di Maria Carmen Consolini
Pubblicata il: 13 Ottobre 2015
A poco più di un anno di distanza dalla creazione del Fondo destinato agli inquilini morosi incolpevoli occorre fare un primo bilancio sulla effettiva applicazione di questo istituto. Come si ricorderà (si veda il n. 2/2014 di questa rivista, pag.18) la nuova figura della c.d. “morosità incolpevole”, introdotta per la prima volta dal D.L. 102/2013 (sul sostegno alle politiche abitative) convertito nella legge 28.10.2013 n. 124 e meglio delineata con il D.L. 28.03.2014 n. 47 (c.d. Piano Casa) convertito in legge n. 80/2014 del 24.05.2014, prevedeva lo stanziamento di nuove risorse da parte dello Stato per far fronte all’emergenza sociale della morosità involontaria degli inquilini e delle migliaia di sfratti che ne sono la conseguenza. Nel fondo di cui sopra vengono convogliati contributi statali da erogarsi alle Regioni, che vi aggiungono ulteriori risorse e li distribuiscono a loro volta ai singoli Comuni. La distribuzione dei fondi viene fatta in base al numero di sfratti intimati in ogni regione e in ogni comune. I Comuni provvedono a distribuire le risorse ricevute sulla base di appositi bandi e graduatorie. Ogni comune ha approvato i propri regolamenti in materia (prevedendo bandi a cadenze periodiche) in modo autonomo, pur rispettando i principi generali e i limiti posti dal decreto ministeriale attuativo del 14.05.2014. In genere tutti comuni hanno previsto la possibilità di erogare il contributo (che va ai locatori) nei casi indicati dall’art. 5 del decreto e cioè: • nel caso di sottoscrizione con il locatore di un nuovo contratto con canone concordato. In questo caso il contributo per il locatore è previsto in misura diversa da comune a comune; • nel caso in cui la ridotta capacità economica del conduttore non gli permetta di versare il deposito cauzionale di 3 mesi per stipulare un nuovo contratto per un altro alloggio. In questo caso il contributo a copertura del deposito cauzionale viene erogato al nuovo locatore; • nel caso in cui il locatore sia disponibile a differire l’esecuzione del provvedimento di rilascio fino al reperimento da parte dell’inquilino di un altro alloggio, per lo più tramite Agenzie sociali per l’affitto all’uopo delegate dal Comune. Anche in questo caso l’incentivo per il locatore varia, anche sensibilmente, da comune a comune, ma in genere corrisponde al canone di locazione moltiplicato per ogni mese di differimento, con il limite massimo di 8.000 euro. Successivamente il Comune comunica l’elenco dei soggetti destinatari dei contributi alle Prefetture, per “le valutazioni funzionali all’adozione delle misure di graduazione programmata dell’intervento della forza pubblica nell’esecuzione dei provvedimenti di sfratto” e permettere l’accompagnamento sociale dei soggetti sottoposti allo sfratto verso un altro alloggio. L’istanza per l’accesso ai contributi spetta solo al conduttore e non al locatore. Statisticamente, l’ipotesi più applicata è stata quella del differimento della procedura di rilascio. Le somme stanziate fino ad ora dallo Stato per il fondo in questione sono state di 35,73 milioni di euro per il 2014 e di 32,73 milioni di euro per il 2015 (stanziamento avvenuto nel marzo di quest’anno), cui si sono aggiunte altre risorse provenienti dalle Regioni, per un totale complessivo di 83,39 milioni di euro. Tuttavia questa somma è stata utilizzata solo in minima parte. Secondo i dati diffusi dal sottosegretario alle Infrastrutture Umberto Del Basso De Caro, infatti, degli 83,34 milioni di contributi disponibili, risultano assegnati alle Regioni solo 23,49 milioni e, di questi, sono stati distribuiti ai Comuni poco più di 12 milioni. A fronte di questo scarsissimo utilizzo del fondo, è invece aumentato in maniera esponenziale il numero degli sfratti per morosità, che nel 2014 ha visto un incremento del 5,3% rispetto al 2013, e addirittura del 47,8% rispetto al 2008. Ciò sta a significare che l’istituto volto a fronteggiare la c.d. morosità incolpevole e a ridurre il numero degli sfratti, così come congegnato, alla prova dei fatti ha dimostrato di non essere sufficiente né particolarmente efficace per contrastare il fenomeno dilagante della morosità degli inquilini e la conseguente emissione di provvedimenti di rilascio. Ma come si spiegano risultati così poco lusinghieri? C’è chi ritiene che vi sia soprattutto un problema di trasmissione dei dati relativi al numero degli sfratti da parte dei Comuni, dati sui quali le Regioni devono basarsi per poter erogare le somme. Se i dati non vengono trasmessi, i fondi distribuiti necessariamente sono esigui. Le associazioni degli inquilini attribuiscono, invece, la causa dell’insuccesso soprattutto ai criteri troppo rigidi previsti dalla normativa e chiedono al Governo di modificare, da un lato, i criteri di distribuzione dei fondi ai Comuni e, dall’altro, i requisiti previsti per accedere ai contributi da parte degli inquilini. Sostengono, infatti, che l’aver limitato il diritto alla contribuzione ai soli Comuni capoluogo di provincia e ad alta tensione abitativa abbia penalizzato tutti quei comuni che, pur non rientrando nella previsione normativa, presentano il problema della morosità incolpevole in misura addirittura superiore rispetto ad altri comuni destinatari dei contributi. Lamentano inoltre che i requisiti richiesti agli inquilini per accedere ai fondi siano troppo restrittivi, con conseguente esclusione di tanti inquilini ugualmente bisognosi. Noi riteniamo, invece, che lo strumento in questione si sia dimostrato carente e sostanzialmente fallimentare soprattutto perché non è in grado di offrire al locatore un incentivo tale da permettergli di procrastinare ulteriormente il rilascio del proprio immobile. Non a caso i fondi antimorosità hanno avuto più successo in quei comuni in cui l’incentivo economico per il locatore è stato più alto (pur sempre con il limite massimo degli ottomila euro), e soprattutto in quei comuni come Torino, Bologna, Modena, Reggio Emilia e altri dove le amministrazioni hanno coinvolto le associazioni dei proprietari e degli inquilini in vista dell’emissione del regolamento comunale in materia. Non va dimenticato, infatti, che il danno economico che il locatore subisce a seguito della morosità del proprio inquilino è enorme, e quando arriva a ottenere lo sfratto esecutivo, spesso il suo credito ha già raggiunto livelli altissimi (anche anni di morosità), per cui, per concedere ulteriore tempo all’inquilino moroso, avrebbe bisogno che almeno in parte la morosità pregressa venisse coperta, e non soltanto i mesi dell’ulteriore differimento. A questo proposito, il limite di 8mila euro previsto dalla legge appare eccessivamente basso. Per quanto riguarda, poi, la possibilità di stipulare un nuovo contratto con il proprio inquilino moroso, comportante la rinuncia pressoché totale al proprio credito, è abbastanza improbabile che il locatore accetti, considerato che, una volta giunti allo sfratto, di solito i rapporti con l’inquilino si sono ormai deteriorati. Chiediamo quindi al Governo di ripensare e rivedere questo strumento che, nelle intenzioni, si prefiggeva il pregevole scopo di ridurre il numero degli sfratti per morosità.