di Antonio Romano
Pubblicata il: 13 Ottobre 2015
Ogni condomino attento alla gestione del suo patrimonio immobiliare lo sa: dopo la riforma del condominio l’amministratore deve avere alcuni requisiti. Non tutti possono quindi svolgere l’attività di amministratore di condominio, soprattutto se intendono svolgere professionalmente tale attività. I requisiti di cui parla la legge sono: • di carattere personale; • morali; • di carattere professionale; Del primo dei requisiti fa parte la previsione del godimento dei diritti civili. Del secondo dei requisiti fa parte la previsione di: • non aver subito condanne per reati contro il patrimonio, la pubblica amministrazione, la fede pubblica, • non aver subito condanne per reati non colposi puniti con una pena non inferiore a 2 anni nel minimo e 5 anni nel massimo (si tratta ad esempio del reato di truffa, appropriazione indebita e molti altri); • non deve aver subito misure di prevenzione divenute definitive; • non essere stato interdetto o inabilitato e non aver subito protesto. Del terzo dei requisiti fa parte la previsione di: • avere conseguito un diploma di scuola secondaria di secondo grado, se non ha esercitato la professione di amministratore per almeno un anno dei tre anni precedenti l’entrata in vigore della riforma e se non è condomino nello stabile che amministra; • aver frequentato un corso di formazione iniziale, se non ha esercitato la professione di amministratore per almeno un anno dei tre anni precedenti l’entrata in vigore della riforma e se non è condomino nello stabile che amministra. In ogni caso, salvo sia lui stesso un condomino tra coloro che fanno parte dello stabile che amministra, deve curare la propria formazione periodica. La legge quindi ha impostato un meccanismo che fa discutere: se l’attività di amministratore è svolta professionalmente, occorre avere un titolo di studio, aver seguito un corso di formazione iniziale e curare il proprio aggiornamento periodico, ma se il condominio sceglie di farsi gestire da uno dei condomini, questi non è tenuto nè ad essere adeguatamente formato nè ad essere aggiornato. Si tratta, in effetti, di un paradosso, perchè, in ogni caso, non vengono meno le incombenze e le responsabilità dell’amministratore, da nessun punto di vista, nemmeno nel caso in cui lo stabile gestito fosse un condominio minimo di pochi condomini. Se la mancanza di nomina dell’amministratore non sottrae il condominio dalle incombenze fiscali, come pure da ogni altra responsabilità – ad esempio conseguente ai danni provocati dai beni comuni, come pure conseguente all’applicazione della normativa sulla sicurezza nei luoghi di lavoro – il conferimento del mandato di gestione ad un soggetto specificamente individuato come amministratore determina in capo a tale soggetto l’assunzione di una serie di incombenze e di responsabilità che non trovano alcuna attenuazione per effetto della circostanza che si tratti di un condomino “diligente” e non di un professionista. Questi, quindi, si espone a gravi rischi di cui potrebbe non avere contezza e l’eventuale gratuità della prestazione resa a favore del condominio lo esonera da tali rischi solo in maniera marginale. Nessuno sconto invece viene fatto dalla legge per quanto riguarda i requisiti di onorabilità. Nella formulazione originaria, la legge di riforma del condominio non aveva previsto i contenuti della formazione iniziale e dell’aggiornamento, ma una parziale “riforma della riforma“ contenuta nel Decreto Legge cosiddetto “Destinazione Italia” entrato in vigore circa sei mesi dopo la riforma del condominio, ha previsto che fosse il Ministero della Giustizia a dettagliare i contenuti della formazione iniziale e continua. Il Ministero ha infatti poi provveduto con il DM 140/2014 ed attualmente è previsto un programma di studi piuttosto dettagliato, che comprende anche materie trasversali (come ad esempio la sicurezza statica degli edifici, il risparmio energetico, la sicurezza degli impianti tecnologici, la prevenzione incendi), una durata minima dei corsi (72 ore per la formazione iniziale, 15 ore per l’aggiornamento), la presenza di un responsabile scientifico e di docenti qualificati. E se comunque venisse nominato un amministratore privo dei requisiti previsti dalla legge? Se l’amministratore non ha i requisiti di carattere morale o comunque li perde, cessa dall’incarico: così dispone infatti l’art 71 bis Disp Att Cod Civ. In tale evenienza, ciascun condomino può convocare “senza formalità” l’assemblea per la nomina del nuovo amministratore. E’, in pratica, un’ipotesi di decadenza immediata dall’incarico, per il solo venire meno dei requisiti obbligatoriamente previsti. La dicitura “senza formalità” contenuta nell’art 71 bis Disp att Cod Civ pare doversi intendere con riferimento all’art 66 Disp Att Cod Civ: in pratica, fermo l’obbligo di convocare tutti i condomini con regolare avviso scritto inviato secondo le modalità previste dalla legge, la disposizione esonera solo dall’invio della preliminare richiesta all’amministratore di convocare l’assemblea ed attendere poi il decorso di 10 giorni per poter procedere autonomamente alla convocazione. L’art. 71 bis Disp Att Cod Civ nulla dispone, invece, in caso di mancanza originaria dei requisiti relativi al grado di istruzione secondaria o di mancanza di formazione iniziale come pure di inottemperanza all’obbligo di aggiornamento professionale. Nello specifico, la perdita o la mancanza all’origine dei requisiti di formazione o aggiornamento non determina la cessazione “automatica” dall’incarico, come avverrebbe per la perdita dei requisiti di tipo “morale”. Anche un solo condomino, però, può determinarsi ad avviare il procedimento di revoca giudiziale previsto dall’art 64 Disp Att Cod Civ. L’assemblea, peraltro, non avrebbe la possibilità di assumere una decisione contraria alla legge, come accadrebbe nel caso in cui ritenesse di conferire o confermare nell’incarico un amministratore che non avesse uno dei requisiti obbligatori: la delibera sarebbe annullabile, ma nulla vieta comunque ad un condomino “diligente” di promuovere il meccanismo di revoca di cui sopra. Proposto ricorso per la revoca giudiziale dell’amministratore, il Tribunale provvede in camera di consiglio, con decreto motivato, sentito l’amministratore in contraddittorio con il ricorrente. In ultimo, osserviamo che l’amministratore può rinunciare all’incarico, senza necessità di precisarne le ragioni, anche prima della scadenza annuale. Le dimissioni determinano la cessazione del mandato dal momento in cui sono comunicate all’assemblea. Non occorre alcuna forma di accettazione da parte dei condomini: l’assemblea ha solo il diritto di pretendere la consegna di tutta la documentazione amministrativa riguardante il condominio in possesso dell’amministratore. In ogni caso di cessazione dall’incarico, prima della riforma del condominio, si riteneva che l’amministratore cessato continuava ad esercitare i propri poteri nell’ambito di un regime di proroga i cui limiti non sono stati mai ben definiti. La riforma ha invece previsto che alla cessazione dall’incarico l’amministratore potrà eseguire solo le attività urgenti al fine di evitare pregiudizi agli interessi comuni, senza peraltro diritto ad ulteriori compensi (art 1129 comma 8 Cod Civ). Lo stesso amministratore, in caso di dimissioni, potrà chiedere al Tribunale la nomina di un nuovo amministratore ove i condomini siano più di otto.