Sanzioni per i locatori non in regola con la registrazione del contratto

Pubblicata il: 17 Aprile 2014

La Legge n. 80 del 23 maggio 2014 (G.U. del 27.5.14) ha convertito, con modifiche e integrazioni di un certo peso, il Decreto Legge n. 47/2014, il cosiddetto “decreto casa”. In particolare, per quello che qui ci occupa, è stata inserita all’ultimo momento (non era presente infatti nel testo del decreto) una “normetta” (comma 1ter dell’art. 5) la quale fa salvi (fino al 31 dicembre 2015) gli effetti dei contratti registrati sulla base della disciplina di cui all’art. 3, commi 8 e 9 del Decreto Legislativo 23/2011. Come sapete, detto articolo 3 prevedeva una disciplina sanzionatoria per il locatore che affittava in nero o parzialmente in nero o con contratti di comodato fittizi ovvero registrava in ritardo, con paralleli e significativi vantaggi premiali per il conduttore che tale situazione avesse denunziato all’Agenzia Entrate. In pratica, dal giorno della “delazione” presso gli Uffici delle imposte, al conduttore era riconosciuto ex lege un contratto di 4 + 4 anni al canone anno pari al triplo della rendita catastale dell’immobile occupato. Ebbene, detta disciplina (art. 3 commi 8 e 9 D.Lgs 23/2011) era stata dichiarata costituzionalmente illegittima, con effetto retroattivo, dalla Corte Costituzionale con sentenza n. 50 del 14 marzo 2014 (pubblicata in G.U il 19 marzo 2014). Ora però, grazie al comma sopra riportato, continua, per un certo periodo, a sopravvivere. Cosa significa, in fatto e in diritto? In punto di fatto significa che tutti coloro che (inquilini s’intende) hanno denunciato prima del 14 marzo 2014 l’esistenza di un contratto di locazione in nero, o parzialmente in nero, o di un comodato fittizio, ovvero di un contratto non in nero ma registrato oltre il trentesimo giorno dalla stipula, hanno diritto di godere, almeno fino al 31 dicembre 2015, del canone stabilito dalla norma dichiarata incostituzionale, ovvero di un canone annuo pari alla rendita catastale dell’immobile moltiplicata per tre. In diritto, significa semplicemente che una legge, benché dichiarata incostituzionale dalla Corte, continua a spiegare i suoi effetti. È evidente che siamo in presenza di una mostruosità giuridica: una legge incostituzionale non dovrebbe essere resuscitata. Il dibattito politico che ha portato a partorire questa anomalia in realtà è stato animato soprattutto dal fatto che la sentenza della Corte ha sì pronunziato l’illegittimità costituzionale dell’art. 3 D. Lgs 23/2011 ma, fondamentalmente, solo per eccesso di delega (cioè esorbitava dai poteri legislativi conferiti dal Parlamento al Governo per disciplinare una certa materia). Il che, secondo alcuni commentatori, avrebbe potuto far emergere a quel punto un provvedimento legislativo ex novo il quale, senza valicare il perimetro di una legge delega avrebbe ben potuto normare situazioni analoghe senza la paura di incorrere nella sanzione di incostituzionalità. In altre parole, secondo alcuni, visto che le norma non era stata dichiarata illegittima per violazione dei principi costituzionali di uguaglianza, libertà, proprietà e autonomia privata, il Parlamento avrebbe potuto licenziare un provvedimento analogo a quello dichiarato illegittimo, senza che questo potesse incorrere nuovamente sotto la scure della Corte. Tuttavia, non possiamo non esprimere alcune perplessità. Possiamo capire l’esigenza di dare tutela a coloro i quali, nella vigenza di una disposizione di legge, a tale disposizione si sono attenuti. Sarebbe stato tuttavia molto più lineare, per questioni anche di giustizia sociale, se si vuole, semplicemente dire che a far tempo dalla pubblicazione della sentenza della Corte, perdeva di valore la registrazione effettuata dal conduttore. Si è invece preferito – ed è questa la cosa davvero incomprensibile, perché non poggia su nessuna base giuridicamente solida – riconoscere una tutela ai conduttori ancora più allargata (21 mesi). Il nostro legislatore non è peraltro del tutto nuovo a tali acrobazie giuridiche. Il famoso art. 7 della L. 431/98 imponeva al locatore di provare al Giudice di aver pagato IRPEF e ICI pena l’impossibilità di eseguire lo sfratto. Intervenne nel 2001 la Corte Costituzionale la quale sancì l’illegittimità costituzionale della norma. Il collegato alla legge finanziaria per l’anno 2005 introdusse allora un comma che impose la registrazione del contratto quale condizione necessaria per la validità del contratto (e quindi per promuovere azione di sfratto). Molti, anche all’interno dell’ASPPI, espressero le loro perplessità: una cosa è il pagamento delle tasse e il mio status di contribuente, un’altra è il mio rapporto con il conduttore che non paga l’affitto. Tant’è. Resta dunque il fatto, assai grave: che la legge continua a togliere valore e senso alla volontà negoziale liberamente manifestata dalle parti (ovvero: non vale niente quello che le parti scrivono e sottoscrivono); che il locatore e il conduttore, benché obbligati solidali al pagamento dell’imposta di registro, godono di trattamenti diametralmente opposti (il secondo viene premiato se registra in ritardo, mentre il primo viene sanzionato); che, infine, per altro verso, dal punto di vista squisitamente fiscale, lo Stato non ci guadagna ma ci perde in termini di gettito. Infatti chi si trova nelle condizioni di cui sopra dichiarerà, fino al 31 dicembre 2015, un reddito molto più basso e dunque pagherà meno tasse. Un bel successo.

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