere di provare che la forma orale è stata imposta dal locatore grava sull’inquilino”, prova sicuramente non facile da fornire da parte del conduttore. Nel caso, invece, in cui il contratto sia stato stipulato per iscritto (e naturalmente non sia stato registrato o sia stato registrato tardivamente), le cose si complicano, perché la giurisprudenza ha espresso in merito pareri piuttosto contrastanti e non vi sono ancora pronunce della Suprema Corte sul punto. Va precisato che il problema nasce dalla mancata o tardiva registrazione del contratto scritto, posto che l’art. 1, comma 346, della L. 311/2004 (legge finanziaria) sancisce che “i contratti di locazione (…) comunque stipulati, sono nulli se, ricorrendone i presupposti, non sono registrati”. Questa norma è ancora in vigore, nonostante sia stata a suo tempo sollevata la questione della sua incostituzionalità, questione però respinta perché mal posta. Per cui la registrazione è tuttora condizione di efficacia del contratto, indispensabile ai fini della promozione di procedure di sfratto. Sostanzialmente, le posizioni della giurisprudenza di merito, pur con diverse sfumature, sono sostanzialmente tre:

• Nullità sanabile del contratto con registrazione tardiva ed effetti “ex tunc” (cioè dalla sua stipula). In base a questa tesi il contratto può essere registrato in qualsiasi momento, spiegando i suoi effetti sin dall’inizio. Ciò comporterebbe per il locatore la possibilità di chiedere il canone pattuito fin dall’inizio della locazione.

• Nullità sanabile del contratto con registrazione tardiva ed effetti “ex nunc” (cioè dal momento della registrazione del contratto). Ciò comporterebbe che il locatore potrebbe pretendere il canone non percepito solo dall’avvenuta registrazione.

• Nullità radicale del contratto, non sanabile nemmeno con registrazione tardiva. Questa soluzione accomuna il contratto non registrato a quello verbale, per cui le conseguenze sono quelle di cui sopra. Per concludere, si può solo dire che la confusione è grande sotto il cielo! Solo con il tempo (e le pronunce dei giudici) potremo fare un pò di chiarezza sulla questione.

Voluntarydisclosure

Scadranno il 30 novembre 2015 i termini di presentazione all’UCIFI (Ufficio Controlli Illeciti Fiscali Internazionali) dell’Agenzia delle entrate dell’istanza di adesione alla voluntarydisclosure, la procedura di collaborazione volontaria finalizzata a regolarizzare le violazioni agli obblighi di dichiarazione annuale dei capitali detenuti all’estero compiute fino al 30 settembre 2014. I periodi oggetto della collaborazione volontaria e le sanzioni applicabili risultano differenziati per i Paesi con i quali vige un sistema di scambio di informazioni che consenta controlli incrociati in ambito fiscale (c.d. Paesi white list), per i quali risultano accertabili i periodi di imposta dal 2009 al 2013, mentre per i Paesi non collaborativi che non abbiano firmato un apposito accordo con l’Italia (c.d. Paesi black list), tali termini sono raddoppiati e decorrono dal periodo d’imposta 2004. La procedura di collaborazione volontaria interessa coloro che possiedono all’estero, tanto nel territorio dell’Unione europea quanto in Stati extra comunitari, beni immobili (anche ereditati), quali fabbricati di qualsiasi categoria, terreni, ovvero disponibilità finanziarie e titoli, dei quali non è stata dichiarata la disponibilità allo Stato italiano nel Modello Unico e nel Quadro RW. Trattasi di una sanatoria differente dagli “scudi fiscali” del 2001 e del 2009, in quanto non consente l’anonimato, è soggetta alle disposizioni in materia di riciclaggio e autoriciclaggio (nuovo reato che si realizza ogni qual volta che il prodotto dell’evasione venga spostato, investito o speso), ed interessa tutte le attività illecitamente detenute all’estero. Inoltre: • le imposte evase devono essere versate in maniera piena, senza poter applicare specifiche forfettizzazioni, previste unicamente con riferimento ai redditi di natura finanziaria inferiori a 2 milioni di euro, colpiti da un’aliquota del 27% su un rendimento presunto del 5% annuo; • le sanzioni sono ridotte e determinate secondo le disposizioni vigenti; • la procedura coinvolge il professionista in prima persona, prevedendo specifiche sanzioni in caso di violazione delle normative in materia di riciclaggio. Si osserva come l’Agenzia delle Entrate, con la circolare n. 27/E del 2015, abbia provveduto ad estendere i benefici premiali della procedura di voluntarydisclosureanche con riguardo all’IVIE (l’imposta sul valore degli immobili situati all’estero) e all’IVAFE (imposta sul valore delle attività finanziarie detenute all’estero), dovute per gli anni 2012 e 2013. È possibile semplificare e suddividere l’intera procedura in 5 fasi. 1. La prima fase, che richiede l’assistenza di un professionista abilitato,prevede una analisi della situazione e l’opportunità di dare avvio alla procedura di collaborazione volontaria. Occorre in particolare verificare: l’origine dei fondi; la presenza di eventuali soggetti collegati; la documentazione di supporto; le annualità accertabili; l’eventuale ricorso in passato agli “scudi fiscali”; la sussistenza delle condizioni per poter ricorrere allo strumento alternativo del “ravvedimento operoso”. 2. La seconda fase presuppone il conferimento del mandato al professionista per l’invio telematico all’Agenzia delle Entrate, entro il 30 novembre 2015, dell’apposita istanza. Per la consegna della relazione e della documentazione di corredo si ha tempo sino al 30 dicembre 2015. L’individuazione delle informazioni da trasmettere costituisce un’operazione delicata, in quanto occorre indicare, tra l’altro, l’origine ed i movimenti delle attività e gli imponibili non dichiarati agli effetti delle imposte sui redditi, delle addizionali, delle imposte sostitutive, dell’IRAP, dei contributi previdenziali, dell’IVA, e delle ritenute. 3. La terza fase interessa l’Agenzia delle entrate, che, acquisita la documentazione, provvede alla verifica, determina i maggiori imponibili, le somme dovute a titolo d’ imposte, sanzioni ed interessi e notifica al contribuente il relativo avviso di liquidazione.Nel corso di tale fase il contribuente può essere convocato per un eventuale contraddittorio, il che richiederà, necessariamente, il coinvolgimento del professionista che ha provveduto ad inoltrare l’istanza. 4. La quarta fase è successiva alla notifica dell’avviso di liquidazione delle somme dovute, riguarda la facoltà del contribuente di aderire alla procedura di collaborazione volontaria liquidando,entro il quindicesimo giorno antecedente la data fissata per la comparizione, quanto richiesto dall’Agenzia delle entrate, e beneficiando della riduzione delle sanzioni ad un sesto del dovuto. In alternativa il contribuente può avviare una procedura di accertamento con adesione e versare le somme dovute entro venti giorni dalla redazione dell’atto di adesione. Occorre rilevare come si debba ricorrere a tale seconda circostanza soltanto in presenza di errori “macroscopici” dell’Ufficio, in considerazione del fatto che beneficiando del maggior termine per avvalersi di questa procedura,le sanzioni raddoppiano essendo dovute con la riduzione ad un terzo anziché ad un sesto. 5. L’ultima fase riguarda il perfezionamento della procedura mediante il versamento delle somme dovute a titolo d’ imposta, sanzioni ed interessi. È data facoltà al contribuente di versare quanto dovuto in un’unica soluzione, oppure in tre rate di pari importo, mentre non è contemplata la possibilità di poter avvalersi della compensazione con eventuali crediti d’imposta. Entro 30 giorni dall’avvenuto versamento, l’Agenzia delle entrate provvede a comunicare all’autorità competente la conclusione della collaborazione volontaria. Il decreto-legge del 30 settembre 2015, n. 153, nell’estendere i termini di presentazione dell’istanza, dal 30 settembre al 30 novembre 2015, ha prorogato al 31 dicembre 2016 il termine di decadenza per l’accertamento e per la notifica dell’atto di contestazione relativamente all’annualità 2010 oggetto della procedura di collaborazione volontaria. Laddove l’autore della violazione abbia avuto formale conoscenza di accessi, ispezioni, verifiche o dell’inizio di qualunque attività amministrativa di accertamento, la collaborazione volontaria non è comunque ammessa. In uno scenario internazionale che prevede sempre la definizione di strumenti che garantiscano lo scambio automatico di informazioni tra i vari Paesi, compresi Montecarlo, Lussemburgo, Liechtenstein, San Marino, Svizzera, per il contribuente la voluntarydisclosurerappresenta probabilmente l’ultima occasione per regolarizzare la propria posizione e per dichiarare alle autorità fiscali i propri capitali, senza dover incorrere, in futuro, anche nel reato dell’autoriciclaggio.

Quali requisiti per l’amministratore di condominio

Ogni condomino attento alla gestione del suo patrimonio immobiliare lo sa: dopo la riforma del condominio l’amministratore deve avere alcuni requisiti. Non tutti possono quindi svolgere l’attività di amministratore di condominio, soprattutto se intendono svolgere professionalmente tale attività. I requisiti di cui parla la legge sono: • di carattere personale; • morali; • di carattere professionale; Del primo dei requisiti fa parte la previsione del godimento dei diritti civili. Del secondo dei requisiti fa parte la previsione di: • non aver subito condanne per reati contro il patrimonio, la pubblica amministrazione, la fede pubblica, • non aver subito condanne per reati non colposi puniti con una pena non inferiore a 2 anni nel minimo e 5 anni nel massimo (si tratta ad esempio del reato di truffa, appropriazione indebita e molti altri); • non deve aver subito misure di prevenzione divenute definitive; • non essere stato interdetto o inabilitato e non aver subito protesto. Del terzo dei requisiti fa parte la previsione di: • avere conseguito un diploma di scuola secondaria di secondo grado, se non ha esercitato la professione di amministratore per almeno un anno dei tre anni precedenti l’entrata in vigore della riforma e se non è condomino nello stabile che amministra; • aver frequentato un corso di formazione iniziale, se non ha esercitato la professione di amministratore per almeno un anno dei tre anni precedenti l’entrata in vigore della riforma e se non è condomino nello stabile che amministra. In ogni caso, salvo sia lui stesso un condomino tra coloro che fanno parte dello stabile che amministra, deve curare la propria formazione periodica. La legge quindi ha impostato un meccanismo che fa discutere: se l’attività di amministratore è svolta professionalmente, occorre avere un titolo di studio, aver seguito un corso di formazione iniziale e curare il proprio aggiornamento periodico, ma se il condominio sceglie di farsi gestire da uno dei condomini, questi non è tenuto nè ad essere adeguatamente formato nè ad essere aggiornato. Si tratta, in effetti, di un paradosso, perchè, in ogni caso, non vengono meno le incombenze e le responsabilità dell’amministratore, da nessun punto di vista, nemmeno nel caso in cui lo stabile gestito fosse un condominio minimo di pochi condomini. Se la mancanza di nomina dell’amministratore non sottrae il condominio dalle incombenze fiscali, come pure da ogni altra responsabilità – ad esempio conseguente ai danni provocati dai beni comuni, come pure conseguente all’applicazione della normativa sulla sicurezza nei luoghi di lavoro – il conferimento del mandato di gestione ad un soggetto specificamente individuato come amministratore determina in capo a tale soggetto l’assunzione di una serie di incombenze e di responsabilità che non trovano alcuna attenuazione per effetto della circostanza che si tratti di un condomino “diligente” e non di un professionista. Questi, quindi, si espone a gravi rischi di cui potrebbe non avere contezza e l’eventuale gratuità della prestazione resa a favore del condominio lo esonera da tali rischi solo in maniera marginale. Nessuno sconto invece viene fatto dalla legge per quanto riguarda i requisiti di onorabilità. Nella formulazione originaria, la legge di riforma del condominio non aveva previsto i contenuti della formazione iniziale e dell’aggiornamento, ma una parziale “riforma della riforma“ contenuta nel Decreto Legge cosiddetto “Destinazione Italia” entrato in vigore circa sei mesi dopo la riforma del condominio, ha previsto che fosse il Ministero della Giustizia a dettagliare i contenuti della formazione iniziale e continua. Il Ministero ha infatti poi provveduto con il DM 140/2014 ed attualmente è previsto un programma di studi piuttosto dettagliato, che comprende anche materie trasversali (come ad esempio la sicurezza statica degli edifici, il risparmio energetico, la sicurezza degli impianti tecnologici, la prevenzione incendi), una durata minima dei corsi (72 ore per la formazione iniziale, 15 ore per l’aggiornamento), la presenza di un responsabile scientifico e di docenti qualificati. E se comunque venisse nominato un amministratore privo dei requisiti previsti dalla legge? Se l’amministratore non ha i requisiti di carattere morale o comunque li perde, cessa dall’incarico: così dispone infatti l’art 71 bis Disp Att Cod Civ. In tale evenienza, ciascun condomino può convocare “senza formalità” l’assemblea per la nomina del nuovo amministratore. E’, in pratica, un’ipotesi di decadenza immediata dall’incarico, per il solo venire meno dei requisiti obbligatoriamente previsti. La dicitura “senza formalità” contenuta nell’art 71 bis Disp att Cod Civ pare doversi intendere con riferimento all’art 66 Disp Att Cod Civ: in pratica, fermo l’obbligo di convocare tutti i condomini con regolare avviso scritto inviato secondo le modalità previste dalla legge, la disposizione esonera solo dall’invio della preliminare richiesta all’amministratore di convocare l’assemblea ed attendere poi il decorso di 10 giorni per poter procedere autonomamente alla convocazione. L’art. 71 bis Disp Att Cod Civ nulla dispone, invece, in caso di mancanza originaria dei requisiti relativi al grado di istruzione secondaria o di mancanza di formazione iniziale come pure di inottemperanza all’obbligo di aggiornamento professionale. Nello specifico, la perdita o la mancanza all’origine dei requisiti di formazione o aggiornamento non determina la cessazione “automatica” dall’incarico, come avverrebbe per la perdita dei requisiti di tipo “morale”. Anche un solo condomino, però, può determinarsi ad avviare il procedimento di revoca giudiziale previsto dall’art 64 Disp Att Cod Civ. L’assemblea, peraltro, non avrebbe la possibilità di assumere una decisione contraria alla legge, come accadrebbe nel caso in cui ritenesse di conferire o confermare nell’incarico un amministratore che non avesse uno dei requisiti obbligatori: la delibera sarebbe annullabile, ma nulla vieta comunque ad un condomino “diligente” di promuovere il meccanismo di revoca di cui sopra. Proposto ricorso per la revoca giudiziale dell’amministratore, il Tribunale provvede in camera di consiglio, con decreto motivato, sentito l’amministratore in contraddittorio con il ricorrente. In ultimo, osserviamo che l’amministratore può rinunciare all’incarico, senza necessità di precisarne le ragioni, anche prima della scadenza annuale. Le dimissioni determinano la cessazione del mandato dal momento in cui sono comunicate all’assemblea. Non occorre alcuna forma di accettazione da parte dei condomini: l’assemblea ha solo il diritto di pretendere la consegna di tutta la documentazione amministrativa riguardante il condominio in possesso dell’amministratore. In ogni caso di cessazione dall’incarico, prima della riforma del condominio, si riteneva che l’amministratore cessato continuava ad esercitare i propri poteri nell’ambito di un regime di proroga i cui limiti non sono stati mai ben definiti. La riforma ha invece previsto che alla cessazione dall’incarico l’amministratore potrà eseguire solo le attività urgenti al fine di evitare pregiudizi agli interessi comuni, senza peraltro diritto ad ulteriori compensi (art 1129 comma 8 Cod Civ). Lo stesso amministratore, in caso di dimissioni, potrà chiedere al Tribunale la nomina di un nuovo amministratore ove i condomini siano più di otto.

Cosa si aspettano i condomini dall’amministratore: un breve vademecum

La riforma del condominio é entrata nelle nostre case ormai da mesi. Forse non tutti i nuovi strumenti di gestione sono stati pienamente compresi dai condomini e dubbi ed incertezze interpretative non mancano. Tuttavia, un aspetto della riforma é stato pienamente accolto dai condomini. Si tratta dell’evoluzione della figura professionale dell’amministratore. La strada verso una marcata accentuazione delle competenze trasversali di questo professionista è in realtà una lunga strada su cui gli amministratori hanno dovuto incamminarsi, quanto meno dagli anni 90, quando si sono consolidate le norme relative alla sicurezza impiantistica, alla tutela dell’ambiente, alla sicurezza nei luoghi di lavoro. Le normative sulle agevolazioni fiscali e l’inquadramento del condominio tra i sostituti di imposta hanno completato il quadro. Le aspettative dei condomini sono quindi cresciute nel tempo e le maggiori incombenze dell’amministratore, nonché gli strumenti di controllo della gestione introdotti dalla riforma del condominio ne hanno confermato la legittimità. Dall’amministratore i condomini si attendono oggi non solo buone capacità di gestione del patrimonio immobiliare esistente, ma anche la capacità di guidare la comunità condominiale nelle scelte relative all’implementazione di nuovi servizi, come pure la capacità di pianificare innovazioni che accrescano il valore del fabbricato. Tutto questo, s’intende, dando per scontato la correttezza e la trasparenza della gestione. Come fare quindi a scegliere un buon amministratore o almeno a creare i presupposti perché il rapporto con questo professionista sia ben impostato? Una strategia in tre mosse, utili anche per l’amministratore.

1 – La lettera di incarico La legge (art 1129 comma 2 Cod Civ) ora prevede che l’amministratore, non solo in occasione della prima nomina, ma anche ad ogni rinnovo dell’incarico, sia tenuto a comunicare i propri dati anagrafici e professionali, il codice fiscale, o, se si tratta di società, anche la sede legale e la denominazione, il locale ove si trovano i registri condominiali nonché i giorni e le ore in cui ogni interessato, previa richiesta all’amministratore, può prenderne gratuitamente visione e ottenere, previo rimborso della spesa, copia da lui firmata. Inoltre la legge (art 1129 comma 14) prevede che, all’atto dell’accettazione della nomina e del suo rinnovo, l’amministratore sia tenuto a specificare analiticamente, a pena di nullità della nomina stessa, l’importo dovuto a titolo di compenso per l’attività svolta. La legge (art 1129 comma 3) consente, peraltro, all’assemblea di pretendere che la nomina dell’amministratore sia subordinata alla presentazione ai condomini di una polizza individuale di assicurazione per la responsabilità civile per gli atti compiuti nell’esercizio del mandato. Non basta: in effetti la legge fissa alcuni requisiti di onorabilità nonché relativi al possesso di titoli di studio, come pure di formazione e di aggiornamento professionale dell’amministratore su cui l’assemblea ha diritto di ricevere dettagliate indicazioni e di sottoporle ad un vaglio approfondito (art 71 bis Disp Att Cod Civ). Meglio quindi che tutto quanto sopra trovi posto in un vero e proprio contratto d’opera, in cui sarà anche opportuno inserire sia disposizioni di dettaglio sull’emolumento dell’amministratore – come ad esempio la previsione del rimborso delle spese solo se effettivamente sostenute e documentate, nonché il compenso in caso di esecuzione di lavori di manutenzione straordinaria – che altre disposizioni relative all’esecuzione del mandato. Nel caso, quindi, in cui i condomini vogliano assoggettare l’amministratore a regole piú stringenti nella gestione di quanto preveda la legge, il contratto é proprio il documento dove tali regole possono trovare posto: si pensi alla convocazione dell’assemblea annuale entro un termine più breve di quello di sei mesi previsto dall’art 1130 Cod Civ oppure all’impegno di inviare la convocazione dell’assemblea con maggiore anticipo del termine breve di cinque giorni previsto dall’art 66 Disp Att Cod Civ. Nel contratto potrebbe trovare posto anche una clausola mediativa, per cui le controversie con l’amministratore siano deferite alla competenza di un organismo di mediazione, eventualmente già individuato, prima di adire l’autorità giudiziaria. Per l’amministratore, dal canto suo, può essere il caso di fare salva esplicitamente la possibilità di rinunciare al mandato qualora il condominio deliberi di intraprendere azioni contrarie alle leggi o ai regolamenti, come pure se venissero a lui richieste azioni in contrasto con le regole di una corretta amministrazione o con la dignità professionale. Ancora più importante potrebbe essere una clausola di esonero da responsabilità per i danni cagionati dall’abuso dei beni comuni da parte dei condomini. La regolazione dell’accesso alla documentazione condominiale è, peraltro, di estrema importanza sia per I condomini che per l’amministratore: la legge, che pure impone la disponibilità dell’amministratore al riguardo, come abbiamo visto sopra, lascia spazio alle parti nel definirne tempi e modi; per l’amministratore significa non rimanere imprigionato in aspettative poco opportune di interferenza nella gestione, per i condomini si tratta di rendere effettivo e funzionale l’esercizio di un importante diritto alla trasparenza nella gestione.

2 – La polizza di assicurazione La legge non l’ha mai citata in passato e la sua previsione nella riforma del condominio é lasciata all’attenzione dell’assemblea. Se l’assemblea decide di subordinare la nomina del nuovo amministratore al possesso di una polizza per la responsabilità professionale e il professionista non è in grado di documentare l’avvenuta stipula della polizza, il mandato conferito dall’assemblea si ritiene valido, ma rimane sospeso fino alla stipula della polizza medesima. La polizza dell’amministratore deve infatti essere presentata all’atto di accettazione della nomina che è necessariamente successiva alla delibera assembleare di incarico. Invece l’omessa consegna della copia della polizza richiesta dall’assemblea o comunque l’omessa comunicazione degli elementi identificativi della polizza assicurativa, comporta la nullità del contratto stipulato. Per l’amministratore, si tratta di un costo aggiuntivo: gli oneri della polizza, infatti, salvo specifici accordi, restano di competenza del professionista, ma si tratta di un aspetto su cui è facile immaginare che l’assemblea concentri la propria attenzione nel valutare l’offerta di ogni candidato. Il nuovo testo dell’art 1129 Cod Civ contiene peraltro una disposizione per cui l’amministratore è tenuto ad adeguare i massimali della polizza se nel periodo del suo incarico l’assemblea deliberi lavori straordinari. Tale adeguamento non deve essere inferiore all’importo di spesa deliberato e deve essere effettuato contestualmente all’inizio dei lavori. Alcuni commentatori hanno letto tale disposizione in senso particolarmente stringente, come se fosse stato istituito un vero e proprio obbligo di copertura assicurativa del professionista in caso di lavori straordinari, ma tale interpretazione non appare coerente con il testo della norma che nel paragrafo precedente fa riferimento alla libera determinazione dell’assemblea. Se l’amministratore assicurato non provvede al necessario adeguamento previsto dalla legge cosa accade? Dal punto di vista della validità della delibera relativa ai lavori straordinari, tale inadempimento appare irrilevante: si tratta infatti di una questione che attiene alla figura dell’amministratore e che si riflette solo sul suo incarico.

3 – L’iscrizione ad un’associazione Di questo aspetto non è la riforma del condominio ad occuparsi, ma la Legge 4/2013 sulle professioni non organizzate in ordini. Secondo questa legge, le associazioni professionali, oltre a promuovere la formazione permanente dei propri iscritti, sono responsabili della conservazione da parte dei medesimi degli standard qualitativi e di qualificazione professionale. Il Ministero dello sviluppo economico conserva un registro, liberamente accessibile in Internet, in cui sono elencate le associazioni che rilasciano ai propri iscritti l’attestazione della qualifica professionale sulla base di un percorso di formazione ed aggiornamento da esse stesse definito. Non è obbligatorio essere iscritti ad un’associazione, ma per l’utente significa che un soggetto indipendente attesta l’effettivo possesso e l’effettiva conservazione dei requisiti di qualificazione professionale e si preoccupa di garantire formazione e aggiornamento del professionista in linea con le disposizioni ministeriali di attuazione della riforma del condominio. Certo, non tutte le associazioni sono uguali: la Legge 4/2013 dispone che le associazioni che si assumono una tale responsabilitá, come l’Associazione Sesamo, dettaglino ogni informazione utile al riguardo attraverso il proprio sito Internet ed istituiscano uno “sportello del consumatore” a cui è possibile rivolgersi in caso di controversie con il proprio iscritto: uno strumento importante per affrontare ogni problema con il proprio amministratore con maggiore serenità. L’Associazione Sesamo si è dotata inoltre di un codice etico che riguarda sia il rapporto dell’amministratore con i propri mandatari che con gli altri professionisti, di un Comitato tecnico scientifico a supporto della formazione ed aggiornamento dei propri iscritti, di un collegio di Probiviri che valuta la conformità della condotta di ogni iscritto alle norme etiche e regolamentari dell’associazione, facilmente consultabili on line. La riforma pensa, quindi, ad un condomino, “consumatore” di servizi di alto profilo, un “consumatore” consapevole ed esigente ed all’amministratore come un professionista di servizi ad alto valore aggiunto: entrambi hanno l’associazionismo come un vero strumento di promozione e tutela. ASPPI e Sesamo hanno raccolto la sfida.

Dall’Amministratore di Condominio al Manager

La prima evoluzione storica del condominio ha visto il passaggio da un regime capitalista ( l’edificio di proprietà di un unico titolare) ad un regime democratico con l’urbanesimo e l’accentramento demografico e,naturalmente, a questa fase ha fatto seguito la necessità di una regolamentazione giuridica che ha poi trovato corpo in una raccolta legislativa quale quella del Codice del 1942. Una ulteriore evoluzione ha interessato, nel tempo, la legislazione speciale e quindi si è andati avanti con una normativa frammentaria che, come conseguenza, ha portato ad un consistente contenzioso. Abbiamo dovuto attendere 70 anni per vedere nel 2012 una riforma organica che mettesse mano al codice del’42. La legge di Riforma del Condominio n. 220 del 2012 comunque,più che una vera riforma, ha recepito orientamenti giurisprudenziali di legittimità che, nel tempo, si sono consolidati ma, è con riferimento all’Amministratore di condominio che, possiamo dire, ha introdotto elementi di novità per cui ne viene fuori un professionista ben organizzato che deve possedere sempre di più competenze interdisciplinari tecniche, amministrative, fiscali e giuridiche. Due sono, quindi, le innovazioni legislative che inducono a riconsiderare il ruolo e la figura dell’Amministratore di Condominio, si tratta della legge di Riforma, come abbiamo detto, (in vigore dal 18 Giugno 2013) che introduce importanti requisiti per l’esercizio della professione, maggiori è più stringenti obblighi e conseguenti responsabilità e la legge 4 del 14 Gennaio 2013, che disciplina le professioni non regolamentate, ovvero tutte quelle non organizzate in ordini o collegi, fra cui rientrano gli Amministratori di Condominio. Come conseguenza, con l’entrata in vigore della legge 220/2012 e del DM 140/2014 (Regolamento sul la formazione e l’aggiornamento degli Amministratori di Condominio) anche la norma UNI 10801/1988, che attualmente riguarda gli Amministratori di Condominio, passa attraverso una fase di revisione i cui lavori hanno preso le mosse lo scorso 10 Ottobre 2014, con l’istituzione di un apposito gruppo operativo. Un ruolo propulsivo dell’attività dell’assemblea dei condomini, e non solo l’esecuzione delle delibere, è demandato all’Amministratore che deve” disciplinare l’uso delle cose comuni e la fruizione dei servizi nell’interesse comune in modo che sia assicurato il miglior godimento a ciascuno dei condomini “ ( art.1130 secondo comma del c.c.). Se consideriamo che circa 24 milioni di persone vivono in edifici condominiali, che secondo i dati ISTAT e Cresme sono oltre un milione gli edifici con più di cinque alloggi nella cui gestione sono impegnati più di 300.000 amministratori che gli amministratori professionisti sono circa 37.000, che 240.000 gestiscono un solo condominio,generalmente quello di residenza, e che i laureati sono il 23 % del totale, da soli questi dati devono poter far riflettere, soprattutto se si affronta l’argomento anche su come è percepita dai condomini l’attività svoltata dagli Amministratori, in relazione alla quale occorrono competenze nuove, creative, innovative, in grado di soddisfare specifiche esigenze. L’amministratore può,certamente, assumere un ruolo che va ben oltre la mera esecuzione delle delibere e l’ordinaria gestione dei servizi: può essere colui attraverso il quale è possibile attuare la c.d. gestione evoluta del condominio e questo non solo in relazione alla possibilità che vede anche le Società di capitali poter amministrare condomini. È richiesta agli Amministratori la capacità di evolversi e c’è da prevedere che, sempre di più nuovi player avranno l’ interesse ad entrare in questo mercato da rinnovare. In molti casi occorre passare da gestioni condominiali artigianali ad evolute, manageriali, occorre, in un contesto in profonda trasformazione, una figura gestionale moderna ed aggiornata, in grado di rispondere, con strumenti appropriati, all’evoluzione normativa in atto, che sia in grado di affrontare l’attività con un approccio organizzativo diverso: occorre quindi una più marcata professionalizzazione della figura dell’ Amministratore. Sempre meglio un Amministratore dovrà assicurare la sicurezza, la salute delle persone che vivono in condominio, l’efficienza delle manutenzioni. E, se l’Amministratore è l’interfaccia tecnico-manutentiva di un edificio e di coloro che lo vivono, è a lui demandato un ruolo manageriale e anche propositivo di rilievo. La consapevolezza di gestire un patrimonio, in molti casi da riqualificare,dove una micro domanda si rivolge ad una micro offerta, lascia immaginare spazi interessanti per un approccio nuovo, in cui anche il Facility Management può dare delle risposte in termini di efficienza, trasparenza, soddisfazione dell’utente. Di fronte ad un mondo che si evolve, cambiando anche attraverso la tecnologia, è del tutto evidente che una nuova sfida sta nella qualità . Un ‘esigenza avvertita in ambito condominiale,correlata alla gestione, quindi il passaggio da un fare artigianale alla gestione del fare deve considerare una serie di fattori, come la qualità dei servizi, una maggiore attenzione all’ ambiente, la programmazione del servizio. Quale ruolo può avere un Amministratore manager? Può, ad esempio, far comprendere l’importanza che riveste l’elaborazione di un piano di manutenzione programmata come strategia preventiva, al fine di preservare, nel miglior modo possibile, l’edificio ed i suoi impianti, può giocare un ruolo fondamentale se si parla di riqualificazione energetica, può portare cultura e la pratica della qualità, ancora può favorire la valorizzazione degli spazi condominiali, si pensi ad es. alla biblioteca in condominio, alla lavanderia comune, agli orti comuni, così come farsi promotore del “condominio solidale”, attraverso il cohousing sociale . L’amministratore manager può elevare la gestione portandola nel mondo dei servizi integrati e divenire responsabile di un processo che passa dalla quantità alla qualità, per creare valore e questo può avvenire attraverso gestioni evolute del patrimonio immobiliare che puntino a mutuare le buone pratiche, che attualmente vedono il Facility Management come supporto strategico nella gestione e valorizzazione di patrimoni immobiliari pubblici e urbani. Abbiamo davanti una nuova frontiera, una opportunità, su cui avviare riflessioni ed un confronto purchè si affronti l’argomento delle gestioni condominiali secondo un nuovo approccio strategico, con il fine di delineare un modello di gestione evoluta degli immobili, anche negli edifici condominiali, e solo così si potrà pensare di passare, anche attraverso la gestione integrata dei servizi per gli edifici condominiali, a modelli di gestione dei servizi per l’insediamento e di parti di città.

Contabilizzazione del calore: si avvicinano le scadenze

T utti gli impianti termici a servizio di più unità immobiliari, anche se alimentati da reti di teleriscaldamento, dovranno essere dotati di sistemi di termoregolazione e contabilizzazione del calore. Il quadro normativo europeo e nazionale fissa questa scadenza al 31/12/2016. Alcune Leggi regionali hanno disposto scadenze più ravvicinate.

Richiamiamo di seguito le principali fonti normative

Contabilizzazione del calore: qualcosa da non dimenticare

Le sanzioni per gli inadempienti Le varie disposizioni regionali prevedono sanzioni pecuniarie. In alcuni casi per far fronte alla crisi economica in atto (come in regione Lombardia), pur rimanendo l’obbligo di installazione e la scadenza, le sanzioni sono sospese o ritardate per dare la possibilità a tutti i condomini di mettersi in regola. Gli eventuali correttivi nella ripartizione La ripartizione evidenzia i problemi negli edifici: chi ha unità immobiliari più esposte vedrà bollette più elevate, esattamente come un impianto autonomo. Esistono dei coefficienti correttivi nella ripartizione? La UNI 10200:2013 non li prevede. Tuttavia se l’assemblea condominiale volesse suddividere le spese compensando gli alloggi maggiormente sfavoriti in termini di esposizione, è possibile adottare il principio di compensazione, che ha lo scopo di tener conto delle situazioni sfavorevoli a causa dell’ubicazione dell’alloggio all’interno della palazzina, ad esempio l’esposizione verso nord o la posizione dell’alloggio sotto il tetto. Il riparto và realizzato secondo i consumi lo indica il Codice Civile, la Legge 10 e la UNI 10200. Non possono avere valore decisioni condominiali che ripartiscano esclusivamente secondo i millesimi. Il distacco dagli impianti centralizzati Nonostante la disciplina statale relativa al contenimento dei consumi energetici degli edifici enuncia in linea di principio che “è preferibile il mantenimento di impianti termici centralizzati laddove esistenti”, ammette in via eccezionale che l’impianto termico centralizzato possa essere trasformato in impianti con generazione di calore separata per ogni singola unità abitativa, qualore sussistano cause tecniche o di forza maggiore dichiarate in un’apposita relazione tecnica. (art. 4, comma 9 e comma 25 del D.P.R. 59/2009). Con la legge n° 220 del 11 dicembre 2012 (“Modifiche alla disciplina del condominio”) viene modificato l’articolo 1118 del Codice Civile. articolo 3 “Il condomino può rinunciare all’utilizzo dell’impianto centralizzato di riscaldamento o di condizionamento, se dal suo distacco non derivano notevoli squilibri di funzionamento o aggravi di spesa per gli altri condomini”. “ In tal caso il rinunziante resta tenuto a concorrere al pagamento delle sole spese per la manutenzione straordinaria dell’impianto e per la sua conservazione e messa a norma”. Tuttavia le regioni possono legittimamente dettare discipline più rigorose di quella nazionale. Alcune regioni infatti, provvedendo al recepimento della Direttiva 2002/91/CE, hanno emesso leggi regionali nelle quali si prevede l’impossibilità di distacco dall’impianto centralizzato. La regione Piemonte, per esempio, vieta il distacco da un impianto centralizzato (D.G.R. 4 agosto 2009 n°46-11968) e impone una sanzione amministrativa da 5000 € a 15000 € irrogabile finchè permane l’impianto individuale. (art. 20, comma 14 delle legge regionale 13/2007).

Il risparmio energetico per le nostre case

I l concetto di “risparmio energetico” da alcuni anni è entrato ormai a far parte della nostra quotidianità: elettrodomestici, lampadine, computer sono oggi progettati in modo da garantire elevati standard di efficienza energetica, con l’obiettivo di ridurre i consumi, abbassando i costi e preservando l’ambiente. A partire dalla fine del 2020 il risparmio energetico entrerà definitivamente “a casa nostra”: gli edifici di nuova costruzione dovranno essere conformi a standard più elevati di efficienza energetica e dovranno essere alimentati, in larga misura, con fonti di energia rinnovabile; gli edifici esistenti inoltre dovranno ridurre le spese energetiche, migliorando le prestazioni degli involucri e degli impianti, sia dei singoli immobili che degli edifici condominiali. L’imperativo sarà dunque ridurre i consumi delle nostre case, ottenendo in questo modo anche significativi risparmi sulle utenze domestiche, che ad oggi rappresentano una delle voci più importanti e gravose nel bilancio economico di ogni famiglia, soprattutto se si tiene presente la variazione che può subire in base all’andamento del mercato e all’importanza che essa ricopre nello svolgimento della vita quotidiana. Anche a livello condominiale la voce di costo relativa al riscaldamento è la più gravosa, incidendo pesantemente sulle quote di amministrazione dei singoli nuclei. L’ENEA rileva che dei circa 32 milioni delle unità abitative presenti sul territorio nazionale, solo una percentuale compresa dal 5 al 7% si trova nelle classi energetiche più alte (A,B,C, che rappresenta il livello di efficienza minimo consentito dalla legge per le nuove costruzioni). Sulla base di questi dati, non stupisce che le case del nostro Paese abbiano il più alto fabbisogno annuo dell’Unione Europea e siano responsabili di una spesa energetica complessiva di circa 30 miliardi di euro l’anno. Negli ultimi mesi nelle assemblee condominiali gli argomenti principalmente trattati sono le valvole termostatiche e di contabilizzatoti di calore. I motivi per cui è necessario installare un sistema di regolazione e contabilizzatore di calore negli immobili privati sono essenzialmente due:

1. bisogna adeguarsi alle normative inerenti la riduzione dei consumi energetici e delle immissioni inquinanti che dal 2017 renderanno obbligatori l’installazione di questi dispositivi;

2. sarà finalmente possibile ottenere una suddivisione delle spese di riscaldamento più equa in funzione degli effettivi consumi di ogni utente, abbandonando il classico sistema di suddivisione delle spese di riscaldamento a millesimi.

Di fronte a questo scenario di complesso mutamento degli stili di vita e di consumo delle popolazione, risulta fondamentale per un’Associazione che si occupa di proprietà immobiliare dotarsi di una struttura in grado di garantire professionalità e competenze per accompagnare in maniera consapevole i proprietari di immobili verso questo processo di cambiamento. Per gli obiettivi sopra esposti l’A.S.P.P.I. di Genova, consapevole dell’importanza del proprio ruolo, ha ricercato una soluzione che garantisse ai propri associati un servizio di consulenza in grado di pianificare interventi di risparmio energetico ed economico, usufruendo anche di importanti agevolazioni fiscali. Il servizio sarà realizzato e gestito in collaborazione con qualificate Aziende del settore, in grado di affiancare all’ordinaria assistenza informativa sulla materia, una specifica consulenza tecnica per la realizzazione di queste opere. Parallelamente l’A.S.P.P.I. di Genova si pone l’obiettivo di sviluppare rapporti virtuosi di collaborazione con le principali Associazioni di Amministratori Condominiali, affinchè si possano creare le condizioni per un cambiamento culturale circa l’approccio agli interventi di riqualificazione energetica anche a livello condominiale. Riteniamo imprescindibile una metodologia unitaria e condivisa che metta al centro il primario interesse del singolo proprietario/ condomino in un’ottica di valorizzazione del patrimonio immobiliare privato, collaborando in maniera propositiva anche nei confronti delle Istituzioni preposte (Regioni e Comuni) nell’interesse non solo dei singoli, ma dell’intera collettività. L’obiettivo di questo percorso sarà quindi informare e rendere consapevoli i proprietari circa le opportunità offerte dall’ attuale contesto, evidenziando come intraprendere interventi di risparmio energetico nelle proprie abitazioni significhi:

1. ridurre le spese di riscaldamento, consumando meno energia;

2. migliorare le condizioni di vita all’interno dell’immobile, aumentando il livello di confort;

3. tutelare l’ambiente, contribuendo alla riduzione dell’inquinamento delle nostre città;

4. investire in modo intelligente e produttivo i propri risparmi, per riqualificare e valorizzare il proprio patrimonio immobiliare.

Per presentare questa importante attività in data 16 aprile si è svolto a Genova il Convegno “Il Risparmio Energetico per la tua Casa” che ha visto la partecipazione del Presidente ANACI di Genova Pier Luigi D’Angelo, i rappresentanti del “Gruppo Aziende Associate per il Risparmio Energetico”, e il Presidente Nazionale AS.P.P.I. On. Alfredo Zagatti.

Fisco amico: l’impatto delle detrazioni fiscali per ristrutturazioni e risparmio energetico

Sono stati di recente pubblicati, a cura del CRESME, i dati relativi al grado di utilizzo delle detrazioni fiscali per le ristrutturazione edilizie e il recupero di efficienza energetica degli edifici. Si tratta di dati veramente significativi: nel 2014 le domande relative ai due bonus assommano a 1.680.000. È un incremento dello 0,7 % rispetto al 2013, anno nel quale si era realizzato un vero e proprio boom (+45,2% rispetto all’anno precedente). Tale incremento ha riscontro ovviamente nel volume di investimenti privati che sono stati originati: quasi 28,5 miliardi pari a 2 punti di PIL nel 2014 (+1,8% rispetto al 2013). Si calcola che questa mole di investimenti si sia tradotta nel 2014 in 283.000 occupati in edilizia ed in altri 425.000 nei settori dell’indotto. Riuso, ristrutturazioni edilizie valgono oggi circa il 70% dell’attività edilizia contro il 30% rappresentato da lavori per nuove costruzioni. Si può ben affermare che il peso crescente di questo settore debba molto alla politica delle detrazioni fiscali, che ha preso avvio con il Governo Prodi nel 1998 e che gli ultimi Governi hanno avuto il merito di intensificare. ((Da ultimo con la decisione del Governo Renzi di prorogare fino al 31/12/2015 le attuali detrazioni al 50% e al 65%). Sono più di 11 milioni gli interventi incentivati attraverso questa politica dal suo avvio ad oggi. Si tratta quindi di un ottima scelta politica che noi pensiamo vada continuata e, in qualche maniera, diventare una scelta permanente. Le detrazioni che per lo Stato costituiscono un costo, sono in gran parte compensate dalle entrate fiscali generate da lavori che in altro modo non sarebbero realizzati; al tempo stesso si incentiva la riqualificazione edilizia ed energetica del nostro patrimonio immobiliare, con benefici evidenti. Si può immaginare una evoluzione di questa politica? Noi pensiamo di sì, almeno in due direzioni: In primo luogo, occorrerebbe allargare la politica delle detrazioni fiscali (e magari accompagnarla ad altre forme di incentivazione) alle politiche di riqualificazione di intere aree urbane, non solo di singoli edifici. In questo caso evidentemente le incentivazioni fiscali dovrebbero chiamare in causa anche la fiscalità locale (IMU e TASI). Il tema della riqualificazione urbana ha scontato in questi anni un significativo e colpevole ritardo che và colmato al più presto. La seconda direzione riguarda i cosiddetti ‘incapienti’ o comunque quei proprietari di immobili con un reddito talmente modesto da rendere poco attraenti gli incentivi fondati sulle detrazioni. Il problema è sempre più rilevante nei condomini. Il tasso di morosità crescente anche relativamente alle spese condominiali, l’impossibilità di quote crescenti di condomini di farsi carico di spese anche necessarie ed obbligate, che si traduce in ritardi o in impossibilità di deliberare, impone un ragionamento sulla necessità di immaginare forme di sostegno diretto, magari sotto forma di credito agevolato o garantito per chi non è in condizione di farcela da solo e e finisce per ritardare o bloccare importanti opere di riqualificazione edilizia o energetica. Il Governo ha dato prova di credere nella efficacia degli incentivi come forte misura anticiclica, a costi relativamente ridotti. Ne sono una prova due notizie degli ultimi giorni: la prima riguarderebbe l’intenzione da parte del Ministero dei Beni Culturali di incentivare un piano di recupero delle fcciate degli edifici attraverso detrazioni fiscali stabilite ad hoc; la seconda, riguarda l’annuncio dato dal Presidente del Consiglio al recente Salone del Mobile, di una prosecuzione, oltre i termini stabiliti, del bonus mobili ed elettrodomestici assicurato agli acquisti compiuti nell’ambito di ristrutturazioni edilizie. Benissimo, ci auguriamo che il Governo rifletta anche sulle proposte che qui sono intese avanzare.

La congiuntura immobiliare

Pubblichiamo in questo numero le principali risultanze del sondaggio congiunturale sul mercato delle abitazioni realizzato dalla Banca d’Italia e pubblicato nel Gennaio scorso. Nel quarto trimestre del 2014 la quota di agenti che hanno riportato un calo dei prezzi rimane predominante. Il pessimismo degli operatori sulle prospettive a breve termine del proprio mercato si è attenuato, a fronte di giudizi meno sfavorevoli sulle tendenze dei prezzi e della domanda. In un orizzonte di medio ter mine (due anni), il quadro è più positivo, con attese di miglioramento delle pro spettive del mercato nazionale in deciso rialzo a fronte di un ridimensionamento dell’incidenza di quelle di peggioramento; il risultato è diffuso in tutte le ripartizioni geografiche. 1. Introduzione Le interviste del Sondaggio congiunturale sul mercato delle abitazioni in Italia si sono svolte tra il 29 dicembre 2014 e il 30 gennaio 2015. Vi hanno partecipato 1.439 agenzie immobiliari1 (tav. 1). Le informazioni fornite riguardano l’attività di compravendita2, quella di locazione e i relativi prezzi, per il trimestre di rife rimento (ottobre-dicembre 2014) e in prospettiva. I principali risultati sono riassunti di seguito; le appendici A, B e C riportano, rispettivamente, la nota meto dologica, le tavole statistiche e il questio nario utilizzato. 2. I principali risultati Prezzi delle abitazioni Nel quarto trime stre del 2014 si è lievemente ampliato il saldo negativo tra le quote di operatori che segnalano un aumento oppure una diminuzione dei prezzi di vendita (a -66,8 punti percentuali, da -65,3 della rilevazio ne di ottobre; tav. 2 e fig. 1), riflettendo la minore incidenza dei giudizi di stabilità (31,6 per cento, da 33,3). La tendenza è stata comune sia alle aree urbane, sia a quelle non urbane. La congiuntura immobiliare Compravendite La quota di agenti che hanno venduto al meno un’abitazione nel quarto trimestre del 2014 è salita al 70,0 per cento (dal 64,4 nella precedente indagine; tav. 3). Anche i giudizi relativi alle condizioni della do manda sono risultati meno sfavorevoli: il saldo negativo tra gli agenti che riporta no un aumento oppure una diminuzione dei potenziali acquirenti si è ridimensio nato a -16,2 punti percentuali da -22,7 della precedente rilevazione (tav. 4)3. Incarichi a vendere Il saldo positivo fra le risposte di aumento e di diminuzione delle giacenze di incarichi a vendere si è ridotto (a 20,1 punti percentuali da 28,4 in ottobre; tav. 4), così come quello riferito ai nuovi mandati (a 15,5 punti percentuali da 19,7). La principale causa di cessazione dell’incarico rimane il divario tra prezzi di domanda e di offerta (tav. 5). È lievemente aumentata la quota di operatori che segnalano la percezione di prezzi di acquisto ancora troppo elevati (a 60,4 per cento, da 58,0 della precedente rilevazione), mentre è rimasta stabile quella di coloro che re gistrano offerte troppo basse (53,0 per cento). È invece diminuita l’incidenza di agenzie che riconducono la decadenza dell’incarico alla difficoltà di reperire un mutuo (35,7 per cento da 37,3). Agenzie immobiliari operanti nel settore della mediazione immobiliare su beni di terzi. 2 Sono oggetto di indagine le sole transazioni intermediate dagli agenti immobiliari, che si stima ammontino a circa la metà del totale. 3 Un confronto con lo stesso trimestre dell’anno precedente, che permetterebbe di depurare il dato dell’effetto della stagionalità, non è possibile perché la domanda è stata inserita per la prima volta nella rilevazione dello scorso aprile. Trattative e tempi di vendita Il margine medio di sconto sui prezzi di vendita rispetto alle richieste iniziali del venditore è rimasto stabile (16,1 per cento; tav. 6), con livelli leggermente inferiori al Nord (15,8 per cento) rispetto al Sud e Iso le (17,2 per cento). Anche il tempo medio che intercorre tra l’affidamento del man dato e la vendita dell’immobile si è mante nuto pressoché invariato (9,5 mesi; tav. 7). Modalità di finanziamento degli acquisti La quota di acquisti finanziati con un mutuo ipotecario è appena cresciuta, al 60,7 per cento (dal 59,9 in ottobre; tav. 7); anche il rapporto tra prestito e valore dell’immobile è aumentato (al 61,1 per cento, dal 59,3). Locazioni La quota di operatori che ha dichiarato di avere locato almeno un immobile nel quarto trimestre del 2014 è rimasta pressoché invariata, all’81,1 per cento (era pari all’80,7 per cento un anno prima; tav. 8). Nel contempo è appena aumentata l’incidenza di coloro che hanno segnalato una diminuzione dei canoni di locazione (a 53,2 per cento, da 52,6 dell’indagine di ottobre), a fronte della riduzione della quota di giudizi di stabilità (a 44,3 per cento, da 45,3). È cresciuta l’incidenza delle agenzie che si aspettano una stabilità dei canoni nel trimestre in corso (a 66,2 per cento, da 61,8 nella precedente rilevazione), mentre il 31,5 per cento ne prospetta una diminuzione (da 37,1). Il margine medio di sconto sui canoni rispetto alle richieste iniziali del locatore si è confermato intorno al 7,5 per cento (tav. 9). I nuovi incarichi a locare vengono segnalati come stabili dal 59,3 per cento degli operatori, mentre il saldo fra le risposte di aumento e di diminuzione è divenuto negativo, portandosi a 4,5 punti percentuali (era appena positivo in ot tobre). Le prospettive del mercato in cui ope rano le agenzie immobiliari sulle tendenze a breve ter mine del proprio mercato di riferimento: il saldo fra attese di miglioramento e di peggioramento nel trimestre in corso è stato negativo per 7,4 punti percentuali, da -20,4 della precedente rilevazione (tav. 10 e fig. 2). Il saldo sulle attese sui nuovi incarichi a vendere è appena aumentato (a 16,9 punti percentuali, da 16). La quota di operatori che anticipano una diminuzione dei prezzi nel trimestre in corso è scesa al 58,7 per cento (dal 61,2 della rilevazione di ottobre; tav. 10 e fig. 1), riflettendo un aumento dei giudizi di stabilità (al 40,4 per cento dal 38,4) e, in misura più contenuta, di aumento (allo 0,9 per cento dallo 0,3). Le prospettive del mercato nazionale delle compravendite Il saldo negativo dei giudizi sulle pro spettive a breve termine nel mercato nazionale si è contratto di quasi 11 punti percentuali, dal -33,7 per cento al -23,0, tav. 11) ed è aumentata di quasi 5 punti l’incidenza delle indicazioni di stabilità (al 60,0 per cento). In un orizzonte di medio termine (due anni) le attese denotano ot timismo: l’incidenza delle indicazioni di miglioramento ha segnato un netto rialzo (al 44,2 per cento dal 29,2 di ottobre), a fronte di un calo di quella relativa alle indicazioni di peggioramento (al 22,4 per cento dal 33,1).

Nuova convenzione nazionale per il canone concordato

P er le modalità di applicazione e attuazione dei contratti a canone concordato, previsti dalla Legge sulle locazioni 431/98, l’ultimo Decreto del Ministero delle Infrastrutture è stato pubblicato nel 2003. Il Decreto riportava buona parte dei contenuti della Convenzione Nazionale sottoscritta il 6 settembre 2002 fra le Associazioni della Proprietà e i Sindacati degli inquilini. In sede di sottoscrizione dei previsti accordi territoriali, che stabiliscono i criteri e i canoni da applicare, problematiche sostanziali, con riferimento al Decreto, non ne sono sorte. Semmai c’è da lamentare, in alcune città, l’adozione di canoni concordati poco competitivi rispetto al libero mercato, e di conseguenza il disinteresse dei proprietari ad adottare il canale agevolato. Anche, e non solo, per questo, sarebbe opportuno procedere alla definizione di una nuova Convenzione nazionale, che non stravolga l’attuale impianto ma tenda a meglio definire i punti critici emersi nell’esperienza acquisita. In primo luogo, occorre definire, negli accordi locali, modalità di asseverazione e certificazione dei contratti da parte delle organizzazioni firmatarie. La proposta, da definire nell’operatività, non è finalizzata soltanto a riconoscere il ruolo delle Associazioni in questo specifico comparto delle locazioni, ma a garantire, anche di fronte al fisco, l’applicazione corretta degli accordi territoriali, evitando ripercussioni negative sul canale concordato nel caso in cui risultassero usufruire di agevolazioni fiscali contratti non aderenti alla legge (sia nella modulistica, sia nel livello dei canoni). In secondo luogo, vi è necessità di rendere meno rigida l’applicazione dei contratti transitori in quei casi in cui la transitorietà sussiste ma non è documentabile. Ci riferiamo, ad esempio (ma non è l’unico), al caso di un appartamento lasciato in eredità, per il quale gli eredi devono ancora presentare la dichiarazione di successione e quindi decidere se venderlo o utilizzarlo in altro modo: nelle more della decisione hanno transitoriamente necessità di ricavarne un reddito, sia per coprire le spese condominiali, sia l’incidenza dell’Imu e di altre tasse. A livello più strettamente regolamentare, occorre indicare i criteri a cui attenersi per la stipula di contratti agevolati per porzioni di appartamento. L’affitto di singole stanze, a volte, si rende necessario ed è preferito dai proprietari, vuoi per la difficoltà a reperire contestualmente più inquilini (lavoratori o studenti), sia per evitare insofferenza alla solidarietà in caso di recesso anticipato di un solo inquilino. Nelle grandi città, convivono con le sedi universitarie numerose scuole di specializzazione tematica, a cui si accede soltanto con un diploma di scuola superiore. Questi studenti non hanno diritto al contratto transitorio per studenti universitari e non sempre trovano proprietari disposti a stipulare contratti agevolati triennali, tantomeno il contratto transitorio fino a 18 mesi che, trattato fiscalmente come un contratto libero, in cedolare secca ricondurrebbe anche gli altri contratti all’aliquota del 21%. Sarebbe opportuno estendere il contratto transitorio per studenti universitari anche a coloro che frequentano corsi di formazione professionale, pur non collegati ad Istituti riconosciuti dal Miur. Sarebbe superfluo sottolineare che hanno diritto al contratto transitorio per studenti universitari, anche gli studenti stranieri ed extracomunitari che hanno residenza (i secondi per motivi legati al rilascio del permesso di soggiorno) nella città ove si trova la sede universitaria, ed anche gli studenti italiani, nelle stesse condizioni, che però risultano a carico dei genitori residenti in altra città. Occorre, altresì, perché è spesso motivo di equivoco, precisare che lo status di studente universitario fuori sede non è strettamente collegato alla detrazione del 19% a favore dei genitori a condizione che residenti ad almeno 100 km dall’ Università. Queste, per grandi linee, alcune delle proposte tendenti a meglio puntualizzare l’applicazione dei contratto agevolati, senza trascurare una migliore definizione e composizione delle Commissioni di conciliazione, il ruolo delle Agenzie per le locazioni e l’applicazione del canale concordato anche all’housing sociale. In questo momento, con la cedolare secca al 10%, in tutti i Comuni ad alta tensione abitativa c’è richiesta dei proprietari per l’adozione o la revisione degli Accordio territoriali. Una nuova Convenzione nazionale, e conseguentemente un aggiornamento del Decreto Ministeriale attuativo, potrebbe rilanciare il canale concordato, a vantaggio di tutte le parti in causa.

Le tasse sui canoni non percepiti per gli immobili ad uso diverso dall’abitativo

Riteniamo utile e interessante per i nostri lettori riprendere l’argomento già ottimamente affrontato nell’ultimo numero di Pietra su pietra da Angelo del Vescovo, cioè quello della tassazione dei canoni di locazione per gli immobili ad uso diverso dall’abitativo (negozi, capannoni e simili), anche in caso di mancata percezione degli affitti. Questo infatti è un argomento molto importante (e assai spinoso) per i proprietari di immobili ad uso commerciale, e lo sarà fino a quando non verrà approvata una norma di legge analoga a quella ora vigente per gli usi abitativi (art. 8, comma 5, L. 431/’98), la quale (modificando l’art.23 D.P.R 22.12.1986 N.917) prevede l’esonero dalla tassazione dei canoni non percepiti in caso di emissione del provvedimento di convalida di sfratto. Ma fino a quando non otterremo, cosa che chiediamo da sempre e non ci stancheremo mai di chiedere, l’estensione anche agli usi non abitativi di tale sgravio, è necessario trovare soluzioni alternative per ottenere un analogo risultato. Nell’articolo succitato Del Vescovo richiama alcune sentenze emesse recentemente da diverse Commissioni tributarie provinciali (Latina, Bergamo e Reggio Emilia), favorevoli ai proprietari. Ad esse possiamo aggiungere l’altrettanto recente sentenza della Commissione tributaria provinciale di Brescia (sez. V 4.04.2014 n. 365). Ma cosa dicono, in soldoni, queste sentenze? In buona sostanza dicono che il contribuente non è tenuto a dichiarare i canoni non percepiti una volta che si è verificata la risoluzione del contratto. E ciò, non solo nel caso in cui la risoluzione sia stata dichiarata da un Tribunale, ma anche nel caso in cui la risoluzione si sia verificata di diritto. Queste sentenze si basano su un’importante precedente: la sentenza della Corte Costituzionale n. 864 del 26.07.2000, con la quale la Corte era già intervenuta sull’argomento. Pur non avendo effetti vincolanti in quanto sentenza “interpretativa”, la sentenza di cui sopra afferma un principio molto importante e tuttora valido: la risoluzione del contratto, per qualsiasi motivo avvenga, comporta che i canoni di locazione non percepiti non vengano tassati (dal momento della risoluzione) e che la tassazione debba essere fatta sulla base della sola rendita catastale; e inoltre che, anche nel caso gli stessi dovessero essere successivamente percepiti dal locatore, non potranno essere assoggettati a tassazione, avendo essi natura risarcitoria (art.1591 c.c.) e non reddituale. Scrive infatti la Corte: “il riferimento al canone di locazione (anziché alla rendita catastale) (ai fini della tassazione n.d.r.) potrà operare nel tempo solo fin quando risulterà in vita un contratto di locazione e quindi sarà dovuto un canone di locazione in senso tecnico. Quando invece la locazione (rapporto contrattuale) sia cessata per scadenza del termine (art.1596 c.c.) e il locatore pretenda la restituzione (del bene n.d.r)… ovvero quando si sia verificata una qualsiasi causa di risoluzione del contratto, ivi comprese quelle di inadempimento in presenza di clausola risolutiva espressa e di dichiarazione di avvalersi della clausola (art.1456 c.c.), o di risoluzione a seguito di diffida ad adempiere (art.1454 c.c.), tale riferimento al reddito locativo non sarà più praticabile, tornando in vigore la regola generale (cioè quella della rendita catastale n.d.r.)”. Il giudice costituzionale suggerisce quindi al locatore, in caso di morosità, di risolvere il contratto di locazione comunicando al conduttore di volersi avvalere della clausola risolutiva espressa prevista nel contratto in caso di inadempimento dell’inquilino, ai sensi dell’art.1456 del codice civile, oppure una diffida ad adempiere ai sensi dell’art.1454 c.c.; ciò indipendentemente dal fatto che sia stata intrapresa o meno un’azione giudiziale volta alla convalida di sfratto o alla risoluzione contrattuale per inadempienza del conduttore. Tale risoluzione “immediata” permetterebbe di chiudere subito il contratto presso l’Agenzia delle Entrate, con le conseguenze fiscali di cui sopra. Scrive infatti la Corte che, in tal modo, “tale evento risolutorio (chiusura del contratto presso l’Agenzia delle Entrate n.d.r.) … può concretarsi, seppure per i profili strettamente fiscali, anche attraverso una dichiarazione unilaterale”. Alla luce di queste precisazioni, appare dunque fondamentale inserire nei contratti di locazione la clausola risolutiva espressa ex art. 1456 c.c. in caso di morosità del conduttore, precisando esattamente il numero di canoni non corrisposti e/o gli oneri accessori non versati che determinano l’inadempimento del conduttore. Altrettanto fondamentale è comunicare subito, con lettera racc. a.r., al conduttore inadempiente la volontà di avvalersi della clausola risolutiva espressa. Tale dichiarazione può essere inserita anche nell’atto di intimazione di sfratto, nel qual caso gli effetti risolutori di cui sopra si verificheranno al momento del ricevimento dell’atto da parte del conduttore. Dopodiché provvedere alla chiusura del contratto presso l’Agenzia delle Entrate. Qualora il contratto di locazione, già in essere, non contenga la clausola risolutiva espressa per il caso di morosità, il locatore potrà provocare la risoluzione contrattuale inviando al conduttore moroso una diffida ad adempiere ai sensi dell’art.1454 c.c. Trascorso inutilmente il termine per l’adempimento indicato nella lettera di diffida, si potrà procedere alla chiusura del contratto presso l’ufficio del registro.

EXPO ed oltre: una panoramica sui contratti turistici

Molti associati ci chiedono consigli circa la stipulazione di contratti di locazione ad uso turistico, anche con riferimento ad EXPO. Riassumiamo dunque gli elementi necessari perché possa validamente stipularsi un contratto di questo tipo. La locazione di immobili ad uso turistico non è disciplinata dalla legge 431/98 (che regola le locazioni abitative e che espressamente esclude la locazione “esclusivamente” turistica) né da altri provvedimenti speciali. La fonte normativa di riferimento è quindi il Codice Civile, il quale lascia un ampio margine di discrezionalità alle parti e va integrato con gli assunti giurisprudenziali consolidatisi negli anni. Perché il contratto ad uso turistico possa essere validamente stipulato e non soggetto ad eventuale impugnativa da parte del conduttore (che è l’unico soggetto legittimato a ciò) è indispensabile specificare nel contratto i motivi che hanno indotto le parti a stipularlo. Le esigenze turistiche comprendono, per esempio, tutte quelle sorte in occasione di un viaggio o di un soggiorno per svago, per villeggiatura, per cura, per istruzione, per interessi religiosi. A questa stregua, se si tratta di locazione stipulata in occasione della manifestazione Expo o altre assimilabili (salone del mobile, settimana della moda, ecc), sarà opportuno dedurre la circostanza nel contratto. Dovremo inoltre prestare attenzione a che cosa stiamo affittando: se non si tratta di un immobile posto in località effettivamente turistiche o di villeggiatura, a maggior ragione, come sopra detto, dovrà essere dato risalto alla circostanza che rende appunto “turistica” la locazione in un luogo che normalmente non lo sarebbe. Il contratto non necessita per la sua validità né di una durata minima, né della forma scritta. È ritenuta valida anche la locazione di porzioni di alloggio (singole camere con uso delle parti comuni). Il canone è liberamente pattuito dalle parti. Se redatto in forma scritta, il contratto dovrà contenere i patti standard di una locazione immobiliare, ovvero: i dati delle parti, la descrizione dell’immobile, l’eventuale deposito cauzionale, le modalità di pagamento del canone, l’entità delle spese accessorie e del rimborso utenze l’obbligo di custodia e di riconsegna, l’obbligo di osservanza del regolamento di condominio, ecc… È possibile forfettizzare l’importo di spese e utenze per locazioni molto brevi. Il conduttore ha sempre obbligo di custodia dell’immobile ed è responsabile di tutti i danni che in esso dovessero verificarsi. È in ogni caso opportuno che locatore e conduttore, all’atto della stipula del contratto, predispongano un verbale di consegna dell’appartamento in cui vengano descritti stato dei luoghi e inventario del mobilio e del corredo presenti nell’unità locata. È sempre bene specificare l’autorizzazione (o il divieto) all’ingresso di animali nell’appartamento locato. Il conduttore può avere diritto di recesso in un termine stabilito dalle parti. È frequente la dazione di una caparra a titolo confirmatorio, che sarà computata in conto canoni una volta sottoscritto il contratto, o incamerata a titolo di cauzione per danni e poi restituita una volta accertato il buono stato di conservazione. Se si pensa di affittare online (per esempio attraverso portali immobiliari) il pagamento del canone anticipato attraverso la transazione via internet fa fede circa l’avvenuta stipula del contratto (al momento del check-in è ovviamente possibile far comunque sottoscrivere al conduttore – come consigliamo noi – un foglio che dia atto della presa in consegna dell’immobile e degli arredi). Come abbiamo detto, la forma scritta non è indispensabile (contrariamente a quanto si dice, essa non è prevista né dall’art. 1, comma 346 della Legge 311/2004, né dalla Legge 431/98, per i motivi di cui sopra) ma comunque altamente consigliabile per esigenze di garanzia e tutela della proprietà per le locazioni di durata oltre i trenta giorni, come vedremo in appresso. La durata può essere anche solo di pochi giorni (sarà senz’altro questo il caso di locazione per l’Expo et similia), così come anche di alcuni mesi (si pensi al caso di affitti stagionali). Il contratto ad uso turistico, che si avvicina, nello spirito ad una locazione a carattere alberghiero (pur non essendo paragonabile né all’attività di affittacamere, per la quale è necessaria la licenza, né al Bed & Breakfast) non va confuso con il contratto transitorio, previsto dall’art. 5 L. 431/98, ovvero la locazione abitativa per esigenze transitorie delle parti. In questo caso infatti siamo di fronte a un contratto molto meno libero. In primo luogo il prezzo della locazione è stabilito dalle parti con riferimento ai canoni previsti dagli Accordi Locali territoriali che i comuni hanno ratificato alla presenza delle organizzazioni sindacali che li hanno siglati. In secondo luogo l’esigenza di transitorietà dev’essere tra quelle espressamente previste dall’Accordo Locale di riferimento; in terzo luogo la durata minima è di sei mesi. Se il contratto turistico è stipulato per una durata che non supera i 30 giorni in ragione di anno con lo stesso conduttore non è sottoposto all’obbligo di registrazione (in altre parole, scatta l’obbligo di registrazione se per esempio loco al medesimo conduttore con diversi contratti di 20 giorni ciascuno). È possibile accedere all’opzione della cedolare secca. Ovviamente il reddito va dichiarato ai fini IRPEF a prescindere dall’avvenuta registrazione. In conclusione, se vi sono reali esigenze turistiche del conduttore da soddisfare, via libera al contratto turistico, molto più agevole nella forma, nel prezzo, nei contenuti, nella durata. L’avvertenza, d’obbligo, è sempre quella di non mascherare una locazione abitativa “classica” con un contratto turistico. Il conduttore, ancorché firmatario del contratto, potrebbe impugnarlo deducendo l’illiceità del patto e chiedendo la riconduzione del rapporto alle forme e ai limiti di cui alla L. 431/98 (per esempio chiedendo un contratto 4+4). Un’ulteriore avvertenza, di non poca importanza, è: prestare sempre attenzione al regolamento di condominio, perché ove esso contenesse clausole (l’ipotesi non è infrequente) che vietassero la destinazione degli immobili condominiali ad attività di carattere alberghiero o ad esse assimilabili, ci troveremmo di fronte a un serio ostacolo alla possibilità di stipulare il contratto di cui parliamo. In altre parole, se la ratio del divieto condominiale sta nella volontà dei partecipanti di evitare il “via vai” di persone non facenti parte del condominio, è evidente che locare ad uso turistico di settimana in settimana contravverrebbe alla norma. ASPPI Milano ha implementato un servizio ad hoc “chiavi in mano” per la gestione integrale della locazione (dalle foto dell’appartamento, alla pubblicazione sui principali siti e motori di ricerca, all’assistenza alla stipula e agli incassi, ai servizi accessori di check-in, check-out, pulizia, cambio biancheria, manutenzione, ecc). Le nostre sedi sono sempre a Vostra disposizione per tutti i chiarimenti necessari.

Modello 730 precompilato: le opzioni del contribuente

A partire dal 2015 l’Agenzia delle Entrate, in via sperimentale, renderà disponibile ai contribuenti con redditi di lavoro dipendente e assimilati (quindi anche i pensionati), attraverso il canale telematico, il modello 730 precompilato utilizzando i dati disponibili in Anagrafe tributaria e quelli trasmessi da parte dei sostituti d’imposta attraverso le certificazioni relative ai redditi corrisposti nel periodo d’imposta 2014. Il contribuente:

• potrà accettare la dichiarazione così come predisposta dall’Agenzia delle Entrate, in tal caso, se il modello 730 sarà presentato direttamente dal contribuente, è prevista l’esclusione dai controlli formali relativamente agli oneri deducibili/detraibili indicati nel modello così come precompilato dall’Agenzia;

• oppure potrà decidere di integrarla/ modificarla con ulteriori dati in suo possesso ad esempio, per aggiungere un reddito non presente, oppure per inserire oneri detraibili/deducibili non presenti nel modello precompilato come le spese mediche; in tal caso, la dichiarazione rimarrà soggetta ai controlli formali, tale controllo si estenderà anche ai singoli oneri inseriti nel Mod. 730 precompilato dall’Agenzia;

• infine, il contribuente potrà rifiutare la dichiarazione e in tale ipotesi si rivolgerà al sostituto d’imposta o al Caf per compilare il modello 730 secondo le ordinarie modalità. Viene, inoltre, fissato un nuovo termine unico coincidente con il 7 luglio entro il quale:

• il contribuente deve presentare il modello 730 al proprio sostituto d’imposta o Caf/professionista abilitato;

• deve avvenire la trasmissione telematica all’Agenzia delle Entrate della dichiarazione predisposta dal Caf/professionista abilitato;

• i Caf/professionisti abilitati devono consegnare al contribuente la copia del Mod. 730 elaborato e dei relativi prospetti di liquidazione. Ma la novità più interessante, prevista dal D.Lgs. 175/2014, è rappresentata dal fatto che da quest’anno il contribuente potrà accedere alla propria dichiarazione dei redditi precompilata direttamente on line, tramite il sito dell’Agenzia delle Entrate, utilizzando il canale Fisconline. Innanzitutto, il contribuente dovrà richiedere l’abilitazione al servizio telematico Fisconline (password e PIN) e potrà farlo in uno dei seguenti modi: • online, accedendo direttamente al sito internet dell’Agenzia delle Entrate,

• recandosi direttamente presso qualsiasi ufficio dell’Agenzia, anche tramite un soggetto delegato;

• per telefono. Al fine di garantire la reale identità dell’utente, in caso di richiesta online, per telefono oppure tramite soggetto delegato, la procedura prevede che la prima parte del PIN sia rilasciata immediatamente, mentre la seconda parte del PIN e la password saranno inviati per posta al domicilio del contribuente. In alternativa, se il contribuente si dovesse rivolgere direttamente agli uffici dell’Agenzia riceverà subito la prima parte del PIN con la password di primo accesso; mentre, la seconda parte del PIN potrà essere prelevata direttamente dal contribuente via internet. In alternativa, alle modalità come sopra individuate sarà possibile accedere al sito internet dell’Agenzia delle Entrate e consultare la propria dichiarazione precompilata anche tramite il portale INPS utilizzando le credenziali dispositive rilasciate dall’istituto di previdenza. Chi sono i contribuenti destinatari del modello 730 precompilato Come sopra detto il modello precompilato sarà reso disponibile a tutti coloro che per l’anno 2014 sono stati titolari di redditi di lavoro dipendente e assimilati. Tuttavia, anche il contribuente privo di sostituto d’imposta, ad esempio chi nel 2014 ha percepito un reddito di lavoro dipendente, ma che ha perso il lavoro nel 2015, potrà accedere al 730 precompilato. In tal caso, se il modello dichiarativo terminerà con un saldo a debito il contribuente dovrà versare le somme dovute con il mod. F24, entro i termini previsti per il versamento dell’Irpef ovvero 16/06/2015. Considerato che il termine ultimo di presentazione del Mod. 730 è successivo alla scadenza del versamento dell’eventuale somma a debito il contribuente potrà avvalersi della possibilità di versare tale importo entro il maggior temine del 16 luglio 2015, con la maggiorazione del 0,4%. Nel caso, invece, la dichiarazione dei redditi finisca con un importo a credito per il contribuente occorrerà indicare gli estremi bancari del c/c sul quale riceverà il rimborso. Per tali contribuenti il rimborso sarà effettuato direttamente dall’Agenzia delle Entrate. Per coloro che nell’anno 2014 hanno presentato il modello 730 in forma congiunta, saranno predisposti due distinti modelli 730 precompilati, uno per ciascuno coniuge che abbia i requisiti per poter accedere alla platea dei destinatari della dichiarazione precompilata. Se anche per il 2015 i coniugi volessero continuare a presentare la dichiarazione dei redditi n forma congiunta dovranno necessariamente rivolgersi al Caf/professionista abilitato. Il modello 730 precompilato non sarà predisposto, in linea generale, per:

• i contribuenti con partita iva attiva nel periodo d’imposta 2014, ad eccezione dei produttori agricoli che si avvalgono del regime di esonero di cui al D.P.R. 633/1972;

• coloro per i quali è noto al Sistema Informativo dell’Anagrafe tributaria il decesso alla data di elaborazione della dichiarazione precompilata;

• i contribuenti per i quali il modello 730 dovrebbe essere presentato da un altro soggetto, ad esempio, genitore, tutore o legale rappresentante;

• quei contribuenti che per l’anno d’imposta 2013 oltre al modello 730/Unico ordinario presentato nei termini hanno anche inviato dei modelli di dichiarazioni correttive o integrative, per correggere errori o omissioni commessi nella redazione della dichiarazione originaria. Contenuto della dichiarazione precompilata: modello 730, foglio informativo e l’esito della liquidazione Il modello 730 precompilato conterrà i dati prelevati dalle seguenti fonti: • dalle certificazioni uniche relative ai redditi di lavoro dipendente, ai redditi assimilati e ai redditi di lavoro autonomo, anche occasionali, attestanti l’ammontare complessivo delle somme erogate, delle ritenute operate, delle detrazioni d’imposta effettuate e dei contributi previdenziali e assistenziali trattenuti;

• dalle comunicazioni trasmesse dalle banche, dalle imprese assicuratrici e dagli enti previdenziali con le quali sono stati forniti i dati relativi agli oneri detraibili e deducibili quali, ad esempio, quote d’interessi passivi, e relativi oneri accessori, per i mutui in essere, premi di assicurazione sulla vita, in caso di morte e contro gli infortuni, i contributi previdenziali e assistenziali; L’Agenzia delle Entrate inserirà anche alcuni dati contenuti nella dichiarazione dei redditi relativa all’anno precedente, ovvero:

• le eccedenze d’imposta e i residui dei crediti d’imposta risultanti dalla dichiarazione 2014/2013; • le rate detraibili relative ad oneri sostenuti in anni precedenti per i quali è prevista la possibilità di rateizzare la detrazione, come, ad esempio, le spese relative al recupero del patrimonio edilizio (36%-50%) o le spese sostenute per interventi di risparmio energetico (65%) o quelle per l’arredo di immobili ristrutturati (50%);

• l’eventuale maggior credito derivante dalla liquidazione automatizzata relativa alla dichiarazione dei redditi dell’anno precedente. Infine, con riferimento ai dati dei terreni e dei fabbricati il precompilato conterrà i dati presenti nel modello dichiarativo dell’anno precedente; tali dati saranno integrati tenendo conto delle eventuali variazioni, risultanti dalla banca dati catastale e dagli atti del registro, intervenute durante l’anno 2014 a seguito di atti di compravendita o di denunce di successione. In aggiunta, verranno, altresì, considerati i dati relativi ai versamenti e alle compensazioni effettuate con il modello di versamento F24. Il modello 730 precompilato dall’Agenzia sarà accompagnato da un foglio informativo che contiene l’elenco delle informazioni di cui l’Agenzia dispone al momento dell’elaborazione della dichiarazione precompilata. Le informazioni contenute nel foglio informativo sono suddivise in base ai diversi quadri che compongo il modello dichiarativo, accanto ad ogni dato è indicata la fonte di provenienza ed è specificato se tale dato è stato utilizzato o meno nella redazione del modello 730. In particolare, i dati non utilizzati o utilizzati solo parzialmente nel modello precompilato all’interno del foglio saranno contrassegnati con un apposito simbolo e il contribuente potrà verificare direttamente, o attraverso il Caf/professionista abilitato, i motivi per cui tali dati non sono stati inseriti oppure sono stati inseriti solo parzialmente nel precompilato. A tal proposito, l’Agenzia delle Entrate, con la circolare n. 11/E del 23/03/2015, esemplifica quanto sopra detto affermando che non saranno inseriti, ad esempio, gli interessi passivi per mutui ipotecari comunicati dalla banca, se gli stessi risultano essere di ammontare superiore rispetto a quelli indicati nella dichiarazione dei redditi dell’anno precedente, dal momento che il loro importo di solito decresce nel corso degli anni. In tal caso, l’importo degli interessi passivi verrà semplicemente riportato nel foglio informativo con l’indicazione della banca che ha fornito il dato. Sarà cura del contribuente, in possesso dei requisiti per poter beneficiare della detrazione, dopo aver verificato la correttezza del dato comunicato dalla banca , predisporre l’inserimento di tale onere all’interno del modello precompilato. Oltre al foglio informativo il modello predisposto dall’Agenzia conterrà anche l’esito della liquidazione (ovvero il rimborso che sarà erogato dal sostituto d’imposta e/o le somme che saranno trattenute in busta paga) e il relativo prospetto con il dettaglio dei risultati della liquidazione stessa. Tuttavia, nei casi in cui la dichiarazione non possa essere compilata in maniera completa, ad esempio, nel caso sopra esemplificato degli interessi passivi del mutuo, l’esito della liquidazione sarà disponibile solo dopo l’integrazione che sarà fatta a cura del contribuente. In alternativa al fai da sé come sopra illustrato, il contribuente potrà sempre rivolgersi al Caf/professionista abilitato di propria fiducia.

Trust e Imposizione Fiscale: le Imposte Indirette

L a Circolare, n. 48 del 6 agosto 2007, dell’Agenzia delle Entrate, precisa che la struttura giuridica del trust pone in evidenza gli elementi ed i presupposti impositivi rilevanti agli effetti delle imposte indirette, i quali sono:

1. l’atto istitutivo;

2. l’atto dispositivo;

3. eventuali operazioni compiute durante il trust;

4. il trasferimento dei beni ai beneficiari.

Con l’atto istitutivo il disponente esprime la volontà ed il programma consentendo l’istituzione del trust, rivolto ai beneficiari, quando i beni vengono gestiti nell’interesse di un determinato soggetto, oppure per uno scopo, se è funzionale al perseguimento di un determinato fine (es. il trust di garanzia), anche con il trasferimento dei beni, attraverso la redazione notarile di un atto pubblico o di una scrittura privata autenticata. Il trust è assoggettato all’imposta fissa di registro di €. 200, ai sensi dell’articolo 11 della Tariffa, parte prima, del D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, quale atto privo di contenuto patrimoniale. Nell’ipotesi del trasferimento in trust di beni immobili o mobili ovvero di diritti di partecipazioni societarie, con un negozio a titolo gratuito, l’atto dispositivo, viene redatto sia al momento dell’istituzione del trust, con il quale il disponente trasferisce beni e diritti, od anche in un altro periodo. In materia di imposizione indiretta, puntuali disposizioni sono state introdotte:

• dapprima con l’art. 6 del decreto-legge 3 ottobre 2006, n. 262 che ha previsto l’applicazione dell’imposta di registro sulla costituzione dei vincoli di destinazione sui beni e diritti;

• poi con la con legge di conversione 24 novembre 2006 n. 286 che, senza convertire la disposizione dell’art. 6 del decreto legge, ha invece assoggettato la costituzione dei vincoli di destinazione sui beni e diritti all’imposta sulle successioni e donazioni;

• ed in ultimo con la finanziaria 2007, Legge 27.12.2006 n. 296, G.U. 27.12.2006, si sono introdotte alcune franchigie ed esenzioni.

La legge di conversione 24 novembre 2006, n. 286, non ha convertito il predetto articolo 6 del decreto legge, mentre ha ripristinato sul trust l’imposta sulle successioni e donazioni, come disciplinata dal Testo Unico 31 ottobre 1990, n. 346, nel testo vigente al 25 ottobre 2001. Contestualmente, ha disposto “… alla costituzione dei vincoli di destinazione …” l’applicazione di tale imposta all’articolo 2, commi dal 47 al 49, legge n. 286 del 24/11/2007. Come sopra citato la legge finanziaria 2007 ha introdotto, le franchigie in favore dei parenti in linea retta e collaterale, ed anche per i portatori di handicap, nonché le esenzioni per il trasferimento a favore dei discendenti, di aziende o rami di esse, di quote sociali o di azioni (articolo 1, commi da 77 a 79). I valori di imposizione indiretta sono elencati nell’allegata “scheda n. 1”, e derivano dal Testo Unico d.lgs. 31 ottobre 1990, n.346, riguardo le imposte di donazione e di successione, e per l’imposta ipotecaria e catastale il d.lgs. 31 ottobre 1990, n. 347, e la legge finanziaria del 3 ottobre 2006, n. 262, che di seguito si sintetizzano: Imposta di Donazione e Successione Coniuge ed i parenti in linea retta, imposta 4% – franchigia €. 1.000.000; In favore dei beneficiari che siano portatori di handicap, riconosciuto grave ai sensi della legge 5 febbraio 1992, n. 104, a prescindere dal legame di parentela intercorrente con il dante causa, una franchigia di €. 1.500.000 – (L. 27.12.2006 n. 296). Fratelli e sorelle, imposta 6% – franchigia €. 100.000, e parenti in linea collaterale fino al 4° grado, imposta 6% – senza franchigia; Per tutti gli altri soggetti, imposta 8% – senza franchigia. Imposta Ipotecaria e Catastale Imposta ipotecaria 2%, sul valore degli immobili con un’imposta fissa di euro 200,00; Imposta catastale 1%, sul valore degli immobili con un’imposta fissa di euro 200,00. L’Imposta ipotecaria e catastale, riguarda la formalità della trascrizione di atti aventi ad oggetto beni immobili o diritti reali immobiliari ed anche per la voltura catastale dei medesimi atti. Le operazioni di gestione che il trustee o gestore può compiere durante la vita del trust, sul patrimonio, riguardano gli eventuali atti di acquisto o di vendita dei beni i quali sono soggetti all’atto di cessione o di acquisto, applicando l’imposizione normale. La devoluzione dei beni vincolati in trust ai beneficiari non realizza, ai fini dell’imposta sulle donazioni, un presupposto impositivo ulteriore, quando i beni, hanno già scontato l’imposta al momento della segregazione in trust, mentre deve essere versata l’imposta se all’atto del conferimento dei beni è stata applicata l’imposta fissa, ciò avviene a partire dal 1° gennaio 2007, data di entrata in vigore della legge 296/2006. L’Agenzia nella tassazione considera la costituzione del vincolo di destinazione, quale fattispecie impositiva autonoma, in grado, quando accompagnata dal trasferimento di beni, di esigere l’applicazione dell’imposta sulle successioni e donazioni, nel momento della costituzione del vincolo, cioè al momento iniziale dell’istituzione del trust con il conferimento dei beni immobili. Nel caso di istituzione di un trust di scopo (senza beneficiari per il raggiungimento di un determinato fine), secondo l’Agenzia, la tassazione si realizzerebbe, con l’aliquota più elevata dell’8%, senza applicazione di franchigie.

 

I nuovi strumenti di gestione della crisi da sovraindebitamento ed il ruolo dell’amministratore di condominio

In questo periodo di crisi diffusa, gli amministratori di condominio si trovano spesso a gestire situazioni di morosità dei condomini e, d’altra parte, i medesimi amministratori sono, proprio per questa ragione, nella scomoda posizione di essere rappresentanti di un condominio moroso verso i fornitori di beni o servizi.. La questione è al centro di una serie di provvedimenti giurisprudenziali e normativi. Tra questi, si distinguono le ordinanze del Tribunale di Reggio Emilia del 16.05.14 e del Tribunale di Milano (sez III) del 27.05.14 che hanno ritenuto legittima la procedura di pignoramento presso terzi del conto corrente condominiale, avviata dal creditore del condominio. Significativa rilevanza ha però anche la disposizione di cui all’art. 17 del DL 12.09.2014 n. 132 (convertito nella L 162/2014) che dispone l’applicazione del tasso di interesse legale “aggravato” previsto dalla legislazione speciale relativa ai ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali (D. Lgs. 231/2002 e D. Lgs. 192/2012) se le parti non hanno determinato la misura degli interessi di mora, dal momento in cui è proposta domanda giudiziale. Ma al centro delle attenzioni si pone in modo particolare la Legge n. 3 del 2012 (modificata dalla successiva Legge n. 221/2012 di conversione del DL 179/12), che regola la “Composizione della crisi da sovraindebitamento”: tale norma prevede la possibilità per i debitori in difficoltà di rinegoziare i propri debiti con i creditori sulla base di un piano di ristrutturazione del debito. Se approvato, il piano permette di sospendere tuttele procedure esecutive (sia quelle già in corso, sia quelle che devono partire) e di sanare i propri i debiti, senza doverli per forza ripagare interamente. I rimedi che la legge prevede sono tre: accordo da sovraindebitamento, piano del consumatore, liquidazione dei beni con conseguente esdebitazione. Tutti questi rimedi sono accumunati dal medesimo presupposto di gestire l’accumulo di debiti da parte di soggetti non fallibili, come sono tutti i privati cittadini ed anche gli imprenditori in presenza di alcune condizioni previste dalla legge e quando agiscono al di fuori della propria attività professionale. Facile quindi immaginare che in tale amplissima categoria si trovino anche i partecipanti ad un condominio. La legge trova applicazione effettiva soloa partire dalla fine del mese di gennaio 2015 perché il regolamento che ha reso operativi gli organismi che gestiscono le crisi da sovraindebitamento –contenuto nel Decreto Ministero Giustizia del 24.09.2014 n. 202, in G.U. 27.01.2015 -è stato pubblicato con molto ritardo rispetto all’entrata in vigore della legge ed ha avuto vasta eco a seguito del provvedimento del Tribunale di Busto Arsizio (decreto del 15.09.14) che, anticipando il decreto ministeriale di cui sopra, ha omologato il primo piano del consumatore con effetti, peraltro, anche in ambito fiscale. In pratica, siamo di fronte ad una nuova procedura concorsuale, che, al pari del fallimento, consente ai soggetti insolventi e che si trovano in una situazione, non temporanea, di difficoltà ad adempiere alle obbligazioni assunte, di definire la loro posizione debitoria, accedendo ad una sorta di concordato con i creditori. L’amministratore di condominio può quindi trovarsi a gestire la situazione di un condomino moroso che ha avuto accesso ai nuovi rimedi previsti a suo favore dalla nuova normativa. Secondo la legge, per “sovraindebitamento” si intende una situazione di perdurante squilibrio tra le obbligazioni assunte e il patrimonio prontamente liquidabile per farvi fronte, nonchè la definitiva incapacità del debitore di adempiere regolarmente alle proprie obbligazioni. A livello di fenomeno socio-economico, il sovraindebitamento è suddivisibile essenzialmente in due tipologie (descrittori riportati in “La famiglia al tempo della crisi” –Franco Angeli Edizioni 2014 – progetti di ricerca di Prof. sa L. Anderloni e Dott.ssa F Maino): sovraindebitamento “attivo” e sovraindebitamento “passivo”. Con il termine sovraindebitamento “attivo” si indica uno stato di emergenza economica generato da una eccessiva propensione dell’individuo al consumo. Tale propensione diventa problematica nel momento in cui non è sostenuta da adeguate capacità reddituali. In questo caso, a determinare la condizione di sovraindebitamento è l’imprevidenza delle famiglie, che sovrastimano le proprie risorse o sottostimano l’onere dei rimborsi. Il sovraindebitamento “passivo” è invece la conseguenza di fattori traumatici, di fattori congiunturali imprevedibili e non dipendenti dalla volontà del soggetto, che hanno fatto venir meno la fonte di reddito (o parte di essa), interrompendo o riducendo i flussi di entrata e determinando l’insorgenza di passività impreviste: sono i casi di perdita dell’occupazione, di separazione coniugale, di grave malattia, di perdita o deprezzamento dibeni patrimoniali che riducono la ricchezza dell’individuo e in via diretta o indiretta, la capacità di rimborso delle passività. Accanto ai due profili ora citati, si può individuarne un terzo detto “differito” (definizione di Prof. M. Fiasco): si trattadi una condizione di sovraindebitamento propria di nuclei familiari i cui consumi sono superiori a quelli effettivamente possibili con i soli redditi da lavoro, ma che vengono effettuati grazie al contributo di una o più persone anziane conviventi (per iltramite del patrimonio o della pensione da questi posseduti). In questo caso, la famiglia, pur non versando in condizioni di indebitamento si evolve verso un’area di forte rischio, poiché assume comportamenti di consumo e impegni di indebitamento oltre laproporzione che sarebbe consentita dal reddito corrente dei soli occupati del nucleo convivente. La legge tutela comunque il debitore, a prescindere dal motivo che ne ha determinato la situazione di insolvenza, con la condizione però che non abbia fatto ricorso, nei precedenti cinque anni, alla procedura di composizione della crisi. Il debitore in difficoltà può formulare una proposta di accordo ai creditori volto alla ristrutturazione del proprio debito, mentre il solo “consumatore” -ossia il soggetto che agisce per scopi estranei alla propria attività professionale -può proporre, oltre all’accordo, anche il cosiddetto “piano del consumatore”, con la stessa finalità. In entrambi i casi, la redazione della proposta deve avvenire con l’assistenza di uno degli organismi di composizione della crisi, iscritti in un apposito registro presso il Ministero della Giustizia. L’accordo di ristrutturazione dei debiti si concreta in un piano che assicura comunque l’integrale pagamento dei titolari di crediti impignorabili. Il piano prevede in dettaglio scadenze e modalità di pagamento dei creditori, le eventuali garanzie rilasciate per l’adempimento dei debiti, le modalità per l’eventuale liquidazione dei beni. Il piano può anche prevedere l’affidamento del patrimonio del debitore ad un fiduciario per la sua liquidazione, la custodia e la distribuzione del ricavato ai creditori. Nei casi in cui i beni o i redditi del debitore non siano sufficienti a garantire la fattibilità del piano, la proposta deve essere sottoscritta da uno o più terzi che consentono il conferimento, anche in garanzia, di redditi o beni sufficienti per l’attuabilità dell’accordo. La procedura prevede che la proposta di accordo, elaborata con l’assistenza dell’organismo di gestione della crisi, sia depositata presso il Tribunale del luogo di residenza o sede del debitore, insieme all’elenco di tutti i creditori, specificando quanto dovuto a ciascuno e allegando una corposa documentazione, definita dalla legge, per provare la propria situazione patrimoniale. Successivamente, il Giudice avverte i creditori e fissa un’udienza in cui, verificata l’assenza di iniziative in frode ai creditori medesimi, dispone che, sino al momento in cui il provvedimento di omologazione diventa definitivo, non possono, sotto pena di nullità, essere iniziate o proseguite azioni esecutive individuali sul patrimonio del debitore che ha presentato la proposta di accordo, da parte dei creditori aventi titolo o causa anteriore. L’organismo di composizione della crisi, riceve dai creditori le osservazioni sulla proposta di accordo e, se questa registra il consenso dei creditori rappresentanti almeno il 60 per cento dei crediti, la proposta si ritiene soddisfi i requisiti per l’omologazione, che avviene ad opera del Tribunale. L’accordo omologato è obbligatorio per tutti i creditori anteriori al momento in cui è stata eseguita la pubblicità della proposta di accordo. I creditori con causa o titolo posteriore non sono vincolati dall’accordo, ma non possono comunque procedere esecutivamente sui beni oggetto del piano. Il piano può quindi prevedere il taglio dei crediti (tranne quelli impignorabili) e il debitore può ristrutturare i debiti e soddisfare i creditori in qualsiasi modo, anche con la cessione di cespiti o di crediti presenti o futuri. L’accordo è ovviamente revocato se risultano compiuti durante la procedura atti diretti a frodare le ragioni dei creditori. L’amministratore del condominio, in questo caso, rientra tra i creditori che, nei dieci giorni successivi al ricevimento della relazione da parte dell’organismo di composizione della crisi, prima che il Giudice disponga l’omologazione dell’accordo, possono sollevare eventuali contestazioni: dovrà quindi valutare attentamente la situazione e, se del caso, far pervenire tempestivamente le proprie osservazioni. L’amministratore creditore nei confronti del condomino moroso può anche contestare la convenienza dell’accordo. Non è detto però che le sue contestazioni abbiano successo, perché il Giudice omologa comunque l’accordo seritiene che il credito può essere soddisfatto dall’esecuzione dello stesso in misura non inferiore all’alternativa liquidatoria del patrimonio del debitore. Il cosiddetto “piano del consumatore” differisce dall’accordo di cui sopra, al di là degli aspettiprocedurali, essenzialmente perché il piano non deve essere preventivamente approvato dai creditori. L’altro aspetto rilevante del piano del consumatore è la considerazione della “meritevolezza” del debitore, che sussiste quando è escluso che il consumatore abbia assunto obbligazioni senza la ragionevole prospettiva di poterle adempiere e quando è escluso che il debitore abbia colposamente determinato il sovraindebitamento. Nell’udienza di omologazione i creditori possono comunque formulare qualsiasi tipo di contestazione, anche sotto il profilo della convenienza: anche in questo caso, però l’omologazione del piano è concessa se il credito può essere soddisfatto dall’esecuzione del piano stesso in misura non inferiore all’alternativa liquidatoria del patrimonio del debitore. Il piano omologato, come l’accordo, è obbligatorio per tutti i creditori anteriori al momento in cui è stata eseguita la pubblicità del decreto di omologazione. Inoltre, la normativa prevede il divieto, per i creditori con causa o titoloanteriore, di iniziare o proseguire azioni esecutive o cautelari, nonchè il blocco delle azioni esecutive sui beni oggetto del piano da parte dei creditori per causa o titolo posteriore al momento di cui sopra. Non tutto è risolto, però, per il consumatore/ debitore, perché il Tribunale, su istanza di ogni creditore, deve dichiarare la cessazione degli effetti dell’omologazione del piano in alcune ipotesi, tra le quali si segnala il caso in cui si è verificato un irregolare adempimento delle obbligazioni daparte del debitore. L’amministratore del condominio creditore, quindi, dovrà vigilare sul corretto adempimento del condomino consumatore che ha beneficiato del piano e dovrà farsi parte diligente nel segnalare le situazioni di inadempimento agli impegni in esso previsti. La procedura di liquidazione del patrimonio, invece, oltre ad essere un’alternativa all’accordo ed al piano del consumatore, è anche una trasformazione dei casi patologici di tali procedure. La procedura di liquidazione può essere chiesta dallo stesso debitore oppure può essere aperta su richiesta di ciascun creditore nel caso di annullamento dell’accordo o di cessazione degli effetti dell’omologazione del piano. In presenza di tutti i presupposti fissati dalla legge, il Giudice provvede ademettere un decreto di apertura della liquidazione, con il quale nomina un liquidatore che comunica ai creditori ed ai titolari di diritti reali e personali, mobiliari ed immobiliari il loro diritto a partecipare alla liquidazione, depositando presso la sede del liquidatore le domande di partecipazione. L’amministratore, anche in questo caso, dovrà farsi parte diligente, attivandosi per la partecipazione alla liquidazione. Successivamente alla liquidazione del proprio patrimonio, il debitore persona fisica, se “meritevole” ai sensi della L 3/2012, può chiedere la liberazione dei debiti residui nei confronti dei creditori non soddisfatti, in alcune condizioni definite dalla legge. In conclusione, anche i debiti verso il condominio potrebbero essere inseriti negli accordi di ristrutturazione del debito: l’assemblea vota l’adesione all’accordo con il voto favorevole della maggioranza degli intervenuti che rappresentino almeno 500/1000. In questo caso, non occorre il voto unanime, come evidenziato dalla recente sentenza della Corte di Cassazione n. 821/2014. Nessun condomino potrà peraltro manifestare un proprio dissenso alla lite, perché l’adesione all’accordo di ristrutturazione del debito non attiene all’ambito delle liti giudiziarie, bensì all’ambito degli accordi contrattuali. L’assemblea, invece, non può pronunciarsi sul piano del consumatore perché in questo caso non è previsto il consenso dei creditori. L’amministratore deve quindi avere contezza di questi meccanismi, che incidono significativamente sull’operatività delle procedure di recupero del credito del condominio e di cui lo stesso condominio potrebbe potenzialmente giovarsi nei casi di forte indebitamento verso i propri fornitori.

Solidarietà passiva fra i condomini: questioni aperte

Fino al 2008 tanto la giurisprudenza di merito che quella di legittimità era concorde nel ritenere che, per le obbilgazioni assunte dal condominio nei confronti di terzi, dovessero rispondere in solido tutti i condomini. Da tale permessa scaturiva che il creditore del condominio poteva aggredire il patrimonio personale di ciascun condomino per l’intero suo credito. Naturalmente il condomino “aggredito” aveva la possibilità di rivalersi sugli altri condomini in proporzione alla loro quota millesimale, ottenendo così la restituzione delle somme corrisposte al loro posto. Con la sentenza n. 9148 del 2008, le Seziuni Unite della Cassazione hanno, apparentemente, ribaltato questo principio, fermi restando i limiti che vedremo. In particolare, con la sopra citata pronuncia la Suprema Corte ha statuito che le obbligazioni assunte dall’amministratore per conto dei condomini sono contrassegnate dalla parziarietà, da cui consegue la responasbilità dei singoli condomini nei limiti della quota millesimale di loro spettanza. Il principio di diritto affermato dalla Cassazione non è questione di poco conto poichè, come detto, in caso di responsabilità solidale il singolo condominio correva il rischio di dover pagare per tutti, pur avendo già corrisposto la propria quota. La riforma del condominio ha, tuttavia, mitigato notevolmente gli effetti di quello che sembrava un rénvirement epocale operato dalla Sauprema Corte: l’intervento legislativo del 2013 ha infatti reintrodotto, almeno in parte, il principio della solidarietà passiva fra i condomini. È il caso, ad esempio, di tutte quelle ipotesi di ritardo nel pagamento degli oneri condominiali da parte dei comproprietari di una stessa unità immobiliare: ebbene, grazie alla riforma del condominio, l’amministratore potrà agire indifferentemente, per l’intero credito, nei confronti dell’uno o dell’altro comproprietario, sussistendo tra di essi piena responsabilità solidale. Analogamente, anche nelle ipotesi di resposabilità extracontrattuale del condominio per i danni derivanti da parti comuni dell’edificio (qualificabili come danni da omessa custodia), vige il principio della responsabilità solidale. Il creditore potrà quindi agire contro un unico condomino ed esigere dallo stesso il pagamento dell’intero credito; e questo anche se il condomino in questione abbia già versato la propria quota. Ovviamente, anche in questo caso, varrà il meccanismo di rivalsa di cui abbiamo già parlato, che permetterà al condomino esecutato di recuperare le somme imputabili agli altri condomini. Per quanto riguarda, invece, la gran parte delle obbligazioni contratte dal condominio, il principio della parziarietà introdotto con la sentenza delle Sezioni Unite del 2008 continua a trovare applicazione: i creditori non potranno agire nei confronti dei condomini in regola con i pagamenti degli oneri condominiali se non dopo l’escussione preventiva dei condomini morosi. Stesso discorso per le obbligazioni contrattuali assunte dall’amministratore per conto del condominio. In altri termini, il soggetto che stipuli un contratto con il condominio, laddove quest’ultimo non paghi il corrispetivo dovutogli, potrà chiedere a ciascun condomino solo la sua quota millesimale. Come si vede la questione è complicata e di non facile soluzione: laddove il proprio condominio risulti debitore in relazione ad una certa obbligazione, consiglio quindi di verificare preventivamente, con i consulenti legali ASPPI, se si versi in ambito di responsabilità solidale o parziaria. Una preevntiva verifica consentirà di assumere le iniziative più opportune per scongiurare, laddove possibile, il pericolo di dover pagare per tutto il condominio.

Consumo di suolo: una realtà preoccupante e una legge per limitarlo

Costituisce un importante passo in avanti la definizione, nei giorni scorsi, del nuovo testo base del disegno di legge volto a limitare il consumo di suolo, in discussione presso le Commissioni congiunte Agricoltura ed Ambiente della Camera dei Deputati. Concluso l’iter in Commissione, dovrebbe essere sottoposto al dibattito e al voto dell’Aula un testo largamente condiviso, già nel mese di Febbraio. Con questo testo di legge s’introducono nella normativa vigente i principi fondamentali di riuso, rigenerazione urbana e limitazione del consumo di suolo, attraverso la tutela e la valorizzazione dell’attività agricola. Il meccanismo previsto dalla Legge, ereditato da una proposta già condivisa con le Regioni, permette di definire una riduzione progressiva del consumo di suolo coerente con l’obiettivo europeo del consumo di suolo zero al 2050. La finalità è quella di garantire un’effettiva salvaguardia del suolo dai rischi di un’edificazione sconsiderata, come purtroppo è avvenuto in passato, e nello stesso tempo sostenere con misure positive le azioni di riuso e rigenerazione urbana che devono rappresentare il futuro dell’edilizia. Lungo è ormai l’elenco dei soggetti che hanno espresso consenso in merito alla proposta e soddisfazione per l’accelerazione di queste ultime settimane: dal Consiglio nazionale degli Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori che parla di «un epocale cambio di paradigma ed un nuovo approccio al governo del territorio che lega in modo logico e indissolubile la progressiva riduzione dell’utilizzo del suolo non edificato e la rigenerazione e il riuso delle città, e che è in linea con quanto auspicano da tempo gli architetti italiani. Tutto ciò non rappresenta solo una sana politica ambientale, ma anche l’unica possibilità, per Regioni e Comuni, di continuare a sostenere i costi dei servizi infrastrutturali, senza aumentare ulteriormente le tasse ai cittadini». Secondo Legambiente «la presentazione nelle Commissioni ambiente e agricoltura della Camera di un testo base di Ddl in materia di consumo di suolo è una buona notizia, perché permette di accelerare finalmente l’iter che dovrà portare all’approvazione di una legge ad hoc. Chiederemo al Governo e ai gruppi parlamentari di impegnarsi per arrivare in questa legislatura all’approvazione finale del testo». Plauso anche dalla Confederazione italiana agricoltori: «Ora però non bisogna perdere altro tempo, ma lavorare per arrivare finalmente a una buona legge. Noi la sollecitiamo da tempo e ci aspettiamo di essere coinvolti per giungere a una norma utile e condivisa». La stessa Cia sottolinea che si tratta di un provvedimento urgente, perché l’agricoltura continua a perdere terreno, minacciata costantemente dall’avanzata di cemento, incuria e degrado che solo negli ultimi vent’anni hanno divorato oltre 2 milioni di ettari coltivati. Anche Asppi concorda con i principi fondamentali del provvedimento che soddisfano un interesse generale, ma anche la esigenza dei proprietari di immobili di valorizzare il patrimonio esistente, difendendolo dalla svalutazione che consegue a scelte territoriali sbagliate e concentrando gli sforzi sulla sua riqualificazione. Tanto più urgente la necessità di compiere queste scelte a fronte di dati sempre più allarmanti forniti da Istituti e Centri di Ricerca. Fra gli ultimi quelli presentati nell’ambito del Rapporto 2014 sulla “Qualità dell’ambiente urbano” dell’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (ISPRA) Alcuni dei dati più preoccupanti riguardano proprio il consumo di suolo. Lo studio rileva, ad esempio, come le percentuali di suolo urbanizzato in Italia abbiano raggiunto livelli preoccupanti: Napoli e Milano si attestano al 60%, Torino e Pescara ad oltre il 50% ; inoltre, molte sono le città ad elevate percentuali di dispersione urbana; superano il 40% Bergamo, Brescia, Monza e Padova e anche tra alcune città del sud la percentuale è alta con Bari e Palermo che si attestano intorno al 40%, mentre nei comuni vicini le percentuali scendono al 30%. Nel capitolo dedicato all’edilizia sostenibile del Rapporto si mette in evidenza quindi l’importanza degli interventi di rigenerazione e la necessità di agire sul patrimonio edilizio esistente per ridurne gli elevati consumi energetici. Nella nota dell’ISPRA si pone l’accento anche sulle conseguenze ambientali che gli interventi urbani provocano; l’area totale a rischio, nelle 45 città attraversate da faglie capaci, è circa il 2,5% del territorio analizzato. La pericolosità da fagliazione superficiale è assai rilevante a Reggio Calabria, Messina, Catanzaro e Cosenza; è rilevante a L’Aquila, Siracusa, Ragusa e Benevento e non trascurabile a Trieste, Udine e Perugia, mentre è poco rilevante nelle altre 34 città. Inoltre sono state censite oltre 14.000 frane per un’area complessiva in frana pari a quasi 390. Potenza, Matera, Trento, Genova, Ancona, L’Aquila e Perugia presentano i valori più elevati sul territorio comunale, mentre i comuni che ricadono prevalentemente in aree di pianura presentano un dissesto da frana molto basso. La stima della popolazione esposta supera i 3.000 abitanti a Genova, Trento, Perugia, Ancona, Potenza, Catanzaro, Reggio Calabria e Messina.

Detrazioni Fiscali: dal Parlamento proroga con modifiche

La manovra votata dal Parlamento (Legge di Stabilità 2015) prevede, in sostanza, la proroga delle detrazioni per gli interventi di ristrutturazione edilizia e di riqualificazione energetica, mantenendo anche per il 2015 il bonus del 50 per cento per le ristrutturazioni (e per il connesso acquisto di mobili) e il bonus del 65 per cento per gli interventi di riqualificazione energetica, inclusi quelli relativi alle parti comuni degli edifici condominiali. Partendo dalle misure legate agli interventi di riqualificazione energetica degli edifici, viene prorogata al 31 dicembre 2015, anche per le parti condominiali, la detrazione al 65 per cento, che altrimenti sarebbe scaduta a fine 2014. Ci sono però state alcune modifiche frutto dell’approvazione di vari emendamenti: la detrazione infatti è stata estesa, sempre nella misura del 65 per cento, “per le spese di acquisto e posa in opera degli impianti di climatizzazione invernale dotati di generatori di calore alimentati da biomasse combustibili, nel limite massimo di detrazione di 30mila euro”. Collegata a questa, c’è l’estensione “all’acquisto e alla posa in opera delle schermature solari, di cui all’allegato M al decreto legislativo 29 dicembre 2006, n. 311, sostenute dal primo gennaio 2015 al 31 dicembre 2015, fino a un valore massimo della detrazione di 60mila euro”. Inoltre, per gli interventi effettuati in funzione antisismica fino al prossimo 31 dicembre la detrazione è stata portata dal 50% al 65%,, ma solo nelle zone ad elevato rischio di terremoto. Come si è detto, gli interventi di ristrutturazione semplice continueranno a godere del bonus al 50% fino alla fine del 2015. Ciò comporta una proroga anche per il bonus mobili: «Con riferimento alle spese per l’acquisto di mobili per l’arredo dell’immobile oggetto di ristrutturazione viene prorogato di un anno il termine finale (31 dicembre 2015) entro cui devono essere sostenute le spese ai fini della detrazione del 50 per cento», recita la relazione tecnica di accompagnamento alla manovra. Infine, sono cambiate anche alcune regole per le ristrutturazioni edilizie degli edifici interi effettuate dai costruttori. Fino ad oggi l’utilizzo del bonus del 50% era vincolato alla vendita o assegnazione dell’immobile “entro sei mesi dalla data di termine dei lavori”: un vincolo molto restrittivo con l’attuale congiuntura di mercato. Questo lasso di tempo viene ampliato e portato fino a 18 mesi. I costruttori e le cooperative edilizia, quindi, avranno un anno di tempo in più per smaltire il loro magazzino e usufruire comunque degli sconti.

Detassabilità degli affitti commerciali non riscossi

Lo sfratto per morosità o per qualsiasi causa di risoluzione del contratto di locazione ad uso diverso dall’abitazione fa venir meno l’obbligo di dichiarare i canoni non percepiti. A stabilirlo sono le ultime sentenze della Commissione Tributaria di Latina (n.1729/14 sez.1) della C.T.P. di Reggio Emilia (n.422/14) e la C.T.P. di Bergamo (n.516/2014). Allo stato attuale si può affermare che si è consolidato un orientamento giurisprudenziale in base al quale i canoni di locazione (ad uso abitativo e diverso) non percepiti per morosità del locatario sono tassabili fino a che non sia intervenuta la risoluzione, anche non giudiziale del contratto. A ribadire questo principio si citano le sentenze della Cassazione n.11158/2013, n.22588/2012 e n.651/2012 che non fanno altro che confermare quanto formulato dalla Corte Costituzionale (n.362 del 26/07/2000) nell’interpretare in senso estensivo l’art.26 TUIR (già art.23) pongono la norma stabilita dall’art.26 del TUIR al riparo da violazioni degli artt.3 (principio di uguaglianza) e 53 (principio della capacità contributiva) della Costituzione. Le suddette sentenze (Cassazione n. 6911/ 2003) hanno ristabilito il giusto equilibrio tra il diverso trattamento riservato ai redditi derivanti da contratti di locazione di immobili ad uso abitativo e quelli ad uso diverso. Innovativa è la sentenza della Commissione Tributaria di Latina (sez. 1 – Presidente R. Ventriglia, Relatore E. Paparozzi) la quale osserva: sulla base della sentenza della Corte Costituzionale del 26/07/2000 n.362, ripresa dalla Corte di Cassazione con le sentenze 01/06/2007 n.12905 e 18/01/2012 n.651, il riferimento al reddito derivante dai canoni di locazione (ancorché non percepiti) si applica però solo fino a quando risulta in essere un contratto di locazione, venendo meno, allorché la locazione sia cessata, per qualsivoglia motivo, ad esempio per scadenza del termine (art.1596 del c.c.), ovvero quando si sia verificata una qualsiasi causa di risoluzione del contratto, ivi comprese quelle di inadempimento in presenza di clausola risolutiva espressa e di dichiarazione di avvalersi della clausola (art.1456 del c.c.), o di risoluzione a seguito di diffida ad adempiere (art.1454 del c.c.). Come osservato dalla Corte Costituzionale n.326/2000, infatti, “la risoluzione del contratto impedisce di configurare il pagamento, effettivo o solo presunto, come effettuato a titolo di canone, cui possa essere commisurata la base imponibile ai fini dell’imposta sul reddito”; tuttavia, la risoluzione consensuale del contratto, in assenza di una manifestazione inequivoca delle parti che vada in tal senso non può produrre effetti retroattivi (Cassazione 18/11/2005 n.24444 e 01/06/2007 n.12905). Una volta intervenuta una qualsiasi causa di risoluzione del contratto di locazione, invece, ai fini della determinazione del reddito generato dall’immobile, non rileva più il canone di locazione pattuito, bensì la rendita catastale rivalutata del 5%. Risulta evidente che il momento di cessazione del contratto di locazione varia a seconda della causa che l’ha determinato. A riguardo, la Corte ha chiarito che gli effetti della risoluzione giudiziale, sebbene la relativa pronuncia abbia carattere costitutivo, retroagiscono, con la conseguenza che il contratto cessa dal momento in cui si è verificata la causa della risoluzione, e non dal momento in cui viene resa la sentenza. La Commissione, tenuto conto che, nel caso di specie, il mancato pagamento del canone di locazione ha prodotto ipso iure la risoluzione del contratto (art.1456 del c.c.), ai sensi della sentenza n.362 del 26/07/2000 della Corte Costituzionale, dichiara illegittimo l’avviso di accertamento accogliendo il ricorso del ricorrente (n.d.a.: iscritta all’ASPPI di Latina e difesa dal sottoscritto). A rafforzare la tesi della non tassabilità del canoni non percepiti da contratti di locazione ad uso commerciale è la stessa Agenzia delle Entrate la quale nella circolare 11/E del 21/05/2014 ha ribadito i concetti espressi dalla citata sentenza della Corte Costituzionale. La circolare nel riesaminare le differenti disposizioni sulla tassabilità di redditi di locazione ad uso abitativo e di quelli ad uso diverso nel senso che per i primi, la mancata percezione dei canoni da provvedimento di convalida di sfratto permette al locatore il riconoscimento di un credito d’imposta, per i secondi invece, i canoni non percepiti vanno comunque dichiarati a prescindere dalla loro percezione (principio di competenza). Tuttavia con le opportune precisazioni ristabilisce il giusto equilibrio della discrasia che il legislatore è venuto a creare nel differente trattamento tributario dei canoni non percepiti da locazioni commerciali rispetto a quelle ad uso abitativo. Infatti nell’ultimo capoverso della circolare la stessa Agenzia delle Entrate oltre a riprendere i principi enunciati dalla Corte Costituzionale di cui alla sentenza 362/2000 che ha ritenuto non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art.26 del TUIR ha comunque recepito in pieno l’insegnamento impartito dalla Corte Costituzionale quando la stessa Agenzia delle Entrate ha ammesso: “che il locatore può utilizzare tutti gli strumenti previsti per provocare la risoluzione del contratto di locazione (dalla clausola risolutiva espressa ex art.1466 del c.c. alla risoluzione di diffida ad adempiere ex art.1454 del c.c. all’azione di convalida dello sfratto ex artt.657 e 11 c.p.c. …” e far riespandere la regola generale di attribuzione del reddito fondiario basato sulla rendita catastale. In conclusione è opportuno, pertanto, al fine di evitare contestazioni da parte dell’Autorità Finanziaria che nei contratti di locazione commerciali vengano inserite clausole ben definite sulla risoluzione contrattuale a seguito di fitti non percepiti. Solo così si può evitare di pagare imposte per redditi che in buona sostanza non sono stati mai posseduti. Si auspica nel contempo nel buon senso del legislatore affinché sia emanata una apposita norma che ristabilisca una parità di trattamento anche in virtù dell’ormai consolidato orientamento giurisprudenziale.

I problemi sociali vanno affrontati con le politiche sociali, non con il blocco degli sfratti

La richiesta avanzata dagli assessori di alcune grandi città di prorogare la norma che prevede il blocco degli sfratti per talune categorie di inquilini è del tutto irragionevole. La norma in questione riguarda poche migliaia di famiglie in particolari condizioni sociali per le quali è stato richiesto lo sfratto per finita locazione. Non riguarda quindi la generalità degli sfratti, che in grandissima parte vengono pronunciati per morosità, nè la grande maggioranza degli sfrattati che non rientrano nelle condizioni previste dalla norma. Ha assolutamente ragione il Ministro Lupi quando dichiara che i comuni hanno tutti gli strumenti, normativi e finanziari, per affrontare una volta per tutte un problema di questa portata e limitatezza senza invocare provvedimenti di blocco che scaricano sui locatori un problema sociale che deve riguardare la collettività, e contribuiscono ad alimentare sfiducia sul fatto che nel mercato della locazione vigano e vengano rispettate regole certe. Il fondo sociale per l’affitto recentemente rifinanziato, la possibilità per i comuni e le loro Agenzie di acquisire alloggi da destinare a particolari tipologie di inquilini, le possibilità offerte dalla edilizia sociale costituiscono altrettanti modi per assicurare la necessaria assistenza a queste famiglie, senza abbandonare nessuno e senza scaricare il problema sui locatori. Non vorremmo che l’agitazione, abbastanza smodata, attorno ad un problema così circoscritto, celasse la volontà di invocare provvedimenti di blocco di portata più ampia: se questa tentazione fosse presente è utile ricordare come già la Corte Costituzione si sia pronunciata negativamente su norme di questa natura. Sarebbe d’altra parte la via maestra per produrre il blocco del mercato degli affitti a tutto danno dei locatori e degli inquilini.

Mancata proroga sfratti: una giusta scelta da difendere

Il nuovo decreto milleproroghe (D.L. 192 del 31 dicembre 2014) ha posto fine ad un odioso e scellerato rito, quello del blocco degli sfratti per finita locazione, che si protraeva ininterrottamente da oltre 35 anni. L’ultima proroga, scaduta il 31 dicembre del 2014 era la trentesima. Si tratta di un’importante decisione, che speriamo sia confermata dalla legge di conversione del decreto. Il Governo, finalmente, ha dato un segnale di discontinuità, da un parte, e di attenzione al diritto, dall’altra. Sì, perché è di palmare evidenza che non devono essere i proprietari di casa a sopportare il peso dei disagi delle categorie cosiddette “deboli”. I proprietari non possono e non debbono sostituirsi allo Stato nella tutela delle fasce meno fortunate. Dovendo considerare, nello stesso tempo, che la proprietà è un diritto primario del cittadino, costituzionalmente garantito, e tuttavia da trent’anni calpestato. Nel 1984 (31 anni fa) la Consulta aveva stabilito che un ulteriore intervento di proroga dei contratti ad uso diverso non sarebbe stato consentito. Nel 2003 (dodici anni fa), sempre la Corte Costituzionale aveva stabilito che “la procedura esecutiva, attivata da parte di singolo soggetto provvisto di titolo esecutivo giurisdizionale, non può essere paralizzata indefinitamente con una serie di pure e semplici proroghe, oltre un ragionevole limite di tollerabilità”. Siamo nel 2015, e ancora assistiamo a movimenti di protesta nei confronti di questo provvedimento (o per meglio dire “mancato provvedimento”) a nostro avviso sacrosanto. Speriamo che i Comuni e le Prefetture (le quali devono accordare l’assistenza della Forza Pubblica per l’esecuzione dello sfratto) non abbiano a opporre resistenza nei confronti del diritto. Mentre da più parti sentiamo gridare sconsideratamente a favore di un’ulteriore proroga, in pochi (ma noi siamo tra questi) si ricordano che, sull’altro versante, vi sono migliaia di famiglie e di piccoli proprietari che da anni attendono di rientrare nel possesso del loro immobile, e lo Stato gliel’ha sempre negato. Molti sono infatti i nostri soci che non sono riusciti a eseguire lo sfratto per effetto della mostruosa proroga, e che adesso sperano non vi sia l’ennesimo dietro-front del legislatore. Le recenti disposizioni in materia di sostegno per l’affitto e per la morosità incolpevole si inscrivono in un disegno che riteniamo corretto, nel quale lo Stato si fa carico delle difficoltà obiettive di chi, senza sua colpa, non è più in grado di pagare l’affitto. Lo stesso sentire deve ispirare identiche misure per le fasce deboli, senza danni per la proprietà. Troppo hanno già sopportato i piccoli proprietari per colpa di governi che sulle loro spalle hanno scaricato la responsabilità dell’assoluta mancanza di politiche per l’abitare e per l’housing sociale. Si pensi, solo per fare un esempio, al caso di chi ha acquistato un immobile dalla società per la cartolarizzazione degli immobili pubblici (SCIP) occupato da un inquilino con regolare contratto (molto spesso ad equo canone, trattandosi di locazioni risalenti nel tempo). In questo caso, l’inquilino per legge ha goduto del diritto di permanere nell’immobile per nove anni, scaduti i quali il proprietario ha potuto intimare lo sfratto per finita locazione. Ebbene, fino a ieri, nel caso in esame come in tutti i casi di contratti scaduti, magari da anni, ove il conduttore si trovasse in una delle condizioni previste dal blocco degli sfratti (ultrasessantacinquenne, reddito inferiore a 20.000 euro per nucleo familiare, disabilità) per il proprietario era impossibile rientrare nel pieno e legittimo possesso di casa sua, casa magari da destinare ai propri figli. Senza contare che sulla proprietà, che in questi casi incassa canoni assai modesti, incombono tasse sempre più elevate, spese di manutenzione straordinaria e molto spesso anche il mutuo. Di fatto solo costi, e l’immissione nel possesso prorogata ad interim. Fino a ieri, appunto. Speriamo che oggi, e soprattutto domani e per i giorni a venire, tutto questo non accada più.

Affitti: costi, rendimenti, rischi

È stata di recente pubblicata dal Sole 24 Ore una elaborazione realizzata su dati forniti da Nomisma, Agenzia delle Entrate, CAF Acli. La Tabella che ne è scaturita rappresenta per ogni Capoluogo di provincia il peso della tassazione su una abitazione affittata a canone libero e il ritorno percentuale di rendimento calcolato sul valore di mercato dell’immobile. Naturalmente si sono considerati i due diversi regimi di tassazione: cedolare e prelievo ordinario calcolato in base allo scaglione IRPEF del 38%, addizionali regionali e locali (2.5%); imposta di registro(1%). Si è calcolato inoltre un’incidenza delle spese di manutenzione pari al 10% del canone annuo. La sintesi nazionale elaborata in base a questi dati si riferisce ad un canone lordo medio annuo pari ad 8982 euro. In caso di cedolare secca la % di imposte e spese si attesta al 42% ; ne consegue un canone netto di 5231 euro che rappresenta un rendimento annuo sul valore dell’immobile del 2,61%. In caso di prelievo ordinario la % di imposte e spese sale al 60% e di conseguenza il canone netto risulta di 3572 euro, pari all’1,78 %. Fra le grandi città si collocano sopra questa media Milano, Roma, Palermo. Fra le città con i migliori rendimenti : Gorizia, Messina, Sassari, Varese; Avellino, Caserta, Pesaro e Salerno le città con i rendimenti più bassi. Naturalmente questi dati sono influenzati da moltissime variabili che pesano diversamente in ogni realtà: la congruità dei valori catastali innanzitutto, che influenza il calcolo di IMU e TASI ancor più della diversità delle aliquote applicate; la determinazione effettiva dei valori di mercato e dei valori medi di locazione in ogni capoluogo, rilevazione non certo facile da effettuare. La cosa più curiosa è che il rendimento (essendo un valore ricavato in percentuale) è spinto in alto dall’abbassamento medio del valore di mercato degli immobili e quindi spesso costituisce l’altra faccia della medaglia di un fenomeno negativo. Da ultimo infine và ricordato come il rendimento di un investimento vada direttamente rapportato ai margini di rischio che l’investimento comporta: nel nostro caso il rischio si chiama morosità degli inquilini, fenomeno sempre più esplosivo che porta con sè mancati guadagni, spese per liberare l’immobile, tempi lunghissimi per rientrare nella piena disponibilità dello stesso.

La congiuntura immobiliare

Pubblichiamo in questo numero le conclusioni di sintesi dell’ultimo sondaggio congiunturale sul mercato delle abitazioni pubblicato nell’ottobre scorso e realizzato dalla Banca d’Italia. Il sondaggio ha cadenza trimestrale. Negli ultimi numeri della nostra rivista sono stati pubblicati i precedenti sondaggi. Nel terzo trimestre del 2014 la quota di agenti che hanno riportato un calo dei prezzi rimane largamente predominante, ma sono emerse indicazioni di una riduzione del divario tra prezzi di domanda e di offerta. Il pessimismo degli operatori circa le prospettive di breve termine del proprio mercato si è attenuato, nonostante le attese di un nuovo calo dei prezzi. In un orizzonte di medio termine (due anni), il saldo relativo alle attese di miglioramento e di peggioramento delle tendenze del mercato nazionale è lievemente negativo (era lievemente positivo nella precedente rilevazione); sono aumentati gli operatori che prevedono condizioni stabili. Prezzi delle abitazioni Nel terzo trimestre del 2014 resta complessivamente stabile il saldo tra le quote di operatori che segnalano un aumento e quelle che riportano una diminuzione dei prezzi di vendita (a –65,3 per cento, da –66,4 della rilevazione di luglio;). Tale risultato deriva da componenti eterogenee; nelle aree urbane e in quelle metropolitane il saldo si ridimensiona significativamente a –65,2 e –61,7 per cento (da –70,6 e –70,9 rispettivamente) mentre nelle aree non urbane e non metropolitane aumenta lievemente a –66,3 e –66,7 per cento (da –63,6 e –64,5 di luglio). Anche le quote relative ai giudizi di stabilità dei prezzi si confermano pressoché invariate (al 33,3 per cento da 32,5) dalla precedente rilevazione. Compravendite La quota di agenti che hanno venduto almeno un’abitazione nel terzo trimestre del 2014 è scesa al 64,4 per cento (68,1 nella precedente indagine;). Il risultato, che risente della stagionalità particolarmente accentuata del trimestre estivo, è migliore di quello riscontrato nelLa congiuntura immobiliare lo stesso periodo del 2013 (del 59,8 per cento). I giudizi relativi alle condizioni della domanda hanno invece registrato un marginale peggioramento: il saldo tra gli agenti che riportano un aumento e quelli che indicano una diminuzione dei potenziali acquirenti si è leggermente ampliato a –22,7 punti percentuali da –20,5 della precedente rilevazione. Incarichi a vendere Il saldo fra le risposte di aumento e di diminuzione delle giacenze di incarichi a vendere è rimasto stabile (a 28,4 punti percentuali; ) mentre quello riferito ai nuovi mandati è lievemente aumentato (a 19,7 punti percentuali, da 18,1 in luglio). La principale causa di cessazione dell’incarico rimane il divario tra prezzi di domanda e di offerta . Sono tuttavia scese le quote di operatori che segnalano la percezione di prezzi di acquisto ancora troppo elevati (al 58,0 per cento, dal 62,4 della precedente rilevazione) e di offerte troppo basse (al 52,9 per cento, dal 55,1). È tornata a crescere l’incidenza di agenzie che riconducono la decadenza dell’incarico alla difficoltà di reperire un mutuo (al 37,3 dal 34,2 per cento). Trattative e tempi di vendita Il margine medio di sconto sui prezzi di vendita rispetto alle richieste iniziali del venditore è rimasto sostanzialmente stabile (16,1 per cento);. Anche il tempo medio che intercorre tra l’affidamento del mandato e la vendita dell’immobile si è mantenuto pressoché invariato (9,5 mesi). Modalità di finanziamento degli acquisti La quota di acquisti finanziati con un mutuo ipotecario è diminuita (al 59,9 per cento, dal 62,9 della precedente rilevazione), al pari del rapporto tra prestito e valore dell’immobile (sceso al 59,3 per cento, dal 62,1), interrompendo in entrambi i casi il graduale aumento in atto da circa un anno. Locazioni La quota di operatori che ha dichiarato di avere locato almeno un immobile nel terzo trimestre del 2014 è rimasta pressoché invariata, all’83,7 per cento (81,2 per cento un anno prima; tav. 8). Nel contempo è diminuita l’incidenza di coloro che hanno segnalato una diminuzione dei canoni di locazione (al 52,6 per cento, dal 57,7 dell’indagine di luglio), compensata dall’aumento della quota di giudizi di stabilità (al 45,3 per cento, dal 39,9). In linea con la precedente rilevazione, il 61,8 per cento delle agenzie si attendono che i canoni rimarranno invariati nel trimestre in corso, mentre il 37,1 ne prospetta una diminuzione. Il margine medio di sconto sui canoni rispetto alle richieste iniziali del locatore si è confermato intorno al 7,5 per cento. I nuovi incarichi a locare vengono segnalati come stabili dal 59,0 per cento degli operatori, mentre il saldo fra le risposte di aumento e di diminuzione è rimasto appena positivo (0,8 punti percentuali). Le prospettive del mercato in cui operano le agenzie Le attese degli agenti immobiliari sulle tendenze a breve termine del proprio mercato di riferimento segnalano un’attenuazione del pessimismo: il saldo negativo fra indicazioni di miglioramento e di peggioramento nel trimestre in corso è stato pari a –20,4 punti percentuali, da –26,9 della precedente rilevazione (tav. 10; Fig. 2). Anche il saldo sulle attese sui nuovi incarichi a vendere è tornato a salire (a 16), dopo il recente peggioramento nel trimestre estivo (a 4,2), plausibilmente risentendo della stagionalità. Ha tuttavia continuato ad aumentare la quota di operatori che anticipano una diminuzione dei prezzi (al 61,2 per cento, dal 55,8), mentre si è ridotta l’incidenza di coloro che ne prevedono la stabilità (al 38,4 dal 43,6 per cento). Le prospettive del mercato nazionale delle compravendite Il saldo negativo dei giudizi sulle prospettive a breve termine nel mercato nazionale è rimasto sostanzialmente stabile (–33,7). In un orizzonte di medio termine (due anni) il saldo tra giudizi favorevoli e sfavorevoli è invece sceso per il secondo trimestre consecutivo, diventando negativo per 3,9 punti percentuali (era positivo per 5,4 nella precedente rilevazione); l’incidenza dei giudizi di stabilità è salita al 37,7 per cento (da 34,8)

Il consiglio di condominio: il ritorno nel nostro ordinamento di un organismo importante nella pratica gestionale

I l “consiglio di condominio” ha una storia lunga: si tratta di un istituto previsto per la prima volta nel Regio DL 56 del 15.01.1934 poi convertito nella L 10/1935 che rappresenta la prima organica e articolata regolamentazione del fenomeno condominiale in Italia. In tale risalente norma, ovviamente non più in vigore, l’art. 16 prevedeva che, nei condomini numerosi, l’amministratore fosse coadiuvato da un consiglio composto da almeno due membri, scelti tra i partecipanti al condominio. Tale consiglio aveva poteri consultivi, di controllo e di conciliazione delle vertenze tra condomini. Lo stesso art. 16 prevedeva che i regolamenti di condominio potessero affidare al consiglio di condominio altre attribuzioni tra quelle riservate all’amministratore, anche se al medesimo consiglio non potevano essere attribuite funzioni di amministrazione attiva. Il Codice Civile del 1942 non ha più riportato la figura del consigliere di condominio, ma tale figura è sopravvissuta e la si trova spesso prevista nei regolamenti di condominio. La nomina di uno o più consiglieri è peraltro considerata prassi abituale anche nei casi in cui non vi è un regolamento di condominio che preveda tale organismo. Il consigliere, più spesso più di uno, assume i compiti che gli vengono attribuiti dal regolamento di condominio o dall’assemblea. La riforma del condominio introduce nel Codice Civile e quindi reintroduce nel nostro ordinamento la figura del consigliere. In effetti, l’art. 1130 bis Cod Civ dispone che “l’assemblea può anche nominare, oltre all’amministratore, un consiglio di condominio composto da almeno 3 condomini negli edifici di almeno 12 unità immobiliari”. La norma chiarisce che il consiglio di condominio ha “funzioni consultive e di controllo”. La figura del consigliere è contenuta in un articolo che tratta più ampiamente quella che potremmo definire “trasparenza amministrativa”: lo stesso art. 1130 bis Cod Civ dettaglia le caratteristiche del rendiconto, introduce la nota sintetica esplicativa della gestione e la figura del revisore dei conti condominiale. Completa il quadro l’affermazione esplicita del diritto dei condomini (ed anche degli inquilini) all’accesso ai documenti giustificativi di spesa, in ogni tempo, quindi anche al di là del contesto assembleare. La riforma del condominio non conferisce poteri particolari ai consiglieri, lasciando la loro area di competenza abbastanza indefinita: la previsione di funzioni genericamente “consultive” e di “controllo” corrisponde del resto alla prassi della vita condominiale. Molto spesso, infatti, l’istituzione di tale organo collegiale risponde alla necessità di dare un supporto all’amministratore nello svolgimento del proprio mandato, coadiuvandolo e svolgendo un importante raccordo tra lo stesso e i singoli condomini, talvolta facendo da “filtro” alle singole proposte o lamentele. D’altra parte, il consiglio di condominio può svolgere una funzione consultiva e di stimolo anche in favore dell’assemblea, manifestando pareri sui vari aspetti della vita condominiale ovvero controllando che la gestione condominiale e il relativo operato dell’amministratore vengano effettuati nel pieno ed esclusivo interesse della comunità dei condomini. Tra i compiti che il consiglio di condominio spesso assume, uno tra i più frequenti ed importanti riguarda la verifica delle voci di spesa che compongono il rendiconto condominiale: tutti i condomini, peraltro, possono svolgere questa attività di controllo contabile, ma, in pratica, per una serie di motivi, sono proprio i consiglieri che si incaricano dell’esercizio di questo diritto di controllo dell’operato dell’amministratore. I consiglieri, inoltre, possono concordare con l’amministratore l’ordine del giorno delle assemblee, seguire i lavori in corso e segnalare immediatamente eventuali ritardi o omissioni. L’amministratore, dal canto suo, spesso sfrutta le competenze dei consiglieri in sede assembleare. In caso di lavori urgenti, inoltre, l’amministratore si confronta con i consiglieri prima di dare corso autonomamente ai lavori: quando l’intervento sarà riferito in assemblea, come prevede la legge, l’amministratore si presenterà in quel contesto forte del consenso del consiglio. Può accadere che l’assemblea decida di effettuare dei lavori di manutenzione, votando l’impegno di spesa ma demandando all’amministratore la scelta della società appaltatrice. Al fine di aiutare il professionista nella scelta della stessa è possibile che tale attività venga demandata ai consiglieri. In questo caso, la firma del contratto di appalto spetta sempre all’amministratore come previsto dall’art 1130 Cod Civ, ma il supporto del consiglio sarà stato utile nel dare all’assemblea garanzie di una scelta corretta e trasparente. Occorre considerare con grande cautela questa possibilità, perché la Magistratura non ha manifestato un orientamento univoco. La sentenza della Corte di Cassazione n. 10937 del 11.07.2003 ha ammesso che non deve essere presa all’unanimità dei condomini la delibera che deleghi all’amministratore la facoltà di scegliere egli stesso la ditta esecutrice di lavori condominiali. Questa previsione sarebbe applicabile anche ai casi, più frequenti, in cui la delega venga conferita ad una commissione, normalmente proprio il consiglio di condominio, che, valutati diversi preventivi, scelga quello ritenuto migliore. Il problema è che, essendo l’approvazione delle spese una competenza esclusiva dell’assemblea, è ipotizzabile una carenza di potere di quest’ultima a delegare detta funzione ad organi diversi, con la conseguente radicale nullità della delibera. In effetti, la più recente sentenza della Corte di Cassazione n. 5130 del 06.03.07 esprime un diverso orientamento: secondo tale sentenza, il consiglio non potrà in nessun caso esercitare poteri attribuiti per legge all’assemblea. Pur ammettendo la nomina della commissione, la Cassazione in questa decisione esclude in modo categorico la possibilità di “delegare ai singoli condomini anche riuniti in gruppo, le funzioni dell’assemblea”. Sarà quindi opportuno che l’amministratore anticipi il momento del confronto con i consiglieri in relazione ai preventivi da sottoporre all’esame dell’assemblea, facendo in modo che l’assemblea si pronunci espressamente sul conferimento dell’appalto, come pure su altri aspetti rilevanti, come, ad esempio, il cadenzamento dei pagamenti all’impresa, il cadenzamento delle rate condominiali a copertura delle spese (in ossequio ora al nuovo art. 1135 comma 1 n 4 che prevede il fondo speciale per i lavori di manutenzione straordinaria e per le innovazioni), il conferimento dell’incarico di direttore dei lavori ed altri. Relativamente al quorum richiesto per la nomina dei consiglieri, la deliberazione può essere adottata, in seconda convocazione, con il voto favorevole della maggioranza degli intervenuti all’assemblea che rappresentino almeno 1/3 del valore dell’edificio, non essendo prevista dalla legge una maggioranza specifica, come accade, invece, per la nomina dell’amministratore. Prima dell’entrata in vigore della riforma del condominio, ove il regolamento condominiale non prevedesse la presenza di questo organo, era necessario deliberarne l’istituzione con una delibera assunta con la stessa maggioranza necessaria per la modifica del regolamento: quindi con il voto favorevole della maggioranza dei presenti in assemblea che rappresentino almeno 500/1000. Ora però la circostanza che la nomina dei consiglieri sia prevista direttamente dal Codice Civile, conduce ad affermare che tale passaggio formale non sia necessario e che la semplice nomina dei consiglieri in assemblea con la minima maggioranza deliberativa sia sufficiente. Il numero dei componenti del consiglio è stabilito dall’assemblea, ma in caso di condomini con almeno 12 unità immobiliari, secondo l’espresso dettato legislativo, non può essere inferiore a 3. Il testo del Codice Civile è, in vero, piuttosto ambiguo: il testo dell’art. 1130 bis Cod Civ ultimo comma dispone infatti testualmente: “L’assemblea può anche nominare, oltre all’amministratore, un consiglio di condominio composto da almeno tre condomini negli edifici di almeno dodici unità immobiliari. Il consiglio ha funzioni consultive e di controllo.” Tale norma è stata letta da alcuni nel senso che non vi possa essere un consiglio di condominio ove le unità immobiliari siano meno di dodici. Si tratta, però, di un’interpretazione discutibile. L’assemblea ben potrà disporre la nomina di consiglieri, avendo cura di nominarne almeno tre se il numero delle unità immobiliari (non dei condomini) è superiore a undici. Su un punto invece la norma si esprime chiaramente: considera infatti che il consiglio di condominio debba essere composto da condomini e quindi proprietari di unità immobiliari nell’edificio in condominio. In assenza di diverse indicazioni nel regolamento contrattuale di condominio, dovremmo quindi ritenere, applicando la normativa vigente, che i consiglieri debbano essere scelti tra i condomini e non possa quindi essere nominato consigliere un soggetto estraneo. In conclusione, per ragioni di cui sopra, si può affermare che, dal punto di vista dei proprietari di unità immobiliari in condominio, la nomina dei consiglieri può essere ritenuta un vantaggio. È necessario, però, ricordare che l’amministratore riceve il mandato dal condominio nel suo complesso e quindi deve rendere conto del suo operato a tutti i condomini, i quali tutti hanno diritto a contattare l’amministratore, avere da questi chiarimenti, segnalare problematiche di vario genere di interesse condominiale. Il buon amministratore dovrà quindi fare attenzione a considerare i consiglieri una risorsa, ma deve tenere bene a mente che tutti i condomini sono suoi committenti e che la legge e la giurisprudenza non consente che il consiglio di condominio finisca con l’esautorare l’assemblea: ogni proprietario dovrà quindi avere cura del proprio diritto a partecipare alle decisioni che riguardano l’immobile nel suo complesso. D’altra parte, per l’amministratore, vale la considerazione che costruire con i consiglieri un rapporto di reciproca fiducia e rispetto professionale e personale è importante, ma dovrà fare attenzione a ricordare che il solo rappresentante legale del condominio è proprio lui e che solo lui stesso ha la responsabilità della corretta gestione del condominio da tutti i punti di vista. In ultimo, occorre ricordare che è importante che i condomini non abbiano la sgradevole impressione di trovarsi di fronte ad una sorta di “comitato di affari”, per cui possano ritenere che il supporto all’amministratore da parte dei consiglieri sia conseguente a benefici economici per i medesimi o per i loro sodali: anche da questo punto di vista è opportuno che la comunità dei condomini abbia cura del proprio diritto alla corretta partecipazione alla gestione al condominio nei termini di legge; l’alternanza tra i condomini nella funzione di consigliere dovrebbe essere considerata con attenzione e ritenuta una buona prassi.

Prosegue il nuovo corso di formazione per amministratori condominiali

Il corso di formazione base per amministratori condominiali organizzato dalla sede di Treviso, avvalendosi dell’attività formativa dello studio Storebelt e dell’ASPPI di Treviso, sta entrando nel vivo dell’iter formativo. Si è, infatti, concluso il primo ciclo relativo a 5 lezioni online, che ha visto i corsisti affrontare con impegno ed interesse, con le nuove modalità telematiche di apprendimento, una varietà di materiale didattico comprensivo di scritti del manuale realizzato appositamente per il corso, filmati riproducenti lezioni predisposte dagli insegnanti, letture di approfondimento e richiami giurisprudenziali. A tali lezioni sono stati abbinate anche delle verifiche periodiche on-line, verificate tempestivamente dai docenti, che si sono altresì messi a disposizione per rispondere ad eventuali quesiti sottoposti loro dai corsisti nel corso delle lezioni. Conclusa la prima fase è ora iniziata quella relativa alle lezioni in aula, dove si succederanno settimanalmente vari professionisti che illustreranno ai corsisti le nozioni fondamentali, con approfondimenti mirati in materia fiscale e tributaria, contabilità condominiale, utilizzo di software specifici per amministrazioni condominiali, tematiche tecniche su appalti, impiantistica, inquinamento, sicurezza, ecc. Non solo ma ad ogni lezione verrà dedicata anche una finestra per un tempo ben preciso a ciò dedicato, avvalendosi del responsabile scientifico della sede di Treviso, per un ripasso degli aspetti giuridici su questioni pratiche relative alla vita condominiale. È prevista, inoltre, a metà corso una verifica intermedia, con la partecipazione dei formatori dello studio Storebelt che sottoporranno ai corsisti una verifica su tutte le lezioni impartite, con correzione immediata e ritorno agli stessi dell’esito delle correzioni. I corsisti allo stato stanno dimostrando un’ottima partecipazione e coinvolgimento al corso e già dalle prime lezioni in aula, si evince che hanno non solo dimestichezza con la materia, ma palesano la volontà di approfondire le varie tematiche, dimostrando una passione ed una predisposizione per tale professione. La sede di Treviso di Sesamo sta utilizzando per lo svolgimento di tali corsi i locali messi a disposizione dell’ASCOM di Treviso, che sono dedicati alla formazione professionale, e che consistono in salette accoglienti e debitamente attrezzate, come si può evincere dalla riproduzione fotografica allegata. I responsabili della sede di Treviso di Sesamo, come anche il responsabile del Centro Studi e Formazione di Sesamo Nazionale, esprimono la loro soddisfazione che la soluzione adottata per lo svolgimento del corso pare essere apprezzata dai corsisti e si auspica che il corso si concluda positivamente nello stesso modo in cui si sta svolgendo la prima fase.

La riforma del catasto dei fabbricati – Stato dell’arte

P rosegue a rilento l’iter legislativo per la definizione delle nuove regole alla base della riforma del catasto, previste dalla legge legge 11 marzo 2014, n. 23. Per l’attuazione della riforma è stato approvato dal Consiglio dei Ministri (ma se ne attende ancora la pubblicazione in G.U.) il primo decreto legislativo che disciplina la struttura e le nuove competenze delle Commissioni Censuarie Locali e della Commissione Censuaria Centrale. Per le prime si tratta degli Organi che, per ogni Provincia, dovranno approvare i parametri ed algoritmi sulla base dei quali saranno determinate le nuove rendite catastali ed i valori patrimoniali per il pagamento dell’IMU e presumibilmente anche dell’imposta di registro per i trasferimenti immobiliari. La Commissione Censuaria Centrale avrà principalmente il compito di dirimere eventuale vertenze tra deliberazioni delle Commissioni Censuarie Locali ed eventuali ricorsi dei Comuni o dell’Agenzia delle Entrate Uffici provinciali territorio. Dopo varie sofferenze, alla fine è stato garantita la presenza in ogni Commissione di un tecnico individuati tra una rosa segnalata dalle Associazioni di Categoria della proprietà immobiliare. Non è stata ancora ottenuta, al momento, la possibilità delle Associazioni di categoria di potere ricorrere in Commissione Censuaria Centrale contro le deliberazioni delle Commissioni Censuarie Locali. Facoltà invece concessa, forse per distogliere proditoriamente l’attenzione sui problemi più reali, per concentralo sulle modestissime attività ad esaurimento e perciò eventuali e prive di ogni importanza per l’approvazione dei quadri tariffari nell’attuale sistema catastale. Sembra in “pole position” il secondo decreto legislativo, quello più propriamente tecnico, che dovrebbe essere emanato entro il 26 marzo 2015 e che disciplinerà tutto il meccanismo di calcolo dei nuovi estimi. Allo stato, sulla base dei principi fissati dalla legge delega, si sa che l’accertamento degli estimi per le singole unità immobiliari urbane, storicamente denominato “classamento” in quanto faceva riferimento all’attribuzione di una “classe” di redditività nell’ambito della categoria catastale di appartenenza, cambia totalmente i connotati. Il nuovo accertamento comporterà l’attribuzione di un valore puntuale per ogni unità immobiliare e non più per classi di valori. Le principali novità riguarderanno: • la denominazione della categoria catastale secondo un nuovo quadro di qualificazione; • l’introduzione del metro quadrato di superficie come parametro di misura della consistenza immobiliare delle unità a destinazione ordinaria; • la determinazione sia della rendita che del valore patrimoniale. • un algoritmo di stima dei nuovi estimi costituito da una espressione matematica Circa il primo punto, a riforma completata, le nostre unità immobiliari assumeranno una nuova categoria catastale denominata anche “destinazione d’uso funzionale”. Tanto per capirci, nel gruppo delle abitazioni anziché le categorie A/1, A/2, A/3, A/4, A/5, A/6 vedremo l’introduzione di un’unica categoria catastale denominata “Abitazioni in fabbricati residenziali e promiscui” (unità in un condominio) e per le categorie A/7 e A/8 l’unica categoria – “Abitazioni in villino e in villa”, ecc. Da prime indiscrezioni emerse sul decreto legislativo in elaborazione, le unità immobiliari saranno catalogate in due macro-gruppi Unità ordinarie sigla “O” ed unità a destinazione speciale sigla “S”, coma dalla seguente ipotesi di denominazione:

 

CATEGORIE GRUPPO O

O/1 Abitazioni in fabbricati residenziali plurifamiliari o promiscui

O/2 Abitazioni in fabbricati residenziali unifamiliari, plurifamiliari isolati o a schiera

O/3 Abitazioni tipiche dei luoghi

O/4 Uffici, studi e laboratori professionali

O/5 Cantine, soffitte e simili

O/6 Posti auto coperti, posti auto scoperti su aree private, locali per rimesse di veicoli

O/7 Negozi, laboratori artigianali e locali assimilabili

O/8 Magazzini, locali da deposito e tettoie

CATEGORIE GRUPPO S

S/1 Immobili unitamente ai connessi impianti per la produzione e trasformazione di energia

S/2 Immobili unitamente ai connessi impianti destinati ad attività estrattiva

S/3 Immobili unitamente ai connessi impianti destinati all’industria manifatturiera

S/4 Immobili unitamente ai connessi impianti per la logistica

S/5 Immobili unitamente ai connessi impianti ambientali

S/6 Immobili per attività direzionali

S/7 Immobili per attività commerciali

S/8 Immobili per l’istruzione

S/9 Immobili per l’attività dei servizi di alloggio

S/10 Immobili per attività creative, artistiche e di intrattenimento

S/11 Immobili unitamente ai connessi impianti sportivi, porti e aeroporti turistici o per voli non di linea

S/12 Immobili per sanità e assistenza sociale

S/13 Immobili militari e per la Pubblica Sicurezza e edifici di pena e di rieducazione

S/14 Immobili strumentali all’esercizio dell’attività agricola

S/15 Unità immobiliari residenziali e non residenziali non qualificabili nelle categorie ordinarie per la presenza di caratteristiche particolari

S/16 Costruzioni sospese o galleggianti stabilmente assicurate o collegate al suolo

S/17 Ripetitori di segnali audiovisivi e telefonici e di dati

S/18 Immobili speciali d’interesse pubblico

 

Per il secondo aspetto rilevante del nuovo sistema estimativo catastale il parametro di misura della dimensione fisica delle unità immobiliari a destinazione ordinaria, tecnicamente definito “consistenza” diventerà univocamente il m2 di superficie. La determinazione degli estimi, di cui al terzo e quarto punto dell’elenco, mostrerà gli effetti sostanziali della riforma. Quando si andrà ad eseguire una visura degli atti catastali, nel sistema riformato, a margine dei confermati identificativi immobiliari, troveremo dei nuovi dati costituiti da: • ambito territoriale di appartenenza; • nuova categoria catastale; • dati numeri di superficie e degli altri parametri utilizzati per la stima; • rendita; • valore patrimoniale. I nuovi dati di estimo (rendita e valore patrimoniale) sono determinati ciascuno attraverso una espressione matematica (algoritmo, detta anche funzione di stima) che elaborando i valori specifici della superficie e degli altri parametri tecnici dell’unità immobiliare (presenti nella funzione di stima), restituisce il valore della rendita o quello patrimoniale. Le risultanze catastali dovranno indicare anche la funzione di stima applicata (si presume attraverso un codice che colleghi la funzione al set di funzioni che saranno pubblicate in G.U.). Le suddette informazioni consentiranno al contribuente di verificare oltre alla categoria, i valori attribuiti a ciascun parametro di stima e relativo calcolo della rendita e del valore patrimoniale. Il ruolo delle Associazioni di Categoria dei proprietari di immobili sarà rilevante e determinante per la tutela degli iscritti, se opportunamente svolto, sia in fase di definizione ed approvazione dei decreti legislativi sia in fase di controllo degli algoritmi di determinazione dei nuovi estimi, in sede di commissioni censuarie locali, attraverso i tecnici designati. Certamente l’attività dei tecnici di nomina da parte delle Associazioni di categoria potrà essere efficace solo se sarà adeguatamente supportata dalle Associazioni medesime con una attività istruttoria in termini di rilevazione di dati di mercato e di caratteristiche tecniche degli immobili, sulla base delle quali potranno essere adeguatamente testati gli algoritmi di calcolo delle rendite. Tale attività non si improvvisa, ma va progettata tecnicamente e rigorosamente in ogni dettaglio, pianificata nella tempistica e realizzata nei tempi convergenti con il completamento delle attività catastali. La banca dati che si verrà a realizzare, possibilmente in collaborazione con tutte le varie sigle di categoria potrà altresì risultare notevolmente utile anche come service per gli scritti per la tutela in fase di attribuzione dei nuovi estimi attraverso l’istruttoria di adeguati reclami-ricorsi in merito alla superficie ed altri parametri attribuiti. www.studioingegneriaiovine.it

Prossimo al via il decreto sulle prestazioni energetiche degli edifici

Dal 1 luglio 2015 i nuovi edifici dovranno essere più efficenti sotto il profilo energetico. Il Governo (ministero dello Sviluppo) ha completato la stesura del Decreto Attuativo del Decreto Legislativo 192/2005 che recepiva la normativa europea in materia di prestazioni energetiche dell’attività edilizia. Tale normativa diventerebbe così concretamente applicabile nel nostro Paese e dovrebbe progressivamente orientare la produzione edilizia verso l’obiettivo di un consumo ‘quasi zero’. Il provvedimento definisce la ‘road map’ per conseguire questo risultato. 1a. Scadenza: luglio 2015 tutti gli edifici di nuova costruzione e le ristrutturazioni pesanti, dovranno garantire un miglioramento medio dell’indice di prestazione energetica pari al 45% nelle zone climatiche più calde e pari al 35% nelle zone climatiche più fredde. 2a. Scadenza: 1 gennaio 2019 Il miglioramento enegetico dovrà essere almeno il 55% in più rispetto ad oggi in tutte le zone climatiche. 3a. Scadenza Entro il 1 gennaio 2021, l’ulteriore incremento delle prestazioni comporterà la realizzazione di edifici definiti «a energia quasi zero». Il Decreto Attuativo introduce quindi nuove metodologie di calcolo della prestazione energetica degli edifici nonché il rafforzamento, sulla base dell’ottimizzazione del rapporto tra costi e benefici degli interventi, degli standard energetici minimi per la realizzazione di nuovi edifici e per la ristrutturazione di quelli esistenti e definisce le norme tecniche da utilizzare come riferimento per calcolare la prestazione energetica degli edifici e i requisiti minimi da rispettare nel caso di nuove costruzioni, ristrutturazioni «importanti» e riqualificazione energetiche. Nel caso di nuove costruzioni e ristrutturazioni «importanti», demolizioni e ricostruzioni, ampliamenti e sopraelevazioni, la verifica del rispetto dei requisiti minimi si opera confrontando l’edificio oggetto dell’intervento con un edificio di riferimento, cioè un edificio identico a quello da realizzarsi in termini di geometria (sagoma, volumi, superficie calpestabile, superfici degli elementi costruttivi e dei componenti), orientamento, ubicazione territoriale, destinazione d’uso e situazione al contorno e avente caratteristiche termiche e parametri energetici predeterminati. Il provvedimento indica poi nel dettaglio i requisiti minimi da rispettare negli interventi di riqualificazione energetica, che possono riguardare sia l’involucro edilizio che gli impianti tecnici. Per riqualificazione energetica si intende l’intervento che coinvolge una superficie inferiore al 25% della superficie disperdente lorda totale, oppure consiste nella nuova installazione dell’impianto tecnico o nella sua ristrutturazione. Il decreto prevede due deroghe all’applicazione dei requisiti minimi di prestazione energetica per questi interventi . La prima deroga è per le manutenzioni ordinarie agli impianti termici esistenti; la seconda deroga riguarda gli interventi di ripristino dell’involucro edilizio che riguardino elementi «ininfluenti dal punto di vista termico» o porzioni di intonaco inferiori al 10% della superficie disperdente lorda dell’edificio. Per valutare il livello di prestazione energetica si dovrà considerare la destinazione d’uso come prevista dal Dpr 412/93. Nel caso di edificio multifunzionale, il calcolo della prestazione energetica deve essere condotto per ciascuna parte/funzione dell’edificio. Ma se non fosse tecnicamente possibile trattare separatamente le diverse zone termiche, l’edificio è valutato e classificato in base alla destinazione d’uso prevalente in termini di volume climatizzato.

Il trust in italia è un istituto giuridico conosciuto?

Sulla Rivista “Pietra su Pietra”, ci sono i seguenti articoli sul trust, pubblicati nel fascicolo n. 6/2007 di Novembre/Dicembre, a pagina 8-9, con il tema “Il trust, uno strumento antico ma innovativo”, dove si esamina la Convezione dell’Aja e la segregazione del patrimonio in trust. Nel numero successivo 1/2008, di Gennaio/Febbraio, pagina 14-15-16, con il tema “I soggetti del trust” e dei “Lineamenti dei , sul tema della conoscenza dei soggetti del trust: il disponente, il trustee, il guardiano e i beneficiari, analizzando: la struttura del trust, la forma ed il contenuto dell’atto istitutivo. Alla domanda che cos’è il Trust? spieghiamo che è un istituto di matrice anglosassone, secondo cui un soggetto disponente (il proprietario) trasferisce uno o più beni ad un soggetto fiduciario “trustee” (gestore), il quale si obbliga a gestire per la realizzazione di uno scopo specifico (Trust di scopo) o perché li custodisca e li gestisca per di uno o più beneficiari (Trust con beneficiari), ai quali saranno trasferiti i beni o i diritti al termine del Trust.Il trasferimento operato dal disponente al fiduciario “trustee” da luogo ad un fenomeno di separazione patrimoniale, con la conseguenza che i beni oggetto del trust non potranno essere aggrediti dai creditori sia del disponente che del fiduciario “trustee” e formeranno una massa autonoma rispetto agli altri beni di cui sia titolare il fiduciario “trustee”. Si ha Trust Interno Autodichiarato quando il disponente ed il fiduciario “trustee” sono la stessa persona e quindi si assiste ad un fenomeno di separazione patrimoniale nell’ambito dello stesso patrimonio del disponente. Il Tribunale di Cagliari, con la sentenza del 4 agosto 2008 ha definito che il Trust Interno Autodichiarato è ammissibile, in quanto compatibile con i principi inderogabili del diritto italiano (Legge 9 ottobre 1989, n. 364 di ratifica della Convenzione dell’Aja del 1 luglio 1985). Difatti, il collegio giudicante ha ribadito che non costituisce ragione di inefficacia del trust la mera coincidenza soggettiva parziale tra disponente e trustee, dovendosi semmai valutare, ai fini della compatibilità di tale istituto con i principi inderogabili del diritto italiano, se il disponente agisca con lo scopo di dare luogo a situazioni contrastanti con l’ordinamento nel cui ambito il negozio è destinato ad operare. Ai fini della valutazione in ordine alla sussistenza di un intento fraudolento, in pregiudizio ai creditori, da parte di chi trasferisce dei beni in trust familiare si può tenere conto dell’entità del debito rispetto al valore del bene oggetto del trasferimento. Di recente la Corte d’Appello di Venezia, sez. III civile, sentenza 10.07.2014, in sede di reclamo è stato il giudice di secondo grado ad essere investito del problema relativo alla trascrizione del trasferimento di beni immobili in trust autodichiarato. Il risultato della Corte d’Appello è stato di accoglimento della trascrizione del trasferimento di beni immobili nello stesso trust autodichiarato. La Cassazione, con la sentenza 20254 del 19 novembre 2012, osserva dal punto di vista giuridico che su un Trust autodichiarato dopo che la Commissione tributaria regionale respingeva l’appello del trustee o gestore del trust, in quanto confermava il carattere elusivo, cioè espressione di abuso di diritto, dell’operazione immobiliare….. e considera che … “La figura dell’abuso di diritto in materia tributaria richiede però il concorso di due fattori. Occorre in primo luogo, che il contribuente abbia conseguito una positiva ricaduta fiscale del suo operato. Ma occorre anche che tale vantaggio fiscale costituisca la ragione determinante dell’operazione, cioè che non concorrano ragioni e giustificazioni economico-sociali di altra natura, o almeno che esse siano di minimo rilievo. Di guisa che si possa affermare che l’operazione è stata determinata da considerazioni fiscali. Nel caso di specie, il giudice di merito non ha considerato questo secondo profilo, ancorché i contribuenti avessero dedotto un insieme di ragioni economiche e familiari che a loro dire giustificano ampiamente la costituzione di un trust e la intestazione ad esso di immobili di proprietà della costituzione del trust. Tali ragioni sono state adeguatamente riproposte in sede di contestazione ex art. 360, n. 5 della sentenza di secondo grado. Il ricorso del trustee o gestore del trust viene accolto dalla Corte di Cassazione nella citata sentenza. In precedenza, la Corte Cassazione con la sentenza 22716, del 2 novembre 2011 – asserisce che è elusione fiscale donare al coniuge e ai figli la quota dell’immobile per rivenderlo subito dopo. La donazione di una quota di un immobile a moglie e figlio, seguito dall’alienazione del bene a brevissima distanza, configura una condotta elusiva che può essere contestata dall’amministrazione in mancanza di valide giustificazioni da parte del contribuente. Il Caso – Redditometro: La vendita dell’immobile dal padre al figlio – accertamento fiscale. La Corte di Cassazione, V Sezione tributaria, sentenza 16 settembre 2010 n. 19637, ha confermato che è legittimo l’accertamento fiscale del reddito di un contribuente che ha acquistato un immobile appartenente ai genitori, dopo che lo stesso ha perso l’appello in Commissione tributaria Regionale, che ha accolto le tesi della direzione provinciale dell’Agenzia delle Entrate. La sottoscrizione di una compravendita che si basa sul pagamento di una somma di denaro da parte del contribuente può essere considerato dal fisco un indizio per la determinazione induttiva del reddito ed è dunque legittimo applicare l’accertamento sintetico, c.d. Redditometro. Spetta al contribuente di provare che la compravendita è stata sostenuta dalla disponibilità finanziaria personale o da fidi o mutui affidati e concessi dall’istituto bancario. Il contribuente, non ha presentato alcuna prova, quindi sia la Commissione Tributaria Regionale ha accolto le tesi della direzione provinciale del fisco che la Cassazione ha respinto il ricorso dello stesso contribuente. Se il genitore avesse pianificato con un programma i suoi beni immobili trasferendo in un trust familiare gli immobili, indicando per un appartamento come beneficiario il figlio, l’accertamento si sarebbe evitato. Come stabilisce la sentenza 20254, del 19 novembre 2012, della Corte di Cassazione, il trust familiare non è elusivo, e quindi non crea “abuso del diritto”. La segregazione nel trust dell’immobile è gratuita, e con il trust autodichiarato, il pagamento del trasferimento (registro, ipotecaria, catastale) è con imposta fissa. Al figlio beneficiario si può dare la disponibilità gratuita del bene, con il contratto di comodato, anche per la durata del trust, ed al termine della durata, il trustee trasferirà la proprietà dei beni allo stesso beneficiario. Orbene, credo che sia giusto continuare l’informazione sul diritto dei trust, per l’Associazione Sindacale dei Piccoli Proprietari Immobiliari, sia utilizzando la Rivista consentendo ai soci di conoscere questo istituto giuridico, che dal primo gennaio 1992, consente nel nostro Paese di istituire i trust, finalizzato a proteggere il patrimonio. Il prossimo argomento riguarderà l’aspetto fiscale del trust.

Il quadro per l’ASSPI: l’Opera di Alberto Manzetti per la tessera ASPPI 2015

Da diversi anni a questa parte continua l’iniziativa che vede riprodotta, sulla tessera ASPPI, un’opera pittorica a tema (le città, le case) che viene donata all’Associazione. Ad impreziosire la Sede Nazionale è stato, quest’anno, un quadro eseguito ad acrilico dal titolo “Città da salvare” del Prof. Alberto Manzetti che ha visto anche la gradita presenza dell’autore, in occasione della Direzione Nazionale dell’11 Ottobre u.s. Alberto Manzetti ha alle spalle anni di studi classici e di formazione artistica acquisita nella storica sede del Liceo Artistico di via Ripetta a Roma attraverso le lezioni di Guttuso, Purificato, Montanarini, Greco, Guzzi, Marini: quest’ultimo presentò la sua prima mostra personale inaugurata a vent’anni. Molteplici i luoghi che le sue opere hanno ospitato, così come le pinacoteche che le opere custodiscono. Particolarmente sentito, e ben rappresentato dall’artista, è il tema delle città utopiche, così come quello di comunicare il bisogno di salvare il territorio dall’uomo, un tema questo che, purtroppo, ha riproposto alla nostra attenzione la triste vicenda di Genova, proprio in concomitanza della Direzione Nazionale. Attraverso la combinazione di elementi geometrici essenziali ed un sapiente uso del colore, le opere di Manzetti riescono a trasmetterci intense suggestioni ed emozioni, dimostrando anche quanto raffinata ed elegante risulti la sua pittura. Il Presidente Zagatti, nel ringraziare l’artista, che ha concluso la presentazione dell’opera riferendosi all’insegnamento più importante avuto “cerca di far bene e di fare con amore”, ha ringraziato Alberto Manzetti per il bel gesto e la bella opera donata.

Nasce il Fondo nazionale per l’efficienza energetica

C on l’entrata in vigore, lo scorso 19 luglio, del decreto legislativo n. 102 del 4 luglio 2014, per l’attuazione della direttiva 2012/27/Ue sull’efficienza energetica, viene istituito, tra l’altro, il Fondo nazionale per l’efficienza energetica, con una dotazione iniziale di 30 milioni di euro per il biennio 2014/2015. Il testo del decreto, indica le misure utili al raggiungimento dell’obiettivo nazionale di risparmio energetico al 2020, ovvero una riduzione di 20 milioni di TEP dei consumi di energia primaria. Spettereà all’ENEA elaborare una proposta di interventi di medio-lungo termine per il miglioramento della prestazione energetica degli immobili, sia pubblici che privati. Il decreto legislativo che istituisce, presso il Ministero dello Sviluppo economico, il Fondo nazionale per l’efficienza energetica, ne prevede la dotazione iniziale: 5 milioni di euro per il 2014, 25 milioni di euro per il 2015, Dotazione che potrà essere integrata fino a 15 milioni euro annui per il periodo 2014-2020 a carico del Ministero dello Sviluppo economico e fino a 35 milioni di euro annui per il periodo 2014-2020 a carico del Ministero dell’Ambiente, a valere sui proventi delle aste delle quote di emissione di CO2. Si tratta di un Fondo rotativo che mira a sostenere gli investimenti per l’efficienza energetica, realizzati anche attraverso ESCO, forme di partenariato pubblico-privato e società di progetto o di scopo appositamente costituite. Il fondo è destinato a sostenere interventi in molti settori: dal miglioramento dell’efficienza energetica degli edifici della Pubblica amministrazione; alla realizzazione di reti per il teleriscaldamento e per il teleraffrescamento; dall’efficienza energetica dei servizi e infrastrutture pubbliche, compresa l’illuminazione pubblica; all’efficienza energetica e riduzione dei consumi di energia nei settori dell’industria e dei servizi. Tra i settori di intervento del fondo, di particolare interesse per i nostri associati, soprattutto nei condomini, il sostegno ad interventi volti a migliorare l’efficienza energetica e la riduzione dei consumi di energia di interi edifici destinati ad uso residenziale. Due le sezioni in cui si articola lo strumento: una destinata alla concessione di garanzie, su singole operazioni o su portafogli di operazioni finanziarie; l’altra dedicata all’erogazione di finanziamenti, direttamente o attraverso banche e intermediari finanziari, inclusa la Banca europea degli investimenti, anche mediante la sottoscrizione di quote di fondi comuni di investimento di tipo chiuso che abbiano come oggetto di investimento la sottoscrizione di titoli di credito di nuova emissione o l’erogazione di nuovi finanziamenti, nonché mediante la sottoscrizione di titoli emessi nell’ambito di operazioni di cartolarizzazione aventi ad oggetto crediti di privati verso piccole e medie imprese ed ESCO per investimenti volti a garantire l’efficienza energetica. Le garanzie concesse dal Fondo possono essere assistite dalla garanzia del Fondo europeo degli investimenti o di altri fondi di garanzia istituiti dall’Ue o da essa cofinanziati. Le modalità di funzionamento, di gestione e di intervento del Fondo saranno individuate entro 90 giorni dall’entrata in vigore del decreto legislativo. Il decreto stabilisce già che si prevederanno condizioni di maggior favore per gli interventi volti a realizzare specifici obiettivi. Tra questi: creazione di nuova occupazione; miglioramento dell’efficienza energetica dell’intero edificio; promozione di nuovi edifici a energia quasi zero; introduzione dimisure di protezione antisismica in aggiunta alla riqualificazione energetica.

Locazioni non abitative: un barlume di liberalizzazione del tutto insufficiente

L a Giunta Nazionale e la Direzione Nazionale di ASPPI del 10 e 11 Ottobre u.s. tra gli importanti temi affrontati si è soffermata, per esprimere valutazioni politico-sindacali ma anche giuridiche, sulle novità legislative contenute nel c.d. Decreto “Sblocca Italia” entrato in vigore il 13 Settembre 2014 e che dovrà essere convertito in Legge entro il 12 Novembre 2014 (rif. D.L. n.133/2014 in G.U. 12/09/2014). Di questo Decreto, che contiene alcune importanti novità che interessano l’immobiliare, come gli incentivi fiscali per chi acquista case da dare in locazione, l’affitto con riscatto, le semplificazioni delle procedure per gli interventi di manutenzione straordinaria, l’esenzione da ogni imposta per la registrazione degli accordi di riduzione del canone di locazione, ci soffermiamo sull’articolo 18 che per la prima volta parla di liberalizzazione del mercato delle locazioni ad uso non abitativo, seppur riferendosi alle grandi locazioni. Infatti la norma, in sostanza, prevede che, nei contratti di locazione, anche alberghiera, qualora il canone sia superiore a €150.000, le parti possono liberamente stabilire i termini e le condizioni contrattuali, così derogando alla Legge 392/78. Un interessante contributo, di carattere giuridico, predisposto dal Presidente dell’ASPPI di Terni avv. Mauro Cingolani, ha affrontato i casi più frequenti che potranno comportare deroga e, a titolo esemplificativo, ne riporto alcuni, anche per dare meglio il senso della portata di questa norma. Si potrà così derogare alla durata contrattuale (ora di minimo 6 anni e di 9 anni per le locazioni alberghiere), così come al canone prevedendo aumenti ed altre modalità di aggiornamento dello stesso, ora rigidamente definite nel 75% del dato ISTAT, ancora, si potrà derogare sull’importo del deposito cauzionale (ora non può superare le 3 mensilità), sull’indennità di avviamento commerciale, sulla cessione d’azienda, magari inserendo un consenso preventivo del proprietario, sulla prelazione in caso di vendita o di nuova locazione e, ancora, sulle spese di registrazione del contratto (ora al 50% tra locatore e conduttore) e sulla ripartizione delle spese per gli oneri condominiali. Insomma, a ben vedere, la portata di tale norma apre, nel senso vero del concetto di liberalizzazione, nuovi orizzonti se non fosse che a beneficiarne sarà solo la grande proprietà edilizia che, come afferma Cingolani, “ben potrà vedere meglio tutelati i propri interessi e diritti unitamente ad una diminuzione del contenzioso con i propri naturali partners, quali la Pubblica Amministrazione ed i grandi gruppi commerciali, industriali e finanziari”. ASPPI, da tempo, è impegnata sull’argomento ed ha avanzato in più occasioni proposte per una riforma complessiva della normativa per le locazioni non abitative e non ha mancato, anche in occasione del varo di questa norma, attraverso il Presidente Zagatti di rinnovare l’invito per un allargamento dei soggetti coinvolti. Riteniamo che una liberalizzazione possa giovare al mercato, solo qualora sia abbassata la soglia ora indicata negli €150.000 di canone e risultino meglio definiti i criteri; del resto è il caso di considerare come, ad esempio, in Italia i canoni siano diversi fra loro, in relazione all’ubicazione geografica dell’immobile, questo tanto per far emergere quanto sia sbagliato, nell’attuale portata della norma, il riferimento esclusivamente al canone di locazione per dar seguito alle deroghe. Il proficuo confronto in Direzione Nazionale si è incentrato anche in interessanti proposte operative come l’individuazione di parametri che possano estendere il regime della cedolare secca, anche alle locazioni non abitative, attraverso l’introduzione di canoni concordati che, a ben vedere, oggi risultano la forma contrattuale maggiormente gradita nell’uso abitativo. Altro argomento, sempre in tema di locazione ad uso diverso, che è stato trattato, riguarda le morosità. ASPPI, attraverso il Presidente Zagatti, ha riproposto in più occasioni la revisione della norma che penalizza chi non percepisce i canoni di locazione e che, seppur in presenza di sfratto, è “costretto” a dichiararli fiscalmente e a pagarci le imposte. Questo assurdo giuridico va certamente rivisto.

Riforma del Catasto: il lavoro dell’Associazione

Mentre scriviamo, il Governo si predispone ad inviare alle Camere per un secondo parere lo schema di Decreto Legislativo relativo alla istituzione delle nuove Commissioni Censuarie così come previsto dalla Legge Delega di riforma del Catasto di recente approvata dal Parlamento. Il Governo infatti, non avendo accolto tutte le condizioni poste dal Parlamento per l’approvazione del Decreto deve ora ritornare alle Camere in base alla ‘procedura rafforzata’ prevista dalla stessa Legge Delega. Per quello che è dato sapere (ancora non è pubblico il nuovo testo) il Governo avrebbe comunque già accolto due condizioni proposte dalle Camere, di grande interesse per i proprietari immobili ( e fortemente volute da Asppi e da altre Associazioni del mondo immobiliare ). La prima riguarda l’obbligo della presenza in seno alle Commissioni Censuarie di esperti espressione delle ‘associazioni rappresentative del mondo immobiliare’ laddove nel testo originario questa presenza non era assolutamente scontata. È superfluo sottolineare come la presenza in seno alle commissioni di esperti che esprimono il punto di vista della proprietà costituisca la condizione minima per consentire un minimo di controllo sulla attività delle commissioni. La seconda riguarda la possibilità di ricorso (finora garantita solo alla Agenzia delle entate) sulle decisioni delle commissioni censuarie che verrebbe estesa ai Comuni e, quel che più ci interessa, ai contribuenti attraverso le loro associazioni. Se tutto ciò sarà confermato ci troveremmo di fronte ad un significativo risultato. Asppi ha proposto a tutte le associazioni della proprietà di immobili (siano esse ad uso abitativo siano esse utilizzate per usi diversi (produttivo, di servizio, commerciale o altro) un coordinamento del lavoro per affrontare tutti i problemi che la realizzazione della riforma proporrà. Nel frattempo, la nostra associazione stà predisponendo in ogni sua sede territoriale un servizio di accompagnamento al contribuente per consentirgli di affrontare efficacemente i problemi derivanti dal conferimento di nuovi valori catastali agli immobili di proprietà. Ciò significa innanzitutto chiedere a tutti i nostri associati la documentazionr relativa agli immobili per le valutazioni conseguenti da far valere in sede di rideterminazione dei valori. Sarà un lavoro lungo e impegnativo, ma per noi assolutamente prioritario che si dovrà sposare con una attenta vigilanza affinchè il presupposto scritto a chiare lettere nella Legge Delega non venga tradito: il nuovo catasto dovrà produrre perequazione, ma non aumento di pressione fiscale sul complesso degli immobili. Se così non sarà, la fiducia dei cittadini subirà un altro colpo difficilmente sanabile.

Rifiuti e illegalità

Intervista all’On. Alessandro Bratti, Presidente della Commissione d’inchiesta sugli illeciti connessi al ciclo dei rifiuti. Premessa: Il fatto che il Parlamento da diverse Legislature si sia dotato di una Commissione speciale per affrontare questi problemi la dice lunga sulla loro gravità e persistenza. I proprietari di immobili sono interessati sotto diversi profili: innanzitutto come cittadini che temono per la salute loro e del proprio ambiente; come proprietari che subiscono la perdita di valore degli immobili collocati in zone a forte rischio ambientale; infine come contribuenti sui quali spesso si scaricano i sovraccosti determinati da inefficienze, ma anche da atteggiamenti illeciti. D. L’affermarsi in questi anni di un forte dibattito pubblico su questi temi (ecomafie, terra dei fuochi, ecc.) sta favorendo l’attività di contrasto dello Stato oppure i fenomeni rimangono gli stessi? Non vi è dubbio che grazie al lavoro della Magistratura, delle Forze di Polizia e delle Associazioni di cittadini oggi il fenomeno delle cosidette Ecomafie è conosciuto e in alcuni casi contrastato efficacemente: pensiamo al lavoro svolto proprio in Campania per porre fine ai traffici dei rifuti del Clan dei Casalesi o ai risultati ottenuti in Lombardia riguardo al mercato del movimento terra nel settore edile appannaggio in molti casi di imprese colluse o di appartenenza alla n’drangheta. Vi è stata però un evoluzione del fenomeno. Così come si è globalizzata l’economia si è globalizzato anche il traffico illecito collegato al ciclo dei rifiuti. Mentre prima le destinazioni finali erano i territori campani controllati dalla camorra oggi il mercato si è spostato verso i Paesi dell’ex Europa dell’Est e del Nord Africa per quanto riguarda i rifiuti di matrice elettronica. E’ necessario quindi dotarsi di strumenti legislativi e opeartivi al passo con i tempi. Nel passato dal punto di vista legislativo aver elevato a reato penale il traffico illecito di rifiuti da parte di attività organizzata è stato fondamentale. Ora bisognerebbe introdurre buona parte dei reati ambientali nel codice penale, battaglia storica dell’ambientalismo che ha avuto in questa legislatura un primo successo in quanto la proposta di legge è stata approvata alla Camera. Dal punto di vista operativo è fondamentale la tracciabilità dei rifiuti. Purtroppo in Italia l’applicazione del Sistri (sistema di tracciabilità) è stato un totale fallimento: addirittura questo sistema è diventato esso stesso oggetto di indagini giudiziarie. D. Ciò che maggiomente colpisce i cittadini sono ovviamente i fenomeni più gravi che hanno come teatro specifiche regioni del Paese e come protagoniste grandi organizzazioni criminali: fino a che punto, magari con intensità diverse, i fenomeni illeciti connessi al ciclo dei rifiuti riguardano tutto il Paese, magari con altri protagonisti? Bisogna credo distinguere quelli che sono gli illeciti di natura ambientale, particolarmente numerosi da una vera e propria attività di criminalità organizzata che ha come oggetto traffici illeciti di rifiuti spesso pericolosi. Nel primo caso si parla di mancato rispetto delle norme a volte di poca importanza dal punto di vista dell’inquinamento ambientale a volte molto gravi. Si pensi ad esempio al mal funzionamento dei depuratori o a casi come l’inquinamento dell’Ilva. Nel secondo il tema non riguarda solo le Regioni del Sud ma tutto il Paese. Intanto bisogna precisare che le numerose discariche abusive nel casertano o nel basso Lazio sono comunque piene di rifiuti pericolosi provenienti da aziende del Nord Italia. E’ emblematica la vicenda della Discarica di Giugliano ovviamente abusiva gestita da una società Resit che conteneva decine di fusti di rifiuti pericolosi provenienti dalla bonifica dell’Ancna di Cengio. E’ interessante anche notare che alcuni personaggi soggetti ad inchieste giudiziarie sono sempre gli stessi. Non dimentichiamo che i rifiuti attraggono l’attenzione della malavita organizzata perché sono un business facile e relativamente rischioso. D. C’è un nesso causale fra l’affermarsi di pratiche illecite e inefficienza delle gestioni pubbliche? Assolutamente si ! Se ci focalizziamo sul ciclo dei rifiuti urbani che nel nostro Paese è gestito da aziende pubbliche e in alcuni casi nel Sud del Paese ancora direttamente dai Comuni emerge senza ombra di dubbio che dove questi non riescono a rispettare la normativa vigente esplode il malaffare. Il fenomeno, cercando di semplificare, si svolge nel modo seguente: l’ipertrofia del numero di personale di queste aziende e le pletore di consigli di amministrazione incapaci e costosi associata al fatto che spesso non vengono pagate le tasse e tariffe sul servizio rifiuti si traduce in sperpero di denaro pubblico e disservizio. A questa situazione vedi Calabria e Campania si cerca di provvedere attraverso commissariamenti straordinari in deroga a tutte le normative esistenti. Questo stato crea le condizioni per la malavita organizzata attraverso i suoi tentacoli di aggiudicarsi appalti e gestioni del ciclo dei rifiuti attraverso aziende “amiche”. E’ interessante il dato calabrese in tredici anni un miliardo di euro speso dai Commissari raccolta differenziata al 10 % circa e zero impianti costruiti. D. Lei è anche componente della Commissione Ambiente della Camera. A proposito di inefficienze nella gestione dei rifiuti non le sembra che le enormi differenze esistenti fra territorio e territorio e territorio, fra città e città contribuiscano ad accendere una luce critica sul tema del federalismo? Cosa può fare lo Stato per affermare dovunque uno standard minimo che tuteli il diritto alla salute, all’ambiente, ad un servizio efficiente? Io penso che il tema ambientale in generale non possa che essere almeno di competenza statale. Del resto oggi tutte le normative sono decise a livello europeo e noi purtroppo siamo spesso in infrazione proprio perché alcune Regioni non le rispettano: eco balle campane e discarica Malagrotta nel Lazio. Proprio per cercare di dare standard ambientali di base uguali per tutto il paese qualche mese fa abbiamo votato all’unanimità alla Camera dei Deputati una proposta di legge riguardo le Agenzie ambientali che definisce dei Livelli essenziali di tutela ambientale comuni da Ragusa ad Aosta. Ora stiamo aspettando che il Senato faccia la sua parte.

Crisi della giustizia civile: i rimedi offerti

Considerato lo stato della giustizia civile appaiono inderogabili misure atte a deflazionare i carichi giudiziali, sfoltire gli arretrati pendenti e ridurre la durata dei procedimenti. Le cause pendenti a fine anno erano 4.944.964 in primo grado e 383.230 in secondo grado. (ISTAT) Ogni procedimento non concluso in termini ragionevoli,in base alla Legge Pinto (tre anni in primo grado, due anni in secondo grado e un anno per il giudizio di legittimità in Cassazione), comporta un indennizzo a carico dello Stato. Nel solo anno 2013 lo Stato ha cumulato un debito per detti indennizzi di circa 400 milioni di euro. Quali le risposte date a questi problemi? Con il D. Lgs. 4 marzo 2010 n. 28 è stata introdotta la mediazione c.d. obbligatoria. Della stessa, la Rivista Pietra su Pietra ha dato ampia informazione pubblicando a questo proposito articoli puntuali. Questo rimedio ha fatto affidamento da un lato sulla collaborazione degli avvocati e dall’altro lato sulla adesione dei Magistrati. L’Avvocatura si è palesata contraria tanto da paralizzare gli organismi di mediazione con un ricorso alla Corte Costituzionale. La Magistratura ha fatto scarso uso della norma che dava al giudice la possibilità di invitare le parti a procedere alla mediazione tanto che nel 2013 la mediazione delegata (dal giudice) si è attestata a livelli trascurabili. Gli effetti di tutto ciò sono sconsolanti: le procedure di mediazione rilevati dal Ministero della Giustizia per l’anno 2013 sono 41.604. Pochissime, se rapportate ai milioni di cause civili. E devesi sottolineare che la mancata partecipazione si è attestata al 67,6% ! A seguito di questo sconfortante risultato la legge 9 agosto 2013 n. 98 ha modificato la mediazione obbligatoria affiancando a quella stabilita per legge (art. 5 comma 1 L. 28/2010) la c.d. Mediazione ex officio ossia disposta dal giudice per i procedimenti pendenti, indipendentemente dalla loro appartenenza all’elenco delle materie sottoposte alla mediazione obbligatoria. L’innovazione normativa, introdotta con l’art. 5 comma 1 bis D.Lgs. 28/2010, prevede che: “Il giudice, anche in sede di giudizio di appello, valutata la natura della causa, lo stato dell’istruzione ed il comportamento delle parti, può disporre l’esperimento del procedimento di mediazione, in tal caso, l’ esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale anche in sede di appello”. Il DL. 69/2013 convertito nella L. 98/2013 ha introdotto inoltre nel codice di procedura civile il nuovo art. 185 bis, applicabile ai giudizi pendenti, che prevede: “il giudice, alla prima udienza, ovvero sino a quando è esaurita l’istruzione, formula alle parti ove possibile, avuto riguardo alla natura del giudizio, al valore della controversia e all’esistenza di questioni di facile e pronta soluzione di diritto, una proposta transattiva o conciliativa. La proposta di conciliazione non può costituire motivo di ricusazione o astensione del giudice”. I predetti provvedimenti del giudice non sono impugnabili ma tuttavia sono revocabili e modificabili. Tali rimedi si fondano, ancora una volta, sulla eventuale adesione della Magistratura alla possibilità offerta dalla legge, ma attesa la risposta in precedenza data quando l’impegno del giudice era limitato ad invitare le parti a ricorrere alla mediazione, è ragionevole dubitare che si realizzi una concreta deflazione dei carichi giudiziari pendenti in Italia. Di qui partono le proposte di modifica normativa (qui a fianco indicate) sostenute da Asppi presso il Ministero della Giustizia e il Parlamento allo scopo conferire nuova efficacia all’istituto della mediazione.

Il bonus mobili diventa libero

T ra le nuove misure introdotte con la legge di conversione del D.L. 47/2014, recentemente approvata dal Parlamento (L. 80/2014 del 24.05.2014), c’è anche lo svincolo del bonus mobili dal tetto di spesa dei lavori di ristrutturazione edilizia. Cosa significa? Che adesso, diversamente da quanto prevedeva il decreto prima della conversione, la detrazione IRPEF del 50% sugli acquisti di arredi per la casa non incontra più il limite della spesa sostenuta per i lavori di ristrutturazione effettuati sull’immobile, ma solo il tetto di spesa massima di € 10.000,00, già precedentemente determinata. Con i commi 2-bis e 2-ter aggiunti all’articolo 7 della legge, infatti, è stata modificata la disciplina delle detrazioni IRPEF spettanti per le ristrutturazioni edilizie e l’acquisto di mobili, consentendo di usufruire della detrazione per le spese affrontate per l’acquisto di mobili anche quando tali spese superino quelle sostenute per i connessi lavori di ristrutturazione, con il limite massimo di 10.000 euro di spesa. È cioè possibile applicare la detrazione Irpef per l’acquisto di arredi e grandi elettrodomestici fino a un tetto massimo di spesa di 10.000 euro (IVA compresa) anche se la spesa sostenuta per l’intervento edilizio è stata inferiore ai 10.000 euro. La norma in questione modifica, più precisamente, l’articolo 16, comma 2 del D.L. n. 63 del 2013, come novellato dalla legge di stabilità 2014 (articolo 1, comma 139, lettera d, punto 3). Ma in cosa consiste esattamente il “Bonus mobili”? È un’agevolazione fiscale prevista per l’acquisto di arredi e grandi elettrodomestici vincolata all’effettuazione di interventi di “Riqualificazione del patrimonio immobiliare”. I contribuenti, cioè, che fruiscono delle detrazioni del 50% per interventi di recupero del patrimonio edilizio (c.d. “Bonus ristrutturazioni”), possono usufruire anche di una detrazione, sempre del 50 per cento, per le ulteriori spese, documentate ed effettuate dal 6 giugno 2013 al 31 dicembre 2014, volte all’acquisto dei seguenti prodotti finalizzati all’arredo dell’immobile oggetto di intervento:

• mobili;

• grandi elettrodomestici di classe non inferiore alla A+;

• forni di classe A.

Ai fini del riconoscimento della detrazione in oggetto, la norma fa riferimento ai contribuenti che usufruiscono delle possibilità di detrarre – nel limite massimo di spesa di 96.000 euro – il 50 per cento delle spese di ristrutturazione edilizia sostenute nel periodo di tempo tra il 26 giugno 2012 e il 31 dicembre 2014. Il “bonus mobili” è associato solamente alla detrazione fiscale del 50% prevista per gli interventi di recupero del patrimonio edilizio e non alla detrazione del 65% prevista per il risparmio energetico (anch’essa prorogata sino al 31.12.2014). Inoltre alle cessioni di arredi non viene applicata nessuna ulteriore agevolazione fiscale (l’aliquota IVA da applicare è quella ordinaria, passata al 22% a partire dal 1 ottobre 2013). Beneficiari Più in particolare hanno diritto alla detrazione: il proprietario o il nudo proprietario, il titolare di un diritto reale di godimento (usufrutto, uso, abitazione o superficie); chi occupa l’immobile a titolo di locazione o comodato; i soci di cooperative divise e indivise; i soci delle società semplici; gli imprenditori individuali, limitatamente agli immobili che non rientrano fra quelli strumentali. Ha diritto alla detrazione anche il familiare convivente del possessore o detentore dell’immobile oggetto dell’intervento, purché sostenga le spese e siano a lui intestati bonifici e fatture. Sono definiti familiari, ai sensi dell’art. 5 del Testo Unico delle imposte sui redditi, il coniuge, i parenti entro il terzo grado e gli affini entro il secondo grado. Lavori edilizi connessi La data di inizio dei lavori di recupero del patrimonio edilizio deve essere necessariamente antecedente a quella relativa all’acquisto degli arredi, ma i pagamenti dei lavori di recupero del patrimonio edilizio possono anche essere concomitanti o successivi. I lavori di recupero del patrimonio edilizio devono essere in corso di esecuzione o comunque terminati da un lasso di tempo sufficientemente contenuto, tale da presumere che l’acquisto degli arredi sia diretto al completamento dell’immobile su cui i lavori sono stati effettuati. Nei “lavori di recupero del patrimonio edilizio” vengono ricompresi i seguenti lavori:

• di manutenzione ordinaria, effettuati sulle parti comuni di edifici residenziali. Tale intervento dà diritto all’agevolazione per l’acquisto di arredi destinati esclusivamente alle parti comuni dell’edificio, quali – a mero titolo di esempio – alloggio del portiere, illuminazione aree comuni, lavanderie, sale condominiali, ecc.;

• di manutenzione straordinaria, effettuati sulle parti comuni di edifici residenziali e su singole unità immobiliari residenziali (ad esempio ristrutturazione del bagno, sostituzione di infissi esterni e serramenti o persiane con serrande e con modifica di materiale o tipologia di infisso, realizzazione di recinzioni);

• di restauro e di risanamento conservativo, effettuati sulle parti comuni di edificio residenziale e su singole unità immobiliari residenziali (ad esempio adeguamento altezze del solaio);

• di ristrutturazione edilizia, effettuati sulle parti comuni di edifici residenziali e su singole unità immobiliari residenziali (ad esempio apertura dinuove porte o finestre oppure la realizzazione di una mansarda o di un balcone oppure la trasformazione della soffitta in mansarda o del balcone in veranda);

• necessari alla ricostruzione o al ripristino dell’immobile danneggiato a seguito di eventi calamitosi, anche se non rientranti nelle categorie elencati nei punti precedenti, sempreché sia stato dichiarato lo stato di emergenza;

• di restauro e di risanamento conservativo, e di ristrutturazione edilizia riguardanti interi fabbricati, eseguiti da imprese di costruzione o ristrutturazione immobiliare e da cooperative edilizie, che provvedano entro sei mesi dal termine dei lavori alla successiva alienazione o assegnazione dell’immobile. Ne consegue che l’acquirente di un appartamento ristrutturato da una cooperativa può usufruire del “bonus mobili” per l’arredamento del medesimo.

L’acquisto di arredi ed elettrodomestici deve essere finalizzato all’arredamento dell’immobile oggetto degli interventi edilizi precedentemente elencati, ma la detrazione trova applicazione anche quando tali beni siano destinati all’arredo di un ambiente diverso da quello interessato dai lavori edilizi (per es. sarà possibile fruire dell’agevolazione per l’acquisto di mobili da cucina anche se si sta ristrutturando il bagno e non la cucina: ciò che conta è che l’immobile sia oggetto di uno degli interventi edilizi sopra indicati). Beni agevolabili Rientrano tra gli “arredi” agevolabili, ad esempio, i letti, gli armadi, le cassettiere, le librerie, le scrivanie, i tavoli, le sedie, i comodini, i divani, le poltrone, le credenze, i mobili da cucina, i mobili per il bagno, gli arredi per esterno, nonché i materassi e gli apparecchi di illuminazione (lampade da tavolo e da terra, lampadari, ecc.) che costituiscono un necessario completamento dell’arredo dell’immobile oggetto di ristrutturazione. Non sono agevolabili, invece, gli acquisti di porte, di pavimentazioni, di tende e tendaggi, nonché di altri complementi di arredo. Sono inclusi nell’agevolazione i mobili nuovi realizzati su misura, mentre restano esclusi dal bonus i mobili usati, acquistati da venditori privati, antiquari e rigattieri. Vi rientrano poi i grandi elettrodomestici di classe energetica non inferiore alla A+, nonché A per i forni; ad esempio: frigoriferi, congelatori, lavatrici, asciugatrici, lavastoviglie, apparecchi di cottura, stufe elettriche, piastre riscaldanti elettriche, forni a microonde, apparecchi elettrici di riscaldamento, radiatori elettrici, ventilatori elettrici, apparecchi per il condizionamento. Possono essere agevolate solo le spese sostenute per gli acquisti di grandi elettrodomestici nuovi.

La sfida per l’efficienza energetica

La sfida per il risparmio e l’efficienza energetica investe il pianeta. L’Unione Europea ne ha fatto un punto qualificante delle proprie politiche a partire dalla Direttiva 2012/27/UE del 14 Novembre 2012. Si tratta di un documento di notevole importanza che risponde alla priorità di investire sul potenziale sviluppo dell’efficienza energetica quale strumento per sostenere una crescita economica ambientalmente sostenibile. La Direttiva fissa obiettivi nazionali indicativi e non obbligatori da conseguire entro il 2020 introducendo i Piani d’Azione Nazionali e spingendo verso l’efficientamento del parco edilizio e delle prestazioni energetiche degli edifici pubblici. Questo consentirà ad ogni stato membro di prevedere una strategia di lungo termine per promuovere investimenti nella ristrutturazione degli edifici pubblici e privati con l’obbligo di garantire che, ogni anno, almeno il 3% del patrimonio immobiliare di proprietà dello Stato sia ristrutturato per rispettare i requisiti minimi di prestazione energetica in edilizia. Inoltre, la stessa Direttiva, indica che gli acquisti della Pubblica Amministrazione dovranno orientarsi sempre di più verso prodotti ad alta efficienza energetica, che le grandi imprese avranno l’obbligo di sottoporsi a una valutazione delle prestazioni energetiche, che la contabilizzazione dei consumi termici avverrà tramite la collocazione di contatori individuali presso i clienti finali, onde rilevare il consumo effettivo di energia. A queste misure si unisce la nuova programmazione europea 2014-2020 che attribuisce notevole importanza al consumo energetico. Il programma “Horizon 2020” erogherà in 7 anni 77 mld di euro attraverso tre macro aree di intervento o pilastri, ognuna delle quali è articolata in programmi tematici con specifici budget: “Eccellenza scientifica”, “Leadership industriale” e “Sfide per la società”. Nel quadro di quest’ultima rientra il programma di ambito energetico, “Energia sicura, pulita ed efficiente” a cui sono attribuiti 5,4 mld di euro (7,7% del budget complessivo), ma anche nelle prime due sono previste linee di intervento che coprono tematiche con evidenti implicazioni nel campo dell’energia per un impegno economico complessivo pari a 18,6 mld di euro. Dunque, una scelta molto chiara. In queste settimane il Parlamento italiano sta discutendo lo schema di Decreto Legislativo che recepisce e applica la Direttiva europea 2012/27/UE. Il testo proposto dal Governo Renzi costituisce un’operazione di enorme portata dal punto di vista del valore culturale e delle conseguenze in ambito economico e sociale. Naturalmente è un testo ancora migliorabile ed è in questo senso che si muove il lavoro delle Commissioni parlamentari che stanno indicando i rilievi e le proposte di modifica. Il fatto saliente del provvedimento in esame è che assegna esplicitamente un ruolo guida al settore pubblico, considerando la spesa pubblica uno strumento fondamentale, da un lato, per orientare il mercato verso prodotti, edifici e servizi più efficienti sul piano energetico e, dall’altro, per stimolare e indurre cambiamenti di comportamento dei cittadini e delle imprese in ordine al consumo di energia. È giusto ricordare che, a livello di programmazione, già da un quinquennio l’Italia si muove nell’ambito dei Piani d’Azione Nazionali. Grazie a questi Piani sono stati attivati numerosi interventi come, ad esempio, Certificati Bianchi, detrazioni fiscali al 55%, incentivi, requisiti prestazionali minimi, certificazione energetica. A partire da quest’anno l’Italia affiderà la redazione del Piano all’Enea che dovrà tenere conto, sia della visione di lungo periodo per mobilitare investimenti nella ristrutturazione del parco nazionale degli edifici, sia del programma di riqualificazione energetica degli immobili della Pubblica Amministrazione centrale (Presidenza del Consiglio e Ministeri). È fuor di dubbio che il comparto abitativo abbia un ruolo fondamentale nelle politiche per l’efficienza energetica, soprattutto in considerazione del fatto che agli immobili è ascrivibile oltre un terzo (36%) del consumo complessivo di energia in Italia. Proprio in questa direzione vanno, infatti, alcuni rilievi proposti dalla Commissione Ambiente della Camera dei Deputati, affinché tutte le forme di incentivazione e agevolazione fiscale introdotte in questi mesi siano rese stabili (cosiddetto “Ecobonus”) e affinché si adottino misure di aiuto e semplificazione per la riqualificazione energetica degli immobili in affitto e dei condominii. Per quanto riguarda le risorse, il Decreto prevede l’istituzione presso il MISE (Ministero dell’Industria e dello Sviluppo Economico) di un Fondo rotativo nazionale per l’efficienza energetica con una disponibilità di 5 mln di € nell’anno 2014 e di 25 mln di € nell’anno 2015. La dotazione del nuovo fondo può essere integrata con i proventi delle aste delle quote di emissione di CO2 destinati ai progetti energetico ambientali (fino a 15 mln euro annui per il periodo 2014-2020) e, infine, attraverso contributi da parte di enti pubblici e risorse derivanti dalla programmazione di fondi strutturali e d’investimento europei. Il varo del Decreto da parte del Governo costituirà un passaggio importante perché chiama il Paese ad una sfida impegnativa. Pubblica Amministrazione, imprese e famiglie possono cogliere un’opportunità fatta di risparmio, di innovazione, di crescita e di modernizzazione per l’Italia.

Locazioni non abitative: possibile il recupero delle imposte sui canoni non riscossi?

L ’Agenzia delle Entrate nella circolare 11/E del 21 Maggio 2014 è intervenuta su questioni interpretative in materia di IRPEF e, tra le diverse questioni, ha fornito una risposta a proposito della “eventuale” possibilità di recuperare le imposte sui canoni non riscossi per gli immobili concessi in locazione per uso non abitativo. La questione è già stata affrontata da ASPPI in diverse occasioni: Assemblea Nazionale, Congresso, Stampa, audizioni in Senato nonché in ricorsi, tutt’ora pendenti in Commissione Tributaria, volti a tutelare i proprietari immobiliari. Appaiono di tutta evidenza delle discriminazioni, infatti, per i canoni non percepiti in relazione a locazioni ad uso abitativo, l’art. 8 comma 5 della legge 431/98, ha stabilito che gli stessi non concorrono alla formazione del reddito complessivo del locatore dal momento del procedimento giurisdizionale di convalida di sfratto per morosità del conduttore e qualora dalla sentenza (procedimento di convalida di sfratto per morosità) si evince la morosità del locatario anche per i periodi precedenti il provvedimento del giudice, è riconosciuto al locatore un credito di imposta di ammontare pari alle imposte versate sui canoni venuti a scadenza e non percepiti. Tutto ciò non vale per gli usi diversi ma attenzione se il locatore fosse un “imprenditore” ossia rientrante nel regime del reddito d’impresa, avrebbe la possibilità di recuperare le imposte pagate sul non percepito attraverso la detrazione del costo quale perdita per crediti ai sensi dell’art. 101 DPR 917/86, visto che la perdita risulta da elementi certi e precisi come la convalida di sfratto per morosità. È di tutta evidenza un vuoto nella normativa in relazione al quale ASPPI è non solo impegnata, ma determinata, affinché sia eliminata questa disparità di trattamento che costituisce anche palese violazione dell’art. 53 della nostra Costituzione in tema di capacità contributiva visto che tratta in maniera diversa le locazioni ad uso abitativo e quelle ad uso commerciale. Venendo alla recente circolare, appare interessante il richiamo della sentenza numero 362/2000 della Corte Costituzionale che ha ritenuto non fondata la questione di legittimità Costituzionale dell’art. 23 (ora art. 26) del TUIR in quanto il sistema di tassazione che presiede alle locazioni non abitative non risulta gravoso e irragionevole dal momento che il locatore può utilizzare tutti gli strumenti previsti per provocare la risoluzione del contratto di locazione (dalla clausola risolutiva espressa ex art. 1456 C.C., alla risoluzione a seguito di diffida ad adempiere ex art. 1454 C.C., all’azione di convalida di sfratto ex artt. 657 e seg. del C.P.C….) e far “riespandere” la regola generale di attribuzione del reddito fondiario basato sulla rendita catastale. Questa circolare è destinata ad entrare a pieno titolo nella disamina affrontata e certamente rappresenta un ulteriore elemento di discussione e se da una parte l’impegno di ASPPI è giungere ad una modifica legislativa, dall’altro si va avanti, purtroppo, nelle aule delle Commissioni Tributarie, perché ci si renda conto della palese ingiustizia in relazione alla quale a pagarne le conseguenze, in tutti i sensi, sono stati solo i proprietari immobiliari persone fisiche.

Sanzioni per i locatori non in regola con la registrazione del contratto

La Legge n. 80 del 23 maggio 2014 (G.U. del 27.5.14) ha convertito, con modifiche e integrazioni di un certo peso, il Decreto Legge n. 47/2014, il cosiddetto “decreto casa”. In particolare, per quello che qui ci occupa, è stata inserita all’ultimo momento (non era presente infatti nel testo del decreto) una “normetta” (comma 1ter dell’art. 5) la quale fa salvi (fino al 31 dicembre 2015) gli effetti dei contratti registrati sulla base della disciplina di cui all’art. 3, commi 8 e 9 del Decreto Legislativo 23/2011. Come sapete, detto articolo 3 prevedeva una disciplina sanzionatoria per il locatore che affittava in nero o parzialmente in nero o con contratti di comodato fittizi ovvero registrava in ritardo, con paralleli e significativi vantaggi premiali per il conduttore che tale situazione avesse denunziato all’Agenzia Entrate. In pratica, dal giorno della “delazione” presso gli Uffici delle imposte, al conduttore era riconosciuto ex lege un contratto di 4 + 4 anni al canone anno pari al triplo della rendita catastale dell’immobile occupato. Ebbene, detta disciplina (art. 3 commi 8 e 9 D.Lgs 23/2011) era stata dichiarata costituzionalmente illegittima, con effetto retroattivo, dalla Corte Costituzionale con sentenza n. 50 del 14 marzo 2014 (pubblicata in G.U il 19 marzo 2014). Ora però, grazie al comma sopra riportato, continua, per un certo periodo, a sopravvivere. Cosa significa, in fatto e in diritto? In punto di fatto significa che tutti coloro che (inquilini s’intende) hanno denunciato prima del 14 marzo 2014 l’esistenza di un contratto di locazione in nero, o parzialmente in nero, o di un comodato fittizio, ovvero di un contratto non in nero ma registrato oltre il trentesimo giorno dalla stipula, hanno diritto di godere, almeno fino al 31 dicembre 2015, del canone stabilito dalla norma dichiarata incostituzionale, ovvero di un canone annuo pari alla rendita catastale dell’immobile moltiplicata per tre. In diritto, significa semplicemente che una legge, benché dichiarata incostituzionale dalla Corte, continua a spiegare i suoi effetti. È evidente che siamo in presenza di una mostruosità giuridica: una legge incostituzionale non dovrebbe essere resuscitata. Il dibattito politico che ha portato a partorire questa anomalia in realtà è stato animato soprattutto dal fatto che la sentenza della Corte ha sì pronunziato l’illegittimità costituzionale dell’art. 3 D. Lgs 23/2011 ma, fondamentalmente, solo per eccesso di delega (cioè esorbitava dai poteri legislativi conferiti dal Parlamento al Governo per disciplinare una certa materia). Il che, secondo alcuni commentatori, avrebbe potuto far emergere a quel punto un provvedimento legislativo ex novo il quale, senza valicare il perimetro di una legge delega avrebbe ben potuto normare situazioni analoghe senza la paura di incorrere nella sanzione di incostituzionalità. In altre parole, secondo alcuni, visto che le norma non era stata dichiarata illegittima per violazione dei principi costituzionali di uguaglianza, libertà, proprietà e autonomia privata, il Parlamento avrebbe potuto licenziare un provvedimento analogo a quello dichiarato illegittimo, senza che questo potesse incorrere nuovamente sotto la scure della Corte. Tuttavia, non possiamo non esprimere alcune perplessità. Possiamo capire l’esigenza di dare tutela a coloro i quali, nella vigenza di una disposizione di legge, a tale disposizione si sono attenuti. Sarebbe stato tuttavia molto più lineare, per questioni anche di giustizia sociale, se si vuole, semplicemente dire che a far tempo dalla pubblicazione della sentenza della Corte, perdeva di valore la registrazione effettuata dal conduttore. Si è invece preferito – ed è questa la cosa davvero incomprensibile, perché non poggia su nessuna base giuridicamente solida – riconoscere una tutela ai conduttori ancora più allargata (21 mesi). Il nostro legislatore non è peraltro del tutto nuovo a tali acrobazie giuridiche. Il famoso art. 7 della L. 431/98 imponeva al locatore di provare al Giudice di aver pagato IRPEF e ICI pena l’impossibilità di eseguire lo sfratto. Intervenne nel 2001 la Corte Costituzionale la quale sancì l’illegittimità costituzionale della norma. Il collegato alla legge finanziaria per l’anno 2005 introdusse allora un comma che impose la registrazione del contratto quale condizione necessaria per la validità del contratto (e quindi per promuovere azione di sfratto). Molti, anche all’interno dell’ASPPI, espressero le loro perplessità: una cosa è il pagamento delle tasse e il mio status di contribuente, un’altra è il mio rapporto con il conduttore che non paga l’affitto. Tant’è. Resta dunque il fatto, assai grave: che la legge continua a togliere valore e senso alla volontà negoziale liberamente manifestata dalle parti (ovvero: non vale niente quello che le parti scrivono e sottoscrivono); che il locatore e il conduttore, benché obbligati solidali al pagamento dell’imposta di registro, godono di trattamenti diametralmente opposti (il secondo viene premiato se registra in ritardo, mentre il primo viene sanzionato); che, infine, per altro verso, dal punto di vista squisitamente fiscale, lo Stato non ci guadagna ma ci perde in termini di gettito. Infatti chi si trova nelle condizioni di cui sopra dichiarerà, fino al 31 dicembre 2015, un reddito molto più basso e dunque pagherà meno tasse. Un bel successo.

Sfratti per morosità in italia: un’indagine asppi

Nei mesi scorsi l’ASPPI Nazionale ha svolto un sondaggio presso le sedi locali finalizzato alla raccolta dei dati relativi ai tempi necessari per ottenere il rilascio degli immobili negli sfratti per morosità. Le sedi che, tramite i rispettivi legali, hanno partecipato al sondaggio sono state: Roma, Milano, Napoli, Torino, Bologna, Firenze, Palermo, Genova, Modena, Reggio Emilia, Treviso, Bergamo, Mantova, Monza, Messina, Cremona, Ravenna, Forlì, Novara, Verona, Cesena, Latina, Pesaro, Grosseto, Faenza, Terni e Imola. I risultati del sondaggio (si veda la tavola sinottica a pag.16-17) sono alquanto sconfortanti e si possono così riassumere:

1. nelle procedure di sfratto per morosità, mediamente, i tempi di rilascio risultano essere minimo di un anno, ma possono arrivare anche a 15 o 18 mesi, soprattutto nelle grandi città;

2. rispetto a 4 o 5 anni fa, la durata di uno sfratto per morosità risulta aumentata, in media, di almeno due o tre mesi;

3. normalmente il locatore non percepisce il canone di locazione per tutta la durata della procedura (quindi per almeno un anno), cui vanno aggiunti i mesi scoperti prima dell’inizio dello sfratto (di solito non meno di 3-4 mesi), per cui si arriva a minimo 15-20 mesi di perdita del canone;

4. ipotizzando un canone di locazione medio di 500 euro, la perdita economica del locatore va dai 7.500 ai 10.000 euro;

5. al mancato guadagno devono aggiungersi i costi relativi alla procedura di sfratto (in media da 2,500 euro in su, oltre a IVA e CPA), gli eventuali oneri condominiali di competenza del conduttore che ricadono sul proprietario e gli eventuali danni all’immobile.

Per fare un esempio concreto, si riporta un caso tipo: Milano Bilocale affittato a 650 euro più spese (totale circa 750 euro/mese). Arredato. Morosità del conduttore: oltre 4 mesi. Procedura di sfratto fino all’esecuzione forzata: circa 12 mesi (così distribuiti: 3-4 mesi per l’udienza di convalida, 30-60 giorni per l’inizio dell’esecuzione, 4-5 accessi dell’Ufficiale Giudiziario). I tempi si dilatano (fino a 15-18 mesi) in presenza delle seguenti circostanze: richiesta di termine di grazia da parte del conduttore all’udienza di convalida (+4mesi), difficoltà nell’esecuzione dello sfratto da parte dell’Ufficiale Giudiziario (presenza di minori, disabili, anziani, animali) (+2-3 mesi). Mancato introito del locatore: 650 euro per 12-18 mesi: 7.800-11.700 euro Pagamento degli oneri condominiali di competenza del conduttore: 1.800-2.700 euro. Danni all’immobile: circa 2.000 (danni alle pareti, ai pavimenti, agli infissi e agli arredi, esclusa la tinteggiatura). Spese legali e di procedura (comprese le spese vive): 2.500-3.000 euro. Totale danno: tra i 12.100 e i 17.400 euro. Ma ci sono anche casi limite, come questi: Modena lo sfratto ha ad oggetto un immobile posto in uno dei comuni colpiti dal sisma del 2012. L’immobile non ha subito lesioni e neppure il conduttore ha subito alcun danno, ma un decreto legge prevede la sospensione di tutti i termini processuali per 6 mesi e poi per altri 6, per cui lo sfratto, chiamato all’udienza del 27 novembre 2012, viene convalidato all’udienza del 13 agosto 2013. Lo sfratto viene finalmente eseguito il 5 febbraio del 2014, con show conclusivo del conduttore che sale sul tetto e minaccia di buttarsi di sotto. Ovviamente dei canoni dovuti il locatore non ha visto nemmeno l’ombra. Danno complessivo: circa 15.000 euro. Reggio Emilia Appartamento di 100 mq affittato a 500 euro al mese più oneri accessori. Arredato. Morosità iniziale del conduttore: 12 mesi. Procedura di sfratto: all’udienza di convalida del 17.01.2013 il Giudice, a fronte della certificazione medica fornita dalla conduttrice (malata con tre figli minori), fissa il rilascio al 30.08.2013 L’esecuzione forzata, iniziata nel settembre 2013, è ancora in corso e ha visto già 6 uscite dell’Ufficiale Giudiziario. Presumibile rilascio: 30.06.2014, a seguito dell’intervento da parte del Comune. Durata complessiva della procedura: circa 18 mesi Mancato introito del locatore: 500 euro per 30 mesi: 15.000 euro Spese legali e di procedura (comprese le spese vive): 3.500-4.000 euro Danno complessivo: circa 19.000 euro. Deve poi segnalarsi un preoccupante fenomeno che si sta diffondendo nei grandi centri urbani: quello dei gruppi organizzati (No Global, Centri sociali, ecc.) che intervengono in massa e con la forza per impedire agli Ufficiali Giudiziari di eseguire gli sfratti, provocando così ulteriori ritardi e dilazioni. Come emerge dal sondaggio, di norma il locatore non percepisce il canone di locazione per tutta la durata della procedura di sfratto. Al mancato guadagno si aggiunge il danno derivante dal dover pagare le spese condominiali non corrisposte dall’inquilino (spesso assai rilevanti perché comprensive di riscaldamento e acqua calda) e le spese per la procedura di sfratto. È quindi evidente come un’eccessiva durata delle procedure finalizzate al rilascio dell’immobile comporti per il locatore un danno economico insostenibile. Appare più che mai indispensabile intervenire su Governo e Parlamento perché si semplifichino le procedure di sfratto per morosità, al fine di ridurre drasticamente i tempi di rilascio degli immobili oggetto di sfratto. A tal fine l’ASPPI promuove una giornata di denuncia e protesta per il giorno 19 giugno 2014, in Roma, presso la Camera dei Deputati.

Cos’è la cosiddetta “morosità incolpevole”?

A proposito di sfratti per morosità e procedure di rilascio non si può non parlare della c.d. “morosità incolpevole”, la nuova figura introdotta per la prima volta dal D.L. 102/2013, avente ad oggetto il sostegno alle politiche abitative. Tale decreto, emanato in data 31.08.2013 e convertito nella legge 28.10.2013 n. 124, poi parzialmente modificato con il D.L. 28.03.2014 n. 47 (c.d. Piano Casa) e dalla legge di conversione n. 80/2014 del 24.05.2014, si pone l’obbiettivo di sostenere la locazione e di dare risposte al problema sociale della c.d. “morosità incolpevole” attraverso lo stanziamento di nuove risorse per il Fondo nazionale per il sostegno all’accesso alle abitazioni in locazione previsto dalla L. 431/98 e attraverso l’istituzione del Fondo destinato agli inquilini morosi incolpevoli. Ma cosa si intende esattamente per “morosità incolpevole”? Il decreto di attuazione emanato dal Ministero delle Infrastrutture di concerto col Ministero dell’Economia, sentita la Conferenza permanente Stato-Regioni, ha definito la morosità incolpevole come “la situazione di sopravvenuta impossibilità a provvedere al pagamento del canone locativo a ragione della perdita o consistente riduzione della capacità reddituale del nucleo familiare”. Per “sopravvenuta impossibilità” si intende che la causa che ha determinato la morosità deve essersi verificata dopo la stipula del contratto di locazione e non può essere preesistente. Con tale decreto vengono individuate 6 specifiche cause di morosità incolpevole:

• perdita di lavoro per licenziamento;

• accordi aziendali o sindacali con consistente riduzione dell’orario di lavoro;

• cassa integrazione ordinaria o straordinaria che limiti notevolmente la capacità reddituale;

• mancato rinnovo di contratti a termi ne o di lavoro atipici;

• cessazioni di attività libero-professionali o di imprese registrate, derivanti da cause di forza maggiore o da perdita di avviamento in misura consistente;

• malattia grave, infortunio o decesso di un componente del nucleo familiare che abbia comportato o la riduzione del reddito complessivo del nucleo medesimo o la necessità dell’impiego di parte notevole del reddito per fronteggiare rilevanti spese mediche e assistenziali.

L’inquilino che versi in tali condizioni e non riesca a pagare il canone di locazione può chiedere di usufruire dei contributi statali appositamente stanziati, contributi che vengono erogati alle Regioni e da queste ai singoli Comuni, i quali provvedono a distribuirli. Premesso che gli stanziamenti riguardano solo i Comuni ad alta tensione abitativa dove sono stati già attivati bandi per l’erogazione di contributi in favore di inquilini morosi incolpevoli, questi i criteri e le procedure per poter usufruire dei contributi: La procedura prevista Nel redigere le liste per l’ammissione ai contributi, i Comuni, nei limiti delle disponibilità finanziarie, dovranno verificare che i richiedenti:

• rispettino i parametri Isee previsti dal decreto;

• siano titolari di contratti di locazione regolarmente registrati;

• siano residenti da almeno un anno in un alloggio oggetto di procedure di rilascio;

• abbiano cittadinanza italiana o europea, oppure siano titolari di un permesso di soggiorno;

• siano destinatari di atti di intimazione di sfratto per morosità (o per finita locazione) con citazione per la convalida.

I Comuni, inoltre, dovranno verificare che il richiedente, ovvero un componente del nucleo familiare, non sia titolare di un diritto di proprietà, usufrutto, uso o abitazione nella provincia di residenza di altro immobile fruibile e adeguato alle esigenze del proprio nucleo familiare. Costituisce inoltre titolo preferenziale per la concessione del contributo, la presenza, all’interno del nucleo familiare, di almeno un componente che sia: ultrasettantenne, ovvero minore, ovvero con invalidità accertata per almeno il 67%, ovvero in carico ai servizi sociali o alle competenti aziende sanitarie locali per l’attuazione di un progetto assistenziale individuale. Il contributo Il contributo concedibile per sanare la morosità, incolpevole e esattamente accertata, non può superare l’importo massimo di euro 8.000,00. L’eventuale eccedenza resta a carico del locatario. La legge prevede che i contributi siano erogati dai Comuni in forme tali da assicurare la sanatoria della morosità, anche direttamente al locatore interessato, con attestazione dell’avvenuta sanatoria, anche tramite l’associazione della proprietà edilizia designata dal locatore stesso. Differimenti nelle procedure di rilascio Chi è ammesso a fruire dei contributi di cui sopra avrà diritto ad usufruire anche del differimento dell’esecuzione forzata dello sfratto al fine di reperire un altro alloggio. A tal fine i Comuni dovranno comunicare l’elenco dei soggetti che abbiano i requisiti per ottenere i contributi alle Prefetture, le quali potranno adottare “misure di graduazione programmata dell’intervento della forza pubblica nell’esecuzione dei provvedimenti di sfratto” per permettere l’accompagnamento sociale dei soggetti sottoposti allo sfratto anche attraverso organismi comunali. Le procedure previste a favore degli inquilini “morosi incolpevoli” potranno quindi comportare un ulteriore allungamento dei tempi di esecuzione degli sfratti, che, come si è visto, sono già normalmente lunghi, ma d’altro canto permetteranno ai locatori di poter recuperare, se non tutta, buona parte della morosità maturata dall’inquilino (fino a 8.000 euro.) Va quindi salutata con favore l’istituzione del Fondo destinato agli inquilini morosi incolpevoli e lo stanziamento di risorse importanti per fronteggiare la morosità incolpevole, con l’auspicio che tali risorse vengano progressivamente incrementate. Importante appare anche il coinvolgimento diretto delle associazioni della proprietà edilizia nelle procedure poste in essere dai Comuni e finalizzate alla sanatoria della morosità incolpevole.

Locazioni ad uso turistico

Molti nostri associati ci pongono domande e ci chiedono consigli circa la stipulazione di contratti di locazione ad uso turistico. Vediamo di riassumere per sommi capi gli elementi necessari perché possa validamente stipularsi un contratto di questo tipo La normativa La locazione di immobili ad uso turistico non è disciplinata dalla legge 431/98 (che regola le locazioni abitative e che espressamente esclude la locazione “esclusivamente” turistica – art. 1, comma 2, lettera c) né da altri provvedimenti speciali. La fonte normativa di riferimento è quindi il Codice Civile, il quale lascia un ampio margine di discrezionalità alle parti e va integrato con gli assunti giurisprudenziali consolidatisi negli anni. Il contenuto del contratto In primo luogo è indispensabile specificare nel contratto i motivi che hanno indotto le parti a stipularlo. Le esigenze turistiche comprendono, per esempio, tutte quelle sorte in occasione di un viaggio o di un soggiorno per svago, per villeggiatura, per cura, per istruzione, per interessi religiosi. Dovremo inoltre prestare attenzione a che cosa stiamo affittando: dovrà trattarsi di un immobile posto in località effettivamente turistiche o di villeggiatura. Il contratto dovrà contenere i patti standard di una locazione immobiliare, ovvero: i dati delle parti, la descrizione dell’immobile, l’obbligo di deposito cauzionale, le modalità di pagamento del canone, l’entità delle spese accessorie e del rimborso utenze l’obbligo di custodia e di riconsegna, l’obbligo di osservanza del regolamento di condominio, ecc…È possibile forfettizzare l’importo di spese e utenze per locazioni molto brevi. Il conduttore ha sempre obbligo di custodia dell’immobile ed è responsabile di tutti i danni che in esso dovessero verificarsi. È in ogni caso opportuno che locatore e conduttore, all’atto della stipula del contratto, predispongano un verbale di consegna dell’appartamento in cui vengano descritti stato dei luoghi e inventario del mobilio e del corredo presenti nell’unità locata. È sempre bene specificare l’autorizzazione (o il divieto) all’ingresso di animali nell’appartamento locato. Il conduttore può avere diritto di recesso in un termine stabilito dalle parti. È frequente la dazione di una caparra a titolo confirmatorio, che sarà computata in conto canoni una volta sottoscritto il contratto, o incamerata a titolo di cauzione per danni e poi restituita una volta accertato il buono stato di conservazione. La forma La forma scritta non è indispensabile (contrariamente a quanto si dice, essa non è prevista né dall’art. 1, comma 346 della Legge 311/2004, né dalla Legge 431/98, per i motivi di cui sopra) ma comunque altamente consigliabile per esigenze di garanzia e tutela della proprietà. La durata Non vi sono limiti particolari. La durata può essere anche solo di pochi giorni, e anche di alcuni mesi. Tuttavia, la natura del contratto fa sì che per la sua piena liceità esso venga stipulato per locazioni stagionali o periodiche. Il pericolo è sempre che il conduttore, una volta preso in consegna l’immobile, possa stabilirsi in esso e pretendere di ricondurre il rapporto nella disciplina delle locazioni abitative urbane (pretendendo quindi un contratto di 4 anni più 4). Ecco perché è opportuno stipulare in forma scritta, da un lato, e dall’altro, evitare di stipulare contratti di durata troppo lunga. La locazione di durata superiore ai 30 giorni è valida (si può parlare di contratto ad uso villeggiatura) ma deve essere comunque contenuta nel tempo (due-tre mesi) appunto per salvaguardarne la natura essenzialmente non residenziale. Per questo motivo è sempre consigliabile non inserire alcun patto di tacito rinnovo. Il canone È liberamente stabilito dalle parti. Gli obblighi fiscali Se il contratto è stipulato per una durata che non supera i 30 giorni in ragione di anno con lo stesso conduttore non è sottoposto all’obbligo di registrazione (in altre parole, scatta l’obbligo di registrazione se loco al medesimo conduttore con diversi contratti di 20 giorni ciascuno). È sempre possibile accedere all’opzione della cedolare secca. Ovviamente il reddito va in ogni caso dichiarato ai fini IRPEF. Differenze con altre fattispecie La locazione turistica non va confusa con altri tipi di contratto, che nulla hanno a che vedere con essa: la locazione alberghiera, la locazione c.d. “bed and breakfast”, la locazione di affittacamere, il contratto atipico di residence, nelle quali tutte assume rilievo determinante una serie di attività aventi natura di “accoglienza”, quali il cambio biancheria, la pulizia, la tintoria, sempre a carico del locatore. Conclusioni Si tratta di un contratto essenzialmente aperto alla libera determinazione delle parti, con i limiti che abbiamo visto. Un’avvertenza è d’obbligo: mai mascherare una locazione abitativa residenziale con il contratto turistico.

La congiuntura nel mercato immobiliare

Riportiamo di seguito le principali conclusioni del sondaggio congiunturale del mercato delle abitazioni pubblicato il maggio scorso dalla Banca d’Italia Prezzi delle abitazioni In aprile la quota di agenti immobiliari che riportano una diminuzione dei prezzi di vendita è rimasta sostanzialmente invariata rispetto all’indagine di gennaio, intorno al 70 per cento; l’incidenza dei giudizi di stabilità si è attestata al 29,7 per cento. Compravendite La quota di agenti che hanno venduto almeno un’abitazione nel primo trime stre del 2014 si è ridotta al 64,0 per cento dal 65,8 della rilevazione di gennaio ; nel confronto con lo stesso periodo del 2013, che non risente della stagionalità, la diminuzione è stata meno marcata (era il 64,4 per cento). Gli agenti immobiliari, interpellati per la prima volta sulle condizioni della domanda, hanno riportato per il 43,0 per cento una sostanziale stabilità, rispetto al trimestre precedente, del numero di coloro che hanno effettuato almeno una visita presso un’abitazione in vendita; il saldo fra le risposte di aumento e di diminuzione è stato negativo per 11,7 punti percentuali. Incarichi a vendere Il saldo fra le risposte di aumento e diminuzione delle giacenze di incarichi a vendere si è ridotto (a 24,8 punti per centuali da 29,8 della precedente rilevazione; quello riferito ai nuovi mandati è rimasto invariato (a 20,7 punti percentuali). Rimane ancora significativo il divario tra i prezzi di domanda e quelli di offerta. Le quota di agenzie che segnala la decadenza degli incarichi a vendere a causa di offerte giudicate troppo basse dai venditori è salita (al 55,6 per cento, dal 50,5 in gennaio); mentre è rimasta invariata l’incidenza di quelle che lamentano l’assenza di proposte di acquisto a causa di prezzi ritenuti troppo elevati dai potenziali acquirenti (al 63,3). È tornata a diminuire la quota di agenzie che riconducono la decadenza dell’incarico alla difficoltà di reperire un mutuo (al 41,7 per cento, dal 45,8). Trattative e tempi di vendita Il margine medio di sconto sui prezzi di vendita rispetto alle richieste iniziali del venditore è lievemente diminuito (al 15,5 per cento, dal 16,0 della precedente indagine; . Il tempo medio che intercorre tra l’affidamento del mandato e la vendita è tornato a crescere, portandosi a 9,3 mesi. Modalità di finanziamento degli acquisti Nel primo trimestre dell’anno in corso è nuovamente cresciuta la percentuale di acquisti finanziati con un mutuo ipotecario (al 62,7 per cento, dal 60,9 in gennaio; Anche il rapporto tra prestito e valore dell’immobile ha segnato un nuovo aumento (al 61,5 per cento, dal 59,8); Locazioni L’81,6 per cento delle agenzie ha dichiarato di avere locato almeno un immobile nel primo trimestre del 2014; Tra queste, l’incidenza di quelle che hanno segnalato una flessione dei canoni di locazione è scesa (al 57,5 per cento, dal 61,1), mentre è aumentata la quota di quelle che ne indicano una stabilità (al 41,6 per cento, dal 37,4). Il margine medio di sconto sui canoni rispetto alle richieste iniziali del lo catore, rilevato a partire da questa indagine, è stato pari al 7,4 per cento. I nuovi incarichi a locare (anch’essi rilevati a par tire da questo trimestre) vengono segnalati come stabili dal 62,2 per cento degli operatori, mentre il saldo fra le risposte in aumento e in diminuzione è stato pari a 5,0 punti percentuali. Le prospettive del mercato in cui ope rano le agenzie Le attese degli agenti immobiliari sulle tendenze a breve termine del proprio mercato di riferimento sono migliorate rispetto alla scorsa rilevazione: il saldo negativo fra aspettative favorevoli e sfavorevoli si è ridimensionato a -2,3 punti percentuali, da -19,2 in gennaio; il 63,2 per cento delle agenzie prospettano ora una stabilità delle condizioni (era il 54 per cento nella precedente rilevazione).Il saldo relativo alle attese sui nuovi incarichi a vendere è sceso a 12,2 punti percentuali, da 17,5 di gennaio; il calo dell’incidenza delle indicazioni di incremento si è ac compagnato a un aumento di quella dei giudizi di stabilità (al 65,0 per cento, dal 57,1). Migliorano le valutazioni sulla tendenza dei prezzi, pur rimanendo orientate al ribasso : la quota di operatori che ne prevede una diminuzione nel trimestre in corso è scesa al 52,7 per cento (dal 64,6 della rilevazione precedente) ed è cre sciuta la quota di coloro che ne indicano una stabilità (46,3 per cento, da 34,6). Nel mercato delle locazioni è salita al 67,6 per cento l’incidenza delle attese di stabilità dei canoni nel trimestre in corso (era pari a 59,2 in gennaio), mentre quella di colo ro che ne prefigurano una diminuzione è scesa al 30,6 per cento (dal 39,7). Le prospettive del mercato nazionale delle compravendite Le attese sugli andamenti a breve termine nel mercato nazionale sono migliorate; il saldo negativo fra attese di miglioramento e peggioramento si è portato a -18,8 (da -36,5 in gennaio; ). Le attese su un orizzonte di medio ter mine (due anni) sono improntate all’ot timismo: il saldo positivo fra aspettative di miglioramento e peggioramento è aumentato per il terzo trimestre conse cutivo, risalendo sui livelli di inizio 2011 (a 22,6 punti percentuali).

Condominio: interesse e partecipazione al confronto di Treviso

In data 15 marzo 2014 si è tenuto a Treviso un Convegno dal Titolo “Amministratori condominiali: responsabilità, formazione e mediazione obbligatoria”. Tale evento è stato organizzato in collaborazione con le tre associazioni ASPPI, Sesamo e Camera di Mediazione Patavina, in quanto era emersa la volontà di affrontare alcuni temi attuali e comuni agli affiliati a queste tre associazioni, con particolare riferimento alle nuove normative intervenute recentemente in materia condominiale e quindi con riferimento alla Riforma del Condominio ed alla reintroduzione della mediazione obbligatoria. Questo convegno aveva l’obiettivo di offrire a tutti i soggetti che gravitano intorno alla realtà condominiale, in primis i proprietari di unità immobiliari, quindi gli amministratori e non ultimi i professionisti che operano in questo campo, avvocati, geometri ed altre figure professionali (tra cui i mediatori), alcuni spunti per il migliormento delle conoscenze sugli aspetti teorici e pratici nella materia condominiale. L’avv. Maria Carmen Consolini, dirigente di punta dell’ASPPI, Presidente ASPPI Reggio Emilia, Vicepresidente Nazionale ASPPI, coordinatrice del gruppo di legali che ha predisposto gli atti statutari e regolamentari del rilancio di Sesamo e componente del Centro Studi di Sesamo, ha descritto analiticamente le novità della Riforma del condominio sulle varie norme che regolano le parti comuni, soffermandosi in particolare sulle norme in materia di supercondominio, innovazioni e modificazioni. Sono state affrontate due questioni condominiali particolarmente delicate e problematiche all’interno della vita condominiale, soprattutto in questo periodo di crisi economica, e cioè il distacco dall’impianto centralizzato ed i lavori straordinari, con richiami alle varie normative sia a livello eurpeo che a livello nazionale e regionale. L’avv. Daniela Domenicali del Foro di Imola, consulente ASPPI Bologna, esperta in materia locatizia e condominiale e componente del Centro Studi di Sesamo, ha invece evidenziato le difficoltà attuative su alcune specifiche tematiche condominiali, a causa delle lacunosità della nuova normativa, come il problema della gestione dei debiti e crediti del condominio ed il ruolo dell’amministratore in tali vicende. Una buona parte dell’intervento si è concentrato sull’annosa controversia della natura solidale o parziale delle obbligazioni assunte verso i terzi dall’amministratore del condominio e le diverse e possibili conseguenze per i condomini. L’avv. Giovanni Maccarrone, avvocato del foro di Treviso e mediatore della CMP, forte della propria esperienza e sensibilità a tale strumento, ha illustrato lo spirito della mediazione ed alcuni aspetti pratici della procedura, anche avvalendosi di alcuni brevi spezzoni di un video relativo ad una simulazione di una mediazione. Dopo aver illustrato le novità normative in materia di mediazione, tale relatore si è soffermato sugli aspetti dinamici e relazionali che il mediatore deve ricavare dal confronto dialettico tra le parti, in vista di una composizione condivisa del conflitto. L’avv. Stefano Zanni del Foro di Modena, mediatore e membro del direttivo dell’organismo di mediazione del Consiglio dell’Ordine di Modena, si è invece soffermato sul ruolo dell’amministratore nella mediazione a partire dalla trattazione di tale questione nei rapporti con i condomini e nella gestione dell’assemblea condominiale preparatoria e nella successiva delicata fase della partecipazione del mediatore alla procedura di mediazione come parte attiva e collaborante in vista di una soluzione che soddisfi gli interessi di tutti i condomini. Il dott. Antonio Romano, esperto in formazione di amministatori condominiali, Presidente del Centro Studi e formazione di Sesamo a cui è stata affidata la direzione dei corsi che Sesamo predisporrà per la formazione iniziale e periodica dei propri associati, ha affrontato le problematiche relative alle responsabilità civile contrattuale, civile extracontrattuale, penale ed amministrativa degli amministratori. La dott.ssa Fiorella Cima, anch’essa membro del Centro studi e formazione di Sesamo, che collabora nell’attività del dott. Romano nella predisposizione dei corsi di formazione per amministratori condominiali, ha illustrato le bozze dei corsi formativi per gli amministratori condominiali che Sesamo andrà a realizzare. Il convegno è stato apprezzato dai partecipanti, sia essi proprietari immobiliari che professionisti, per il taglio non solo teorico, ma sopprattutto pratico sulle questioni trattate. È stata altresì giudicata positivamente la circostanza che associazioni portatrici di interessi diversi nel campo della proprietà immobiliare abbiano saputo collaborare e proporre spunti di riflessione utili per ciascun soggetto invitato a partecipare a vario titolo al convegno. Il successo del convegno ha indotto le associazioni organizzatrici a riproporre tale formula anche in altri contesti territoriali, al fine di poter offrire tale esperienza ad altri utenti della proprietà immobiliare.

Risparmio energetico e condomini intelligenti

Aprire in ogni città un tavolo di confronto con Comuni, Associazioni delle imprese edili, istituti bancari, assicurazioni: ecco una proposta sulla quale tutte le organizzazioni territoriali di Asppi potrebbero impegnarsi nei prossimi mesi. Il tema è quello della riqualificazione energetica degli edifici, in modo particolare dei condomini. Partiamo dalla realtà attuale: • in Italia le abitazioni consumano mediamente oltre i 150 kwh/m2 all’anno a fronte di una casa efficiente che ne consuma meno di 50 kwh/m2; • circa il 75% delle abitazioni risalgono ad un’epoca in cui non vi era alcun tipo di norma • prescrittiva in ambito di rendimento energetico; • per i motivi descritti il settore civile è responsabile del 45% delle emissioni di CO2 nell’ambiente; • l’inefficienza delle abitazioni in termini di rendimento energetico determina anche una • diminuzione del potere d’acquisto delle famiglie ed una conseguente depressione dei consumi; Se si riuscissero a limitare le dispersioni di calore, utilizzando apparecchi e tecnologie ad alta efficienza, ogni famiglia potrebbe risparmiare circa il 40-50% delle spese per riscaldamento, incrementare il valore dell’immobile in cui risiede e contribuire, inoltre, a ridurre le emissioni di CO2 nell’atmosfera. Un forte interesse dei proprietari si coniuga quindi perfettamente ad un interesse generale e collettivo. Come trovare le risorse per realizzare gli investimenti richiesti (spesso importanti) per ottenere questo risultato? Qui sta il valore di un possibile patto con le imprese e altri soggetti. Ipotizziamo che l’investimento ed il risparmio conseguente si realizzino a breve, il proprietario potrebbe continuare a spendere per un certo periodo di tempo ciò che paga oggi fino a quando il costo dell’investimento sarà ripagato. In sostanza, il sovrapprezzo che versato oggi e per un certo periodo per consumo eccessivo si trasformerebbe in un investimento fortemente rateizzato. L’investimento stesso potrebbe esser abbattuto usufruendo degli incentivi fiscali già previsti e da ulteriori incentivi sul risparmio energetico che potrebbero essere attivati con i fondi europei. In questo quadro costituirebbe una convenienza per molte imprese acquisire i lavori anticipandone i costi, soprattutto se sostenuti dal necessario supporto del sistema bancario. Il Comune potrebbe svolgere un ruolo di stimolo per accordi di questo genere, garantendo snellezza d procedure ed eventualmente qualche vantaggio sul piano della fiscalità locale del tutto motivato dato il perseguimento di un interesse generale. Il meccanismo qui descritto non è frutto di fantasia; diversi comuni italiani si stanno misurando con la possibilità di favorire accordi di questo genere: già esistono diverse esperienze di questo tipo nate come scambio di buone pratiche generate dal Patto dei Sindaci promosso a livello europeo. Dal Comune di Genova, a Napoli, a Benevento si stanno sperimentando queste forme di concertazione. Si tratta di diffonderle e di verificarne la praticabilità in tutte le realtà. Le principali associazioni delle imprese edili hanno già manifestato un forte interesse in questo senso. Spetta ad Asppi il ruolo insostituibile di promotrice di accordi di partneriato locale che possono costituire una grande opportunità per i proprietari di immobili.

Riforma del catasto: si comincia male

Si comincia davvero male. La pubblicazione del primo Decreto Legislativo relativo alla Delega Fiscale riguardante la istituzione delle Commissioni Censuarie in molti punti si discosta vistosamente dalla Legge Delega e contiene elementi assai negativi. Come è noto, la Legge Delega prevede un meccanismo di valutazione dei nuovi valori catastali affidato ad esperti che, in ragione dei diversi soggetti che li hanno proposti, sono chiamati a rappresentare punti di vista diversi. Le sedi di questo confronto non possono che essere quindi le Commissioni censuarie cui giustamente la Legge Delega affida un ruolo centrale. E qui c’è la prima forzatura. Nel testo del Decreto il ruolo di queste Commissioni sarebbe semplicemente e riduttiva mente quello di ‘concorrere’ alla determinazione dei valori. E allora, a chi sarebbe riservata la decisione effettiva? Se questo punto non venisse cambiato uno degli aspetti fondamentali della riforma verrebbe stravolto. Ma veniamo al punto più rilevante. La Legge Delega prevede che sia assicurata la presenza nelle Commissioni di esperti designati dalle Associazioni di categoria del mondo immobiliare. E si capisce perchè: il Legislatore ha voluto garantire che la determinazione dei nuovi valori avvenisse ‘in contraddittorio’ fra espressioni di interessi diversi che vanno composti: è quindi ovvio che assieme a rappresentanti designati dai soggetti beneficiari della tassazione immobiliare (agenzie delle entrate, comuni), è indispensabile la presenza di esperti espressione delle categorie chiamate a sopportare il carico fiscale, cioè i proprietari immobiliari. La Legge chiarisce che questa presenza deve essere assicurata ed i meccanismi di formazione delle Commissioni non possono prescindere da essa. Il Decreto Legislativo invece, imponendo un doppio filtro nella scelta dei Commissari, costituito dal Prefetto e dal Presidente del Tribunale, costruisce un meccanismo che non assicura affatto la presenza di esperti designati dalla proprietá immobiliare. In questo modo verrebbe snaturata l’essenza stessa della riforma. Altri punti potrebbero essere segnalati a testimonianza di come il Decreto costituisca un passo indietro rispetto alla Legge. Il Governo può ancora intervenire per modificare un testo che così com’è è inaccettabile. Il Parlamento,che deve rendere un parere obbligatorio sul Decreto, può far pesare tutta la sua forza per imporre i cambiamenti necessari. La riforma del catasto rappresenta uno dei terreni fondamentali per misurare nel prossimo futuro il rapporto fra cittadini e fisco: se si partisse male, tale rapporto precipiterebbe a livelli ben peggiori di quelli, già bassi, che caratterizzano la situazione odierna. Non si può intervenire su una questione così delicata senza ricercare la collaborazione di chi rappresenta la maggiore categoria di contribuenti.

Coperture a verde e roof garden: i vantaggi

In questi anni stiamo assistendo in molti paesi europei e, in certa misura anche nel nostro, allo sviluppo delle coperture a verde degli immobili ed alla realizzazione di giardini pensili riprendendo una tradizione che vanta precedenti antichissimi. Ciò che incentiva oggi lo sviluppo di questa realtà è la possibilità di utilizzare tecnologie che consentono di intervenire efficacemente su quasi tutte le tipologie di copertura. I materiali utilizzati consentono strutture verdi molto leggere e quindi al riparo dai rischi e dai costi di interventi pesanti ed invasivi. In molti casi, coperture di questo tipo, comportano pochissima manutenzione e non necessitano di appositi impianti irrigui. I vantaggi dell’adozione di queste soluzioni sono molteplici e non hanno praticamente controindicazioni. Innanzitutto sono rilevanti i benefici economici di queste installazioni: esse garantiscono un rilevante incremento dell’isolamento termico in inverno e di riaffrescamento nei mesi estivi con un consistente beneficio per la bolletta energetica. I roof garden contribuiscono inoltre a proteggere lo strato impermeabile delle coperture dalle radiazioni solari e dalle brusche variazioni di temperatura incidendo positivamente sui costi di manutenzione. I vantaggi maggiori però sono certamente di natura ambientale. Queste strutture hanno un forte effetto di riduzione dell’inquinamento acustico e di quello elettromagnetico. Nel primo caso, una copertura a verde assorbe le onde sonore (traffico, aereomobili…) e ne riduce la propagazione. Il substrato è efficace soprattutto nella banda delle basse frequenze, mentre la vegetazione lo è in quella delle alte frequenze. Nel caso dell’inquinamento elettromagnetico, le coperture a verde assicurano un fortissimo assorbimento delle emissioni provocate dalla telefonia mobile o da altre fonti. Secondo ricerche l’Università di Kassel, in base al quale una copertura a verde con 15 cm di substrato leggero èin grado di assorbire circa il 94,4% delle emissioni nel campo di frequenza della rete telefonica mobile cellulare – da 1,8 a 1,9 GHz – e delle ricetrasmittenti. Le coperture a verde inoltre contribuiscono a mitigare il microclima diminuendo la temperatura esterna ed il carico termico destinato a trasferirsi all’interno delle abitazioni . Un ulteriore beneficio consiste nel fissaggio delle polveri sottili che vengono sottratte all’atmosfera grazie alla vegetazione che eleva l’umidità dell’aria e riduce la velocità del vento. Oltre alle evidenti utilità economiche, funzionali, ambientali ciò che più conta probabilmente sono gli effetti di abbellimento che in molti casi queste strutture comportano per i nostri immobili e le nostre città. Abitare immobili e quartieri anche esteticamente gradevoli migliora la qualità della vita di tutti noi e costituisce un obiettivo non secondario da perseguire.

Il ‘valore sociale’ della proprietà edilizia

C he valore sociale si attribuisce nel nostro Paese alla proprietà edilizia? Se dovessimo basarci sulle parole ricorrenti nei discorsi di uomini politici o di economisti o su quello che spesso leggiamo, ascoltiamo, vediamo sui mass media, si direbbe ben poco. Spesso l’investimento in edilizia viene considerata una ‘cementificazione’ di risorse sottratte ad impieghi più produttivi dimenticando che il settore delle costruzioni, oggi sempre più orientato al riuso e alle ristrutturazioni, ed i settori ad esso collegati, costituiscono un ‘pezzo’ fondamentale dell’economia, che non funziona se la proprietà edilizia non è nelle condizioni di investire. In fondo, di questa mistificazione si sono nutriti e si nutrono gli ideologhi degli inasprimenti fiscali sulla proprietà che infatti sono andati oltre ogni limite, contribuendo alla perdita di valore degli immobili ed al crollo degli investimenti. Altri esempi possono essere fatti: si consideri il devastante fenomeno della morosità. È giusto come si stà facendo (troppo poco) intervenire in aiuto degli inquilini a basso reddito in difficoltà, ma quando capita di sentire una parola spesa per ricordare i costi enormi in cui incorre il locatore in questi casi? Stiamo parlando,per ogni caso, di migliaia di euro fra affitti non percepiti, tasse pagate su redditi inesistenti, costi per procedimenti legali bizantini e lunghissimi. Troppo spesso il proprietario o il locatore vengono associati ad un’immagine di ricchezza o di forza contrattuale. Ma stanno così le cose? Possedere un immobile per abitarlo o affittarlo non significa disporre di redditi alti. Anzi, molto spesso i proprietari si identificano con anziani che dispongono di redditi da pensione o poco altro. Quanti sono i condomìni in Italia che non riescono a programmare ammodernamenti o innovazioni, in presenza di condòmini non in grado di assicurare la propria quota? E quante sono le civili abitazioni su cui da anni non si interviene nelle necessarie manutenzioni perchè il reddito del proprietario non lo consente? Ben venga la politica delle detrazioni fiscali, ma quante sono le famiglie, anche di proprietari, non interessate perchè incapienti? Vale la pena ricordare che gli immobili costituiscono certo un complesso di beni privati, ma costituiscono anche parte essenziale del capitale fisso della nazione, la cui valorizzazione o il cui degrado segna inequivocabilmente la qualità dei nostri centri urbani. Eppure, basta attraversare le Alpi, per intravvedere un riconoscimento ben diverso della proprietà edilizia. Non si può certo dire che la Francia dedichi meno attenzione dell’Italia ai problemi di chi non è proprietario della propria casa: basta considerare il numero di alloggi sociali ben superiore al nostro. Eppure non manca un’attenzione particolare ai problemi della proprietà edilizia, a cominciare dai proprietari dotati di redditi bassi o bassissimi. Per far fronte a questi problemi funziona da anni una Agenzia Nazionale dell’Abitare (ANAH) che avvalendosi di un forte partneriato sociale e istituzionale elabora politiche a supporto del Governo e del Parlamento e sostiene i proprietari in determinate condizioni di reddito nelle azioni e negli investimenti che riguardano la sicurezza delle abitazioni, la realizzazione di adeguati standard civili, il conseguimento di migliori performance sul piano energetico, l’accessibilità e l’abbattimento delle barriere architettoniche, ecc. Importante è anche l’intervento assicurato a condomini non in grado di sostenere le spese di investimento necessarie nelle parti comuni degli edifici. L’Agenzia, strumento pubblico nazionale dotato di risorse pubbliche statali, collabora con gli enti locali nella definizione e realizzazione di piani di recupero o rigenerazione urbana per la parte afferente il patrimonio abitativo privato. Al di là dei caratteri di questa esperienza quello che và colto è il significato culturale che la sottende: il riconoscimento di un ruolo sociale della proprietà nel complesso delle politiche abitative. Se questa idea sì impiantasse anche nel nostro Paese si potrebbero affrontare moltissime questioni in modo innovativo, senza necessariamente prevedere forti esborsi di denaro pubblico. Si pensi solo alla possibilità di costruire fondi di rotazione destinati non a concedere risorse a fondo perduto , ma a sostenere, anche temporaneamente i proprietari che volessero intraprendere innovazioni e ammodernamenti. In sostanza, il proprietario non va lasciato solo nello sforzo di qualificare il suo patrimonio che costituisce certo un bene privato, ma anche un patrimonio sociale.

“Patti d’area” per la riqualificazione dei Quartieri

A Chiavari, provincia di Genova, a fine dicembre dello scorso anno, è stato firmato il primo “Patto d’area” della Regione Liguria. Quest’ultima è la seconda regione italiana, dopo la Toscana, ad aver approvato la nuova programmazione commerciale e gli adeguamenti normativi al Testo unico in materia di commercio in vigore dal 2007. Obbiettivo: incentivare il ritorno della popolazione dalla periferia alla città. La nuova programmazione commerciale prevede infatti che nei centri storici e in particolari aree limitate possano essere stipulati “Patti d’area” o “Contratti di quartiere”. Il Patto d’area è un dispositivo di grande importanza per supportare e rilanciare il commercio in città grazie al coinvolgimento di una pluralità di soggetti: Regione, Comune, Camere di Commercio, Associazioni di categoria del commercio e della proprietà immobiliare. La finalità è unica: sostenere la riqualificazione commerciale del territorio e prevenire la desertificazione dei quartieri. Un patto d’area permette di escludere alcune tipologie merceologiche, e di sostenerne delle altre, con l’obiettivo di fornire maggiore attrazione al territorio; facilita l’apertura di soli esercizi di vicinato; mette in contatto i vari proprietari dei fondi per un’offerta di mix commerciale. In un’ottica di rilancio del sistema economico e commerciale delle nostre città lo strumento innovativo del patto d’area coinvolge in primo luogo i proprietari di immobili. Questo innovativo strumento incentiva la riduzione dei canoni di affitto per almeno 5 anni e l’esercente che beneficia di tali facilitazioni si impegna a ristrutturare i locali. Il proprietario, a sua volta, per compensare il canone ridotto può beneficiare della riduzione delle imposte locali di una quota pari al 20%. Il Comune infine si impegna a non richiedere oneri urbanistici di sua competenza. L’ A.S.P.P.I di Genova si propone come parte firmataria dell’accordo, in rappresentanza dei proprietari che decideranno di aderire a questo progetto, e per questo parteciperà al tavolo di lavoro con gli Assessorati allo Sviluppo Economico a livello Comunale e Regionale, e con le altre parti sottoscrittrici dell’accordo. Questa esperienza a livello locale, sottolinea come l’impegno portato avanti dalla nostra Associazione per la riforma delle locazioni ad uso diverso dall’abitativo, sia una proposta in linea con le richieste e le esigenze non solo dei proprietari immobiliari, ma anche dell’intero tessuto economico e sociale. Il progressivo aumento del fenomeno della morosità, soprattutto nelle locazioni commerciali, e il pericoloso rischio che sempre più immobili vengano sottratti alla locazione, a fronte invece di una tassazione in costante crescita, pongono la necessità di trovare risposte e soluzioni urgenti per il futuro delle nostre città. Locali sfitti ed esercizi commerciali sempre in maggiore difficoltà non possono che alimentare in maniera drammatica la crisi del mercato immobiliare, con il conseguente crollo del valore degli immobili. E’ necessario che il Governo torni ad occuparsi di un settore strategico e decisivo per la realtà economica e sociale del Paese. Auspichiamo che l’innovativo strumento dei patti d’area contribuisca a mettere in evidenza come sia ormai improrogabile la necessità di rivedere in maniera organica la normativa che disciplina le locazioni ad uso diverso dall’abitativo, aprendo la strada ad altre esperienze virtuose.

One Hyde Park, un progetto moderno nel cuore di Londra

Prosegue il viaggio di Pietra su Pietra nei progetti architettonici più moderni ed affa-scinanti. Dopo le abitazioni a impatto zero targate Leed Platinum di “Ecologia Mon-tréal”, abbiamo esplorato “One Hyde Park”, un progetto modernissimo nel cuore di Londra, a fianco dell’omonimo parco. Curato dallo studio di architettura di Richard Rogers, il pluripremiato “Rogers Stirk Harbours + Partners”, è uno degli immobili più pregiati al mondo, con forme uniche, e materiali e tecnologie totalmente sostenibili. L’immobile è una struttura divisa in quattro parti, per assicurare ad ogni appartamento la massima luce e la migliore vista, oltre a privacy e sicurezza. Complessivamente, sono un’ottantina le proprietà che compongono la struttura, con un prezzo di partenza di oltre 20 milioni di sterline (oltre 24 milioni di euro): una cifra alta, ma non tale da spaventare alcuni degli acquirenti più noti (tra loro, l’ex Primo Ministro del Qatar, Sheikh Hamad Bin Jassim Jaber Al Thani; l’oligarca ucraino Rinat Akhmetov; l’imprenditore kazako Vladimir Kim), e nemmeno tante corporations che hanno acquistato all’interno un locale di prestigio. Tra le caratteristiche che hanno reso One Hyde Park una delle meraviglie della nuova Londra, il profilo aggressivo della costruzione, le linee che lo rendono simile ad una gigantesca navicella spaziale ma dai contorni vittoriani in mattoni rossi e pietra grigia. L’ingresso dell’immobile sembra la hall di un hotel a cinque stelle (statue d’acciaio, tappeti, marmi e luminosi lampadari) ma i proprietari difficilmente lo utilizzano, preferendo accedere direttamente al loro appartamento, tramite ascensori in vetro e acciaio collegati direttamente ai garage sotterranei. Ogni appartamento ha pavimenti in rovere, mobili in legno, bronzo ed acciaio: materiali classici ma tutti con forme modernissime e leggere. Dalle finestre, la vista è magnifica ma dall’esterno non si riesce a sbirciare negli appartamenti: privacy e sicurezza sono ai massimi livelli (compresi i vetri antiproiettile). Persino la posta è passata ai raggi x prima di essere consegnata.

Lo sviluppo sostenibile parte dalle città

In questi mesi sarà definita la programmazione delle risorse utilizzabili nel nostro Paese riferite ai fondi strutturali europei per gli anni 2014-2020. Si tratta di risorse quantificabili in circa 42 miliardi di euro, che ne richiameranno almeno altrettante di cofinanziamenti da parte dello Stato, delle Regioni, dei privati. L’uso di queste risorse, concertato dalle Autorità Nazionali con l’Unione Europea, prevede molteplici obiettivi e darà luogo ad una pluralità di azioni che si riverseranno su vari comparti del tessuto produttivo e civile del Paese. Grande interesse rappresenta per i cittadini la quota di risorse che sarà programmata in funzione dello sviluppo sostenibile delle nostre città e che vedrà come protagonisti lo Stato e le Regioni, ma in primo luogo i Comuni. Si parla di un 5% circa del plafond di risorse europee che, assieme ai cofinanziamenti darà corpo ad una cifra cospicua da impiegare in iniziative finalizzate alla riqualificazione urbana, all’efficientamento energetico del patrimonio edilizio e ad altri molteplici obiettivi. Le politiche di sviluppo, ma anche le grandi scelte ambientali devono misurarsi con il ruolo delle città. Un’opportunità per i proprietari immobiliari Per Asppi, e per tutte le associazioni della proprietà edilizia, si presenta una grande opportunità: interloquire con le Autorità pubbliche (dai Ministeri, alle Regioni, ai Comuni) per far si che l’impiego di queste risorse sia tempestivo, efficiente ed efficace e partecipare alla definizione degli obiettivi e delle azioni da intraprendere. Su un aspetto abbiamo il dovere di insistere: la qualità del patrimonio edilizio privato è parte essenziale della qualità urbana, i proprietari immobiliari devono essere interlocutori essenziali dei processi di riqualificazione. Per questo assegneremo particolare importanza a quelle azioni che vedono i proprietari immobiliari coprotagonisti nella realizzazione di obiettivi più ampi. La riqualificazione energetica dei condomini Gli esempi possono essere molteplici, ci limitiamo a segnalare uno dei più significativi: si pensi alla riqualificazione energetica dei condomini. La diffusione in ambito urbano di un processo in questo senso avrebbe un peso enorme dal punto di vista ambientale per l’intera città (il settore civile consuma il 35% dell’energia prodotta); mobiliterebbe una grande quantità di investimenti privati e favorirebbe la creazione di nuovo lavoro e di nuove professioni; gli investimenti sarebbero ripagati in un numero di anni limitato, in ragione del risparmio energetico conseguito. Si veda al proposito l’esperienza dei ‘condomini intelligenti’ partita da Genova e destinata a diffondersi in molte altre città (da Piacenza, a Benevento). E’ sufficiente un minimo di intervento pubblico a garanzia dell’investimento, un accesso al credito facilitato, per innescare un processo che si traduce in un beneficio per tutti. Questo progetto e’ uno dei tanti previsti a suo tempo dal ‘Patto dei Sindaci’ (strumento promosso dalla Commissione europea per implementare a livello locale le politiche di riduzione di CO2). Molti altri progetti elaborati in questa sede vanno in questa direzione e meritano di essere ripresi. Se una piccola frazione dei fondi comunitari servisse ad innescare processi di questo genere la partita sarebbe vinta. Ci dedicheremo con costanza ed impegno, nei prossimi mesi, ad affinare proposte, a presentarle ai soggetti pubblici e, soprattutto, a chiedere il sostegno dei nostri associati e dei proprietari di immobili affinché esse si affermino.

Alla ricerca della garanzia perduta

La morosità dei conduttori è, purtroppo, in costante e preoccupante aumento. Tale traumatico fenomeno comporta gravi perdite economiche per il proprietario che, in media, tra spese legali per la procedura di sfratto ed il mancato percepimento dei canoni subisce un pregiudizio pari ad almeno un’annualità del canone di locazione. Tutto ciò per tacere delle problematiche umane e sociali che uno sfratto per morosità ingenera e dei costi che il locatore deve sopportare per ripristinare l’immobile in buono stato di manutenzione. Il proprietario immobiliare medio si dimostra, quindi, sempre più recalcitrante a concedere in locazione il proprio immobile e si spinge alla ricerca di nuove forme di garanzia del corretto e puntuale adempimento da parte del conduttore delle obbligazioni contrattuali. Tra queste forme di garanzia, la più efficace appare senz’altro quella fideiussoria, prevista con apposita clausola da inserirsi nel contratto di locazione. Quale fideiussione? Le tipologie di fideiussione attualmente più diffuse sono certamente quelle bancarie ed assicurative. Si tratta di strumenti finalizzati ad assicurare al locatore il ristoro dei pregiudizi subiti dall’inadempimento del conduttore. Il rilascio della fideiussione bancaria o della garanzia assicurativa comporta un’indagine preliminare da parte delle banche o delle imprese assicuratrici sull’affidabilità e solvibilità dell’inquilino che verrà garantito od assicurato solo se risulterà conforme a determinati parametri. L’indagine in parola determina un importante selezione dei potenziali conduttori che verranno garantiti solo se ritenuti “sicuri”. La probabilità che tra gli inquilini sottoposti alle verifiche delle banche o delle società assicuratrici insorga la morosità sono, per tale motivo, più limitate rispetto alla media. Vediamo ora alcune delle caratteristiche salienti delle garanzie assicurative e bancarie. L’operatività delle fideiussioni assicurative è condizionata al pagamento di un premio (annuale od unico) da parte del conduttore; di conseguenza, qualora il conduttore non vi provveda la compagnia assicurativa potrà recedere dal contratto, con inevitabile perdita della garanzia per il locatore. Le fideiussioni bancarie prevedono, invece, la disponibilità di una somma di denaro o titoli che resterà vincolata a titolo di garanzia per tutta la durata del contratto di locazione. È, dunque, evidente che la garanzia bancaria sarà concessa solo a soggetti che dispongono di depositi bancari di una certa entità, circostanza oggi alquanto poco ricorrente tra i conduttori di immobili. Per questo motivo oggi le forme di garanzia assicurativa sono senz’altro più diffuse. A prescindere dalla scelta operata dal locatore, è bene che lo stesso preveda nel contratto, a fronte dell’inadempimento del conduttore, la facoltà di chiedere il pagamento di quanto dovuto indifferentemente all’affittuario o al fideiussore, senza necessità, in questa seconda ipotesi, di dover dimostrare la preventiva escussione del conduttore. Non solo; è altresì opportuno prevedere che la compagnia assicuratrice o la banca provveda al pagamento a prima richiesta del locatore, e non, ad esempio, a seguito della convalida dello sfratto. In tal modo la procedura di riscossione del credito sarà notevolmente snellita. In ogni caso, ove si determini una morosità del conduttore tale da giustificare la domanda di risoluzione del contratto, sarà onere del locatore riferire tempestivamente al fideiussore della morosità maturata, onde consentirgli di procedere ai dovuti pagamenti in luogo del conduttore. In conclusione, per quanto la fideiussione bancaria appaia oggi lo strumento di tutela in grado di offrire maggiori garanzie per il proprietario, la garanzia assicurativa risulta oggi lo strumento più accessibile per il conduttore. Il costo della stipulazione della polizza risulta, infatti, meno oneroso anche del tradizionale deposito cauzionale, offrendo, per contro, una copertura di gran lunga superiore. Facendo ricorso alla garanzia assicurativa è importante un’attenta preliminare disamina delle clauosole di polizza poichè spesso sono previsti termini di decadenza molto brevi per denunciare la morosità o clausole che limitano od escludono il pagamento dei canoni e delle spese legali. È, dunque, importante che prima di stipulare una polizza assicurativa la stessa sia sottoposta al vaglio di professionisti esperti presso le sedi ASPPI.

Quando la crisi si “chiama” morosità

Lo sfratto per morosità è spesso l’unico strumento che consente al proprietario di recuperare le tasse già pagate sui canoni non percepiti e di rientrare in possesso del proprio immobile. Dai dati del Ministero degli Interni, nel 2012, gli sfratti esecutivi, in tutta Italia, sono stati 67.790, di questi 60.244, cioè l’89%, sono stati rubricati come sfratti per morosità. A Roma, il totale degli sfratti è stato di 7.743 unità, di cui quasi 7.000 quelli con l’etichetta per morosità. Per il 2013 non abbiamo dati ufficiali, ma sembra che si siano aggiunti ulteriori 1400 sfratti per morosità. E’ impensabile che 8 mila famiglie abbiano tutte deciso, per sfizio, di non pagare più il canone. Evidentemente, sono sopravvenute difficoltà insormontabili. Una risposta è necessaria, perché un inquilino moroso non giova a nessuno e un ritardo nella risposta rischia di far lievitare il numero delle morosità “dei furbi”, attirati dall’idea di ricevere sussidi e aiuti dalle Istituzioni, che si aggiungono alle morosità “incolpevoli”. La proposta formulata tempo fa dal Sindaco Marino di corrispondere 700 euro alle famiglie con redditi bassi, oltre a non avere copertura finanziaria, è inattuabile, comunque non risolutiva e soprattutto diseducativa, perché cavalca lo slogan dei movimenti per la casa secondo cui la casa dovrebbe essere gratuita. Le soluzioni concrete sono già state tracciate e hanno come obiettivo l’uscita dall’emergenza:

– attivare rigidi controlli sugli aventi diritto alle case popolari, in modo da favorire, anche forzosamente, una mobilità nell’assegnazione degli alloggi;

– bloccare la dismissione del patrimonio degli enti, utile a creare un cuscinetto abitativo a favore di coloro che non hanno diritto ad un alloggio popolare ma non possono permettersi affitti di libero mercato;

– incrementare l’adozione di contratti concordati con l’applicazione di maggiori e concrete agevolazioni;

– rifinanziare il fondo per l’affitto, e accelerare i tempi per l’erogazione dei contributi. A Roma, a fronte di 20 mila richieste, nel passato sono stati erogati 10 mila contributi a causa della carenza di risorse.

Un Piano contro il disagio abitativo

Dopo lunghi mesi di gestazione sembra prossimo all’approvazione del Consiglio dei Ministri il Decreto che dovrebbe intervenire sui temi del disagio abitativo. La situazione del resto diventa sempre più difficile: per intere fasce di inquilini colpiti dalla crisi e in grande difficoltà a corrispondere al pagamento dell’affitto, per moltissimi proprietari di immobili stretti fra aumenti della tassazione, calo medio del valore dei canoni, morosità sempre più diffusa. Solo fra qualche giorno (a chi scrive) sarà possibile conoscere il contenuto preciso del Provvedimento: ci riferiamo qui all’ultima versione conosciuta (attendibile per altro in quanto avrebbe già superato il vaglio della Ragioneria generale dello Stato e delle Regioni). Si tratterebbe in sostanza di impiegare 1350 milioni in 4 anni: parte per agevolazioni fiscali (441 milioni), parte per investimenti (568 milioni), parte per rifinanziamento di fondi sociali (341 milioni). Come testimonia l’entità delle risorse, siamo lontani da un intervento risolutivo, ma certamente si tratterebbe di un intervento significativo se paragonato al deserto di iniziative del passato (salvo qualche intervento positivo adottato proprio dal Governo Letta). La prima misura dovrebbe riguardare l’abbassamento della aliquota della cedolare secca per i contratti di locazione a canone concordato dall’attuale 15% al 10%. Sarebbe il secondo ribasso in pochi mesi considerato che l’aliquota su questi contratti raggiungeva fino a pochi mesi fa il 20%. . Si tratterebbe senz’altro di una misura intelligente, considerando il fatto che l’originaria definizione delle aliquote della cedolare secca scoraggiava pesantemente la stipula di questi contratti, favorendo di fatto i contratti a canone libero. A questo si aggiunga che l’introduzione dell’IMU ha di fatto segnato la scomparsa delle agevolazioni fiscali previste con il vecchio regime Ici in moltissimi comuni. Misura giusta, quindi , che tende a garantire un minimo di convenienza a contratti che, prevedendo canoni più bassi di quelli di mercato, aiutano le fasce di inquilini che dispongono di redditi medio-bassi. Purtroppo sembra essere sparita dal Decreto un’altra misura (richiesta a viva voce da Asppi) che prevedeva, per questi contratti, un’aliquota Imu agevolata al 4 per mille. Il combinato disposto di queste due misure (ribasso aliquote cedolare ed Imu) avrebbe davvero garantito il rilancio di questi contratti. Così ci si ferma a metà. Speriamo che Governo e Parlamento ritornino su questo punto decisivo per rendere efficace la manovra. Così come continueremo a premere con tutta la nostra forza affinché sia superata l’anacronistica situazione attuale che circoscrive i vantaggi fiscali di questi contratti unicamente ai cosiddetti ‘comuni ad alta tensione abitativa’ mentre ormai questo tipo di tensioni sono presenti in tutti i comuni. Maggiori agevolazioni fiscali sono previste anche per gli inquilini che dispongono di redditi modesti attraverso la possibilità di portare in detrazione una quota maggiore del costo dell’affitto (fino a 900 euro). Positiva è certamente la decisione di destinare nuove risorse ai fondi sociali (per l’affitto e per la morosità incolpevole) che verrebbero implementati di 340 milioni.

Mercato immobiliare, timidi segnali di ripresa

La situazione del mercato immobiliarerimane pesante nella percezione deglioperatori, pur con qualche timido segnale di risveglio.Lo testimonia l’indagine congiunturalesul settore abitativo condotta dalla Bancad’Italia riferita alquarto trimestre 2013
Prezzi delle abitazioni
– In dicembre èaumentata a 70,5 per cento (da 68,2 percento del sondaggio di ottobre) la quota di agenti immobiliari che segnala unadiminuzione dei prezzi di vendita. Il risultato riflette principalmente le valutazioniriscontrate nelle aree urbane e metropolitane, in particolare del Centro.Compravendite
– La quota di agenti chehanno venduto almeno un’abitazionenel trimestre di riferimento è pari al 65,8per cento. In oltre due terzi dei casi si ètrattato della vendita di abitazioni preesistenti.Le vendite hanno interessato, inprevalenza, immobili di metratura finoa 140 mq (circa il 95 per cento) abitabilio parzialmente da ristrutturare (64,8 percento), con classe energetica bassa (circa62 per cento);
Trattative e tempi di vendita
– Il margine medio di sconto dei prezzi di venditarispetto alle richieste iniziali del venditore, pari al 16 per cento, non si è discostatosignificativamente dal livello medio deiquattro precedenti trimestri . Il tempoche intercorre tra l’affidamento del mandato e la vendita si conferma attorno ai 9 mesi.
Modalità di finanziamento degli acquisti
– Nello scorcio del 2013, la percentuale di acquisti finanziati con un mutuoipotecario è nuovamente cresciuta, purdi pochi punti percentuali, congiuntamente con l’incremento del rapporto traprestito e valore dell’immobile
Locazioni
– Circa l’81 per cento delleagenzie ha dichiarato di avere locato almeno un immobile nel quarto trimestredel 2013, a fronte di canoni valutati incalo, rispetto al trimestre estivo, dal 61,1per cento degli operatori. Tale quadro accomuna tutte le aree geografiche.
Le prospettive del mercato in cui operano le agenzie
– Le prospettive del mercato in cui operano le agenzie– Le attese degli operatori sull’andamento del mercato di riferimento nel breve termine sono migliorate rispetto alla scorsa rilevazione: il saldo negativo fra aspettative favorevoli e sfavorevoli si è attenuato. Tale risultato è inlinea con il maggior ottimismo espressoriguardo al flusso di nuovi incarichi per iltrimestre corrente.
Restano prevalentemente orientate al ribasso le attese sui prezzi delle abitazioni:è stabile, attorno al 64 per cento, la quota di operatori che prevede un calo deiprezzi nei primi tre mesi del 2014 rispettoal trimestre precedente; si conferma marginale la quota di coloro che si attendonoun aumento delle quotazioni.
Circa il 60 per cento degli operatori siattende che i canoni di locazione per iltrimestre in corso si mantengano stabili(un risultato analogo a quello della precedente rilevazione).
Le prospettive del mercato nazionale delle compravendite
– Il saldo fra attese di miglioramento e peggioramento nel breve termine resta invariato. La disper sione delle risposte fornite dagli operatori segnala il permanere di una elevata incertezza. Rispetto al trimestre prece dente, il deterioramento delle prospettive risulta più marcato nel Nord Ovest.
Le attese su un orizzonte di medio termine (2 anni) sono improntate all’ottimismo: il saldo fra aspettative di miglioramento e peggioramento è risultato positivo per la seconda rilevazione consecutiva, atte standosi a 9,6 punti percentuali.

Campagna fiscale 2014, istruzioni per l’uso

È iniziata la campagna fiscale 2014. L’Agenzia delle Entrate ha già reso disponibili nel suo sito i modelli dichiarativi, 730/2014 e Unico PF 2014. Non mancano, come da prassi ormai consolidata, le relative istruzioni per l’uso relative al periodo di imposta considerato. Le scadenze sono rimaste invariate: il 30 aprile dovrà essere consegnata la dichiarazione al proprio sostituto d’imposta; se si decide di presentare il modello 730 tramite un CAF o un commercialista abilitato il termine diventa il 31 maggio. La principale novità riguarda i rimborsi d’imposta superiori a 4.000,00 € in presenza di carichi di famiglia e/o di eccedenza d’imposta derivanti da anni precedenti. In particolare, al fine di contrastare l’erogazione di indebiti rimborsi d’imposta da parte del sostituto d’imposta è stato disposto che l’Agenzia delle Entrate, entro sei mesi dalla scadenza dei termini previsti per la trasmissione telematica della dichiarazione, effettui dei controlli, anche documentali, sulla spettanza della detrazione per carichi di famiglia o crediti derivanti da precedenti dichiarazioni. Non è l’unicà novità di questa campagna fiscale. Da quest’anno è stata introdotta la possibilità di poter presentare il modello 730/2014 anche in assenza di un sostituto d’imposta, novità testimoniata dall’inserimento nel frontespizio della casella “Mod 730 dipendenti senza sostituto” che dovrà essere barrata da parte di coloro che al momento della presentazione del modello non hanno un sostituto d’imposta. Familiari a carico Con la modifica dell’art. 12 del TUIR sono state aumentate, a partire dal periodo d’imposta 2013, l’ammontare delle detrazioni attualmente riconosciute per i familiari a carico, in particolare: – da 800,00€ si passa a 950,00 € per ciascun figlio; – da 900,00€ si passa a 1.220,00 € per ciascun figlio di età inferiore a 3 anni; – gli attuali 220,00€ diventano 400,00 € quale importo aggiuntivo per ogni figlio portatore di handicap. Redditi dei terreni A partire dall’anno d’imposta 2013 sono state aumentate le percentuali di rivalutazione per i redditi dei terreni: il reddito domenicale e quello agrario dovranno essere ulteriormente rivalutati del 15%. Tuttavia, l’ulteriore rivalutazione sarà applicata nella misura del 5% per i terreni agricoli e quelli non coltivati se posseduti e condotti da coltivatori diretti e imprenditori agricoli professionali, iscritti alla previdenza agricola. In tema di locazione La tassazione del reddito imponibile derivante dal possesso degli immobili nell’anno d’imposta 2013 presenta tre novità: – Cedolare Secca – La tassazione del reddito da locazione relativo agli immobili locati, con contratto a canone concordato, e per i quali il locatore ha optato per la tassazione con l’applicazione della cedolare secca avverrà con assoggettamento del 100% del canone annuo all’aliquota del 15%, in luogo di quella che fino al 2012 era stata del 19%. – Riduzione forfettaria del canone di locazione – La legge di stabilità per il 2013 ha previsto una riduzione della percentuale di abbattimento dei canoni di locazione che dal 15% passa al 5%. Ciò vuol dire che ai fini IRPEF non sarà più imponibile, e quindi tassabile, l’85% del canone annuo ma il 95% del canone annuo, che sarà assoggettato ad aliquota marginale del contribuente. – Immobili abitativi non locati situati nello stesso Comune dell’abitazione principale – La legge di stabilità per il 2014 ha previsto che dall’anno 2013 il reddito degli immobili situati nello stesso Comune dove è posto anche l’immobile adibito ad abitazione principale, anche se assoggettati ad IMU, concorrono a formare la base imponibile sia ai fini Irpef che delle relative addizionali regionali e comunali nella misura del 50% del valore della rendita catastale rivaluta del 5%, e aumentata di 1/3. Questo significa che, se fino all’anno d’imposta 2012 l’immobile tenuto a disposizione con l’assoggettamento all’IMU non doveva più essere sottoposto ad ulteriore tassazione, a partire dal 2013 inizierà a scontare, anche se solo in parte, la tassazione anche ai fini Irpef e delle relative addizionali. Redditi da lavoro Con la legge di stabilità per il 2013 sono state previste due proroghe per quel che riguarda il reddito di lavoro dipendente e assimilati: – Agevolazione Irpef per lavoratori frontalieri – Per i redditi dei contribuenti residenti in Italia che svolgono l’attività di lavoro dipendente fuori dal territorio italiano in zone di frontiera e in altri paesi limitrofi è prevista la possibilità di assoggettare a tassazione solo la parte del reddito che eccede € 6.700,00. – Premi di produttività – anche per il 2013 è stata prorogata la detassazione dei premi di produttività, tenendo presente che il reddito imponibile che può essere assoggettato ad imposta sostitutiva per l’anno 2013 non può essere superiore a 2.500,00 € e che il reddito di lavoro dipendente per l’anno 2012 dovrà essere stato al massimo pari a € 40.000,00. Un’altra novità di rilievo è legata agli assegni corrisposti ai Ministri del Culto: è stato equiparato ai redditi di lavoro dipendente l’assegno corrisposto ai Ministri del Culto appartenenti sia all’unione Buddhista italiana che all’unione Induista italiana. Inoltre, sempre a partire dal 2013 le suddette Unioni concorreranno alla ripartizione della quota dell’8 per mille. Attività sportive Segnaliamo una interpretazione dell’Agenzia delle Entrate (Risoluzione Ministeriale n. 106/2012) secondo la quale i compensi derivanti dall’esercizio di attività sportive dilettantistiche eccedenti la soglia dei 7.500,00 € devono essere assoggettati oltre che all’Irpef ed all’addizionale regionale anche all’addizionale comunale. Oneri detraibili Altre importanti novità riguardano il quadro degli oneri detraibili. Detrazioni per i premi delle polizze assicurative Con il c.d. “Decreto Imu” è stata disposta, a decorrere dall’anno d’imposta 2013, la riduzione da € 1.291,41 a € 630,00 della somma fiscalmente rilevante dei premi pagati sia per i contratti stipulati o rinnovati fino al 31 dicembre 2000, per le assicurazioni sulla vita e contro gli infortuni, che per i contratti stipulati o rinnovati a partire dal 1° gennaio 2001, per le assicurazioni aventi per oggetto il rischio di morte, d’invalidità permanente superiore al 5 per cento (da qualunque causa derivante), di non autosufficienza nel compimento degli atti quotidiani. Detrazione d’imposta del 24% È stata introdotta una nuova detrazione d’imposta del 24% di cui potranno beneficiare coloro che effettuano un’erogazione liberale in denaro in favore dei partiti politici e dei movimenti politici che abbiano presentato liste o candidature elettorali all’elezioni per il rinnovo della Camera dei deputati o del Senato della Repubblica o dei membri del Parlamento Europeo spettanti all’Italia, oppure che abbiano almeno un rappresentante eletto a un consiglio regionale o ai consigli provinciali di Trento e Bolzano. Per il 2013 vi sono, però, dei limiti per poter usufruire della suddetta detrazione ovvero un limite minimo di € 50.00 e un limite massimo pari a € 10.000,00; ciò vuol dire che per la parte che eccede i 10.000,00 € non sarà riconosciuta alcuna detrazione. Detrazione per gli interventi di recupero del patrimonio edilizio Con il c.d. “decreto energia” è stata disposta la proroga al 31 dicembre 2013 della detrazione Irpef del 50% per le spese relative ad interventi di recupero del patrimonio edilizio, per un ammontare massimo complessivo delle spese agevolabili pari a 96.000,00€ per ogni unità immobiliare. Rimangono invariate le regole così come previste per l’anno d’imposta 2012: la ripartizione dell’ onere detraibile spettante deve essere suddivisa in 10 anni, anche da parte dei contribuenti che hanno già compiuto 75 o 80 annidi età, poiché non è più prevista la possibilità di ripartire la detrazione, rispettivamente in 5 o 3 quote annuali. La proroga della detrazione del 50% e del nuovo limite di € 96.000,00, riguarda sia il caso di acquisto o assegnazione di unità immobiliari facenti parte di un edificio interamente sottoposto ad interventi di restauro e risanamento conservativo (eseguiti da imprese di costruzione o ristrutturazione immobiliare o da cooperative edilizie), che gli interventi effettuati sulle parti comuni degli edifici a prevalente destinazione residenziale. Un’altra novità riguarda l’introduzione della possibilità di poter detrarre dall’Irpef il 65% delle spese effettuate, nell’anno 2013 e fino ad un tetto massimo di 96.000,00 €, per interventi finalizzati all’adozione di misure antisismiche, art. 16 bis, comma 1, lett.i, se le stesse sono effettuate su edifici situati in zone sismiche caratterizzate da un’alta pericolosità, riferite a costruzioni adibite ad abitazioni principali o ad attività produttive. Detrazione per interventi di risparmio energetico Per quanto riguarda la detrazione riconosciuta agli interventi di riqualificazione energetica degli immobili è stata prevista oltre alla proroga per tutto il 2013, anche un aumento della percentuale detraibile che dal 55% passa al 65%; anche in questo caso la detrazione deve essere ripartita obbligatoriamente in 10 anni. Tutto il resto è rimasto invariato rispetto all’anno 2012. Bonus Arredi Sempre con il c.d. “Decreto Energia” è stato nuovamente introdotto un incentivo per l’acquisto di mobili e arredi e di grandi elettrodomestici di classe energetica “A+” (“A” per i forni) o superiore. In particolare, ai contribuenti che fruiscono della detrazione per interventi di recupero del patrimonio edilizio di cui all’art. 16-bis del Tuir, è riconosciuta una detrazione del 50% sulle spese sostenute per l’acquisto dei beni, come sopra individuati, destinati all’arredo dell’immobile oggetto dell’intervento di ristrutturazione edilizia. Il limite massimo di spesa è stato posto pari a € 10.000,00, e la detrazione deve essere suddivisa in dieci anni. Per questo tipo di intervento, l’Agenzia delle Entrate ha precisato con la circolare n.29/E che il pagamento della spesa può essere effettuato, oltre che con bonifico bancario/postale (contenente, come di consueto la causale del versamento, il codice fiscale del beneficiario della detrazione e la partita iva/codice fiscale del fornitore), anche mediante l’utilizzo di carte di credito/debito.

IMU, TASI… Ma è sempre il solito prelievo sulla casa

Il Governo è cambiato, ma sul tema della pressione immobiliare sugli immobili la musica è la stessa: il Governo Renzi ha decretato l’aumento delle aliquote massime per la TASI già decise dal Governo Letta, d’accordo con i Comuni. Ciò che pensiamo dell’insieme della manovra fiscale sulla casa lo abbiamo già detto a chiare lettere nell’editoriale che apre questo numero del nostro giornale. Vogliamo solo ribadire con forza l’enormità del prelievo a cui verosimilmente si troveranno a far fronte i proprietari che affittano abitazioni, ma anche immobili destinati ad uso produttivo o di servizio. Arrivare, su base annua, ad un prelievo dell’1,14 sul valore (ampiamente rivalutato) dell’immobile costituisce una mannaia che non mancherà di esercitare effetti significativi sul mercato delle compravendite e delle locazioni. La palla ora è chiaramente in mano ai Comuni che hanno un ruolo decisivo in questa partita. I Comuni hanno infatti ampia libertà di modulare le aliquote, pur nel contesto di una forbice predeterminata. Quanto effettivamente sarà dovuto da ogni singolo contribuente dipenderà dalla aliquota decisa dalla singola Amministrazione comunale per le diverse tipologie di immobile. E’ evidente che le iniziative della nostra associazione dovranno necessariamente manifestarsi a livello locale. Ai sindaci va chiesto che la chiusura dei bilanci sia affidata ad effettivi risparmi di spesa e non all’aumento sconsiderato della pressione fiscale. (A.Z.) CHI PAGA? Sono 19,5 milioni le abitazioni principali che nel 2014 pagheranno la TASI. Solo per alcuni immobili rimane fermo il doppio tributo, e alla TASI si affianca l’IMU: sono le abitazioni di categoria catastale A/1, A8 e A/9 (dimore signorili, ville, castelli). L’accoppiata IMU-TASI vale anche per seconde case, uffici, negozi, laboratori, ecc. L’IMU è a carico dei proprietari. La TASI, qualora l’immobile sia affittato, sarà pagata anche dagli inquilini in una misura decisa dai Comuni non inferiore al 10% e non superiore al 30%. La base di calcolo è la stessa per IMU e TASI: la rendita catastale, rivalutata del 5%, moltiplicata per un coefficiente fisso che per le abitazioni principali è uguale a 160. IL DEDALO DELLE ALIQUOTE Per le abitazioni principali l’aliquota base è lo 0,1 %, ma può arrivare fino allo 0,33% sulla base dell’ultimo aumento disposto dal Governo che stabilisce anche un limite per abitazioni di categoria A/1, A/8,A/9: per queste tipologie di immobili la somma di IMU e TASI non può superare lo 0,68 % (con una detrazione pari a 200 euro) Il Governo ha stabilito anche che per tutti gli altri immobili che pagano anche l’IMU la somma delle due aliquote non debba superare l’1,12%. Non sono previste per la TASI esenzioni e detrazioni certe. I Comuni che applicano la maggiorazione delle aliquote recentemente disposta dal Governo (con il tetto stabilito allo 0,8 per mille) devono riversare queste somme in corrispondenti detrazioni a favore delle categorie che beneficiavano di esenzioni o detrazioni nel vecchio regime IMU.

Condominio, le novità del dopo riforma

La riforma del condominio ha subito una prima “messa a punto” in occasione della pubblicazione del decreto legge detto “Destinazione Italia” (D.L. 145 del 23.12.13), messa a punto parzialmente corretta in occasione della conversione in legge di tale decreto, avvenuta il 21 febbraio scorso con la Legge 9 del 21.02.14. Alcuni tra i cambiamenti sono stati ampiamente auspicati da molti tra gli operatori del settore, altri hanno destato alcune perplessità; tutti sono intervenuti su alcuni tra gli aspetti maggiormente innovativi della riforma, per cui è importante considerarli con attenzione. Sanzioni La riforma del condominio ha previsto l’adeguamento delle sanzioni per la violazione delle norme contenute nel regolamento di condominio, rendendole molto più elevate. La modifica ora introdotta alla riforma del condominio dispone che le sanzioni siano deliberate dall’assemblea con la maggioranza degli intervenuti e almeno la metà dei millesimi. Il provvedimento sanzionatorio necessita, quindi, di una preventiva deliberazione e non potrà essere disposto autonomamente dall’amministratore. Si tratta di un chiarimento importante, anche se la sanzione doveva essere comunque prevista dal regolamento di condominio, che, di conseguenza, doveva quindi essere adeguato con una delibera a maggioranza. Anagrafe condominiale Secondo la legge di riforma del condominio, che ha introdotto tale registro, tra i dati da inserire vi rientravano anche quelli che “riguardano le condizioni di sicurezza” delle unità immobiliari. Il problema interpretativo che si era aperto riguardava il riferimento alla sicurezza degli impianti domestici particolarmente pericolosi oppure più in generale all’abitabilità dell’unità immobiliare. Per risolvere tale questione interpretativa, si è deciso di proporre una versione ridotta del registro: l’obbligo di reperire i dati sulla sicurezza si riduce ora alle sole parti comuni, escludendo tutte le parti esclusive, per cui i condòmini sono esonerati dal fornire la dichiarazione sulla sicurezza del singolo appartamento e, di conseguenza, l’amministratore non è più obbligato a richiedere tali dati. Occorre però ricordare che il vigente DM 37/08 e la precedente L 46/90 dettagliano circostanze, condizioni, tempi e modi del rilascio, ove necessario, delle certificazioni di conformità, di cui gli impianti potrebbero dover essere comunque dotati, a prescindere dalla necessità di dare informazioni all’amministratore al riguardo. Il decreto “Destinazione Italia” e la sua legge di conversione non introducono infatti modifiche alle norme relative alla sicurezza impiantistica. Risparmio energetico Il decreto “Destinazione Italia” aveva eliminato il riferimento contenuto nel “nuovo” Codice Civile che prevedeva maggioranze speciali per le innovazioni utili al risparmio energetico. In tal modo, tutte le opere volte al risparmio energetico non sarebbero più rientrate tra le innovazioni “socialmente rilevanti” e si sarebbe applicata solo la maggioranza indicata dall’articolo 26 comma 2 della legge 10/91, norma modificata anch’essa dalla legge di riforma del condominio: approvazione con il voto favorevole della maggioranza degli intervenuti in assemblea che rappresentino almeno un terzo dei millesimi delle sole opere la cui efficacia per il risparmio energetico fosse certificata da un attestato di certificazione energetica o da una diagnosi energetica. Per tutte le innovazioni pur potenzialmente utili al risparmio energetico, ma non “certificate”, l’approvazione sarebbe avvenuta con il voto favorevole dei partecipanti all’assemblea in rappresentanza di 2/3 dei millesimi. La legge di conversione del decreto ha soppresso tale cambiamento e si torna quindi al regime delle maggioranze di cui alla riforma del condominio senza alcun correttivo. In questo caso, la riforma del condominio contiene un probabile errore, perchè il “nuovo” testo dell’art 26 comma 2 della L 10/91 modificato proprio dalla legge di riforma del condominio dispone una maggioranza (maggioranza intervenuti + 1/3 dei millesimi), mentre il parimenti “nuovo” art. 1120 Cod Civ ne dispone un’altra (maggioranza intervenuti + metà dei millesimi) per lo stesso tipo di interventi. Ma quello che verosimilmente era un errore, come appare dalla storia parlamentare della norma, si era tradotto in una disposizione tutto sommato opportuna, di cui la legge di conversione del decreto “Destinazione Italia” ha preso atto. La maggioranza minore deve infatti intendersi relativa ad interventi la cui efficienza ai fini del risparmio energetico è certificata da una valutazione tecnica, mentre quelli per cui tale documento non sia stato predisposto possono essere deliberati con una maggioranza più gravosa (approvazione con il voto favorevole della maggioranza degli intervenuti in assemblea in rappresentanza di almeno 500 millesimi), ma comunque inferiore a quella tipica per le innovazioni. Formazione professionale In questo caso, si prevede che un regolamento emanato dal Ministero della Giustizia fisserà i requisiti necessari per esercitare l’attività di formazione dell’amministratore di condominio ed i criteri, i contenuti e le modalità di svolgimento dei corsi. Il futuro regolamento provvederà sia all’individuazione dei soggetti legittimati ad esercitare l’attività di formazione, che alla definizione delle modalità standard della formazione medesima. Lo stesso vale per l’aggiornamento professionale degli amministratori di condominio. Una modifica di questo tipo, auspicata da molti in nome della qualità della formazione professionale, crea però alcuni problemi: innanzitutto, come è noto, i regolamenti di attuazione nel nostro Paese sono emessi in maniera tutt’altro che celere. Inoltre il quadro normativo che risulta dal combinato disposto della L 220/2012 di riforma del condominio e della L. 4/2013 sulle professioni non regolamentate da ordini professionali era già piuttosto chiaro e completo e rimandava alle associazioni di categoria la responsabilità di certificare la formazione dell’amministratore, graduando le proposte formative. In attesa del decreto del Ministero della Giustizia, non resta che prendere atto che la formazione professionale certificata dalle associazioni di categoria iscritte nell’albo tenuto presso il Ministero dello Sviluppo Economico è da ritenersi ad oggi comunque valida in applicazione della L 4/2013, pur avendo contenuti non necessariamente uniformi. Fondo per lavori straordinari Questa norma della Legge di riforma è stata molto contestata perché veniva letta come se imponesse all’amministratore di richiedere a tutti i condomini di anticipare l’intero importo delle opere di manutenzione straordinaria. Ad avviso di molti interpreti, si deve ritenere però che il legislatore avesse solo inteso richiedere una contabilità separata per le opere in questione, a cui veniva data effettiva concretezza con la predisposizione di un fondo, le cui risorse, costituite con i versamenti dei condomini secondo le scadenze disposte dall’assemblea, non potevano essere utilizzate per altre necessità di spesa. Un’interpretazione più severa non trova infatti riscontro nel testo della legge e d’altra parte non si tratta di una pura formalità contabile. La costituzione del fondo e la sua autonomia amministrativa consente infatti all’amministratore di adempiere, se necessario, al disposto dell’art. 63 Disp. Att. Cod. Civ. che impone all’amministratore medesimo di comunicare ai fornitori insoddisfatti, che lo richiedano espressamente, i dati dei condomini morosi, dati che si possono ricavare con precisione proprio dalla contabilità separata, appositamente predisposta e dai movimenti contabili dei singoli condomini in essa puntualmente registrati. La modifica introdotta dal decreto “Destinazione Italia” prevede ora che il fondo possa considerarsi costituito gradualmente se i lavori devono essere eseguiti in base a un contratto che prevede il pagamento progressivo a stato di avanzamento lavori. Quindi, di fatto, l’obbligo sarebbe di avere in cassa il denaro occorrente alle scadenze del pagamento dell’impresa. Questo significa che, in sede di perfezionamento del contratto, l’impresa ed il condominio saranno liberi di definire le modalità di pagamento. Ne consegue che il fondo può essere costituito del tutto validamente solo in misura pari all’importo preventivabile, basandosi su un computo metrico.

Catasto, la Riforma tra attese e timori

E’ prossima a tagliare il traguardo la legge delega in materia fiscale che detta le norme per la riforma del catasto. Riforma attesa ed al tempo stesso temuta da parte dei proprietari di immobili: attesa, perché l’introduzione dell’IMU, con le conseguenti rivalutazioni automatiche delle rendite catastali, ha messo in viva luce le sperequazioni insite negli attuali meccanismi; temuta per il rischio che la riforma porti con sé aumenti generalizzati della tassazione. A questo proposito Asppi ed altre associazioni si sono battute affinché uno dei principi di fondo della Legge Delega venisse mantenuto ben saldo: la riforma deve produrre perequazione, ma deve fondarsi sull’invarianza fiscale; tale invarianza deve essere effettivamente misurabile e controllabile a livello comunale e deve produrre, in presenza di aumenti medi dei valori, un corrispondente abbassamento delle aliquote. Sarà nostro dovere vigilare affinché questo punto basilare della riforma sia rispettato nei Decreti Legislativi che dovranno sancirne l’applicazione. Il nuovo catasto porterà per ogni immobile, in relazione alla zona di mercato in cui sarà inserito, la determinazione di due valori: un valore patrimoniale (novità assoluta) che orienterà la tassazione delle transazioni e un valore reddituale (che orienterà la tassazione sui redditi). Tali valori scaturiranno, per ogni immobile, dalla applicazione di funzioni statistiche che verranno determinate in precedenza e rese pubbliche. Abbiamo più volte espresso critiche ad un meccanismo che appare ferraginoso e complicato. La pubblicità, che deve essere obbligatoria, delle funzioni statistiche applicate è il frutto di una dura battaglia delle Associazioni per garantire trasparenza al meccanismo. La consistenza degli immobili sarà misurata in metri quadrati e non in vani e questo certo costituisce una misura di perequazione importante. Altra conquista fondamentale ottenuta nel confronto con il Parlamento é costituita dai meccanismi di tutela del contribuente previsti dalla Legge: essi non riguardano solo la pur importante presenza delle associazioni della proprietà (con i loro rappresentanti) nelle commissioni censuarie, ma soprattutto la possibilità per ogni contribuente di impugnare nel merito i valori attribuiti e non solo per ragioni di legittimità. Nasce quindi un catasto nel quale i valori si attribuiscono anche attraverso il contraddittorio delle parti e non solo in via autoritativa. Questi i contenuti fondamentali della Legge Delega. Come è noto però, dalla attuazione della Legge dovrà prendere corpo la concreta redazione dei Decreti Legislativi indispensabili per completare il processo. Il cammino sarà pieno di insidie ed occorrerà vigilare affinché i principi e le disposizioni della Legge non vengano contraddetti o addirittura stravolti. I tempi non saranno brevi. Occorreranno mesi per l’approvazione dei Decreti medesimi, e occorreranno poi 4 o 5 anni per attuare la concreta revisione dei valori catastali. Gli anni di riferimento per la determinazione dei valori saranno il 2011, 2012 e 2013 (anni che hanno segnato la caduta dei valori reali). Il Senato, infine, ha introdotto nella Legge un criterio teso a determinare regimi fiscali agevolati per immobili soggetti ad opere di adeguamento in materia di sicurezza, riqualificazione energetica ed architettonica di cui sarà giusto tenere conto nel prosieguo di questo processo.

La Legge Delega apre le porte al cambiamento

Rivoluzionare il sistema fiscale. È questo l’ambizioso obiettivo che si propone la Legge di Delega approvata dal Parlamente. Il provvedimento detta principi e direttive che il Governo dovrà attuare nei prossimi 12 mesi con una serie di Decreti Legislativi. Fra le novità la riforma del Catasto alla quale dedichiamo un apposito commento (vedi pag. 12). Innanzitutto la Legge si propone un obiettivo programmatico dichiarato esplicitamente: alla fine del processo la pressione fiscale sui contribuenti dovrà diminuire senza per questo comportare un aumento degli oneri per lo Stato. È del tutto evidente che questo obiettivo può essere conseguito solo con una efficace battaglia contro elusione ed evasione fiscale. Tante le novità in questo ambito di intervento. Le Agenzie Statali che si occupano di fisco dovranno periodicamente relazionare al Parlamento circa i risultati ottenuti nella lotta all’evasione e all’elusione e andranno rafforzate le misure tese a determinare un effettivo contrasto di interessi fra i contribuenti (sulla base dell’esempio positivo realizzato con le ristrutturazioni edilizie). La normativa si spinge fino a prevedere la detraibilità per gli scontrini fiscali. Ma non è tutto. I proventi derivanti dalla lotta all’evasione ed elusione dovranno confluire nell’apposito fondo per la riduzione della pressione fiscale. Una notizia che rende felici i contribuenti onesti. Viene inoltre configurato il reato di abuso del diritto che tende a colpire l’uso distorto di strumenti giuridici, con la sola finalità di abbassare il carico fiscale. Lo Stato dovrà dimostrare l’abuso mentre il contribuente dovrà eventualmente dimostrare che l’uso dello strumento giuridico in questione rispondeva ad altre, legittime, finalità. In ogni caso resta legittima la scelta di regimi fiscali alternativi espressamente prevista dalle norme. Altro criterio ispiratore della normativa è quello di rendere più semplici ed amichevoli i rapporti fra fisco e contribuenti mediante una serie di azioni innovative: – tutoraggio dei contribuenti previsto anche per le persone fisiche. – interpello preventivo con procedure abbreviata. – invio al contribuente di modelli pre-compilati della dichiarazione fiscale. – forme premiali per i contribuenti che aderiscono a queste forme di tutoraggio e di rapporto con il fisco. – rateizzazione più agevole dei pagamenti. – semplificazione degli adempimenti e revisione delle procedure adottate dai CAF. Perseguono questo principio di maggiore equità nel rapporto fisco-contribuente anche le disposizioni in materia di sanzioni: – razionalizzazione del sistema delle conciliazioni tributarie che si prevede di rafforzare. – predeterminazione e maggiore proporzionalità delle sanzioni penali riservate in modo particolare ai comportamenti fraudolenti e alla creazione di falsa documentazione. La Legge delega inoltre al Governo il compito di razionalizzare il sistema impositivo, in particolare prevedendo una armonizzazione della fiscalità sulle imprese e un disboscamento e una semplificazione dei cosiddetti tributi minori. Di particolare interesse dal punto di vista ambientale la possibilità di istituire tasse ecologiche (solo se compensate dalla riduzione di altre imposte). L’esplicita intenzione è quella di orientare il mercato anche attraverso l’uso della leva fiscale, favorendo comportamenti maggiormente sostenibili da parte di produttori e consumatori. Infine, vale la pena ricordare l’esplicita previsione contenuta nella Legge, di regimi fiscali agevolati per la messa in sicurezza degli immobili. Agevolazioni che riguarderebbero le opere messe in atto per adeguare l’immobile alla normativa in materia di sicurezza, riqualificazione energetica, riqualificazione architettonica. La Legge è stata approvata a larga maggioranza dopo un lunghissimo lavoro parlamentare. Ciò testimonia come i principi in essa contenuti siano largamente condivisi. Va però ancora una volta ricordato che le norme attuative dovranno essere previste da un insieme di Decreti che il Governo dovrà emanare. Solo dalla lettura di questi Decreti si potrà effettivamente capire se questi principi saranno rigorosamente rispettati. Occorrerà su questo esercitare una vigilanza attenta da parte del Parlamento, ma anche della società civile.

Guccini, da via Paolo Fabbri a Pavana

La casa è il rifugio degli affetti, e un luogo fondamentale per lo sviluppo di ogni persona, e di ogni famiglia. Su questo non ci piove, ed è patrimonio comune. Non di rado, però, la casa è anche qualche cosa di più: ispira artisti, guida le loro creazioni e, spesso, per loro è particolarmente importante perché chi vive quasi sempre fuori casa, tra un albergo e l’altro, tra tournée e presentazioni, considera particolarmente prezioso il momento in cui apre la porta della propria abitazione e finalmente può riposarsi. Tra questi, lo scrittore e cantautore Francesco Guccini, 73 anni, nato a Modena ma bolognese d’adozione e residente a Pavana (nell’Appennino pistoiese, poco dopo il confine con quello emiliano), è tra gli artisti la cui produzione letteraria è stata più condizionata dalla propria abitazione. Basti pensare che una delle sue canzoni simbolo, che ha dato titolo anche all’album in cui è stata pubblicata, si chiama “via Paolo Fabbri 43”, che è addirittura il suo indirizzo di casa a Bologna, dove era andato ad abitare all’inizio degli anni Settanta. Una casa da cui usciva e rientrava solo a tarda notte, spesso accompagnato dagli amici. Ma la casa è un tema che rientra spesso nelle canzoni di Guccini: in “Piccola città”, dove racconta il suo rapporto di amore/odio per Modena, si ritrovano “le pietre sconosciute e le case diroccate da guerra antica” intorno a via Cucchiari 22, dove era nato. In “Il pensionato”, racconta del rapporto con un vicino di casa a Bologna, in una casa con le pareti sottili (“Lo sento da oltre il muro che ogni suono fa passare”), incontrato al mattino presto quando Guccini torna a casa dalla notte in osteria e l’anziano già è alzato (“Lo sento quando torno stanco e tardi alla mattina, aprire la persiana, tirare la tendina”) Ancora più netto il suo rapporto con il “mattone” in Radici, canzone intimista in cui cercando appunto di ritrovare il suo legame con gli avi (l’album in copertina mette non a caso una foto di famiglia), il cantautore arriva appunto a concludere “La casa è come un punto di memoria”. Non è quindi un caso se negli ultimi quindici anni, ormai persi molti punti di riferimento a Bologna, Guccini è tornato a Pavana, appunto dove stanno le sue radici. Addirittura, l’album con cui ha chiuso la sua carriera discografica, “L’ultima Thule”, è stato inciso nel mulino di famiglia, in quel paesino dell’Appennino pistoiese in cui conosce tutti e tutti lo conoscono, con le stanze trasformate, per qualche settimana in sala di registrazione.