di Stefano Bellentani
Pubblicata il: 11 Gennaio 2014
La casa è il rifugio degli affetti, e un luogo fondamentale per lo sviluppo di ogni persona, e di ogni famiglia. Su questo non ci piove, ed è patrimonio comune. Non di rado, però, la casa è anche qualche cosa di più: ispira artisti, guida le loro creazioni e, spesso, per loro è particolarmente importante perché chi vive quasi sempre fuori casa, tra un albergo e l’altro, tra tournée e presentazioni, considera particolarmente prezioso il momento in cui apre la porta della propria abitazione e finalmente può riposarsi. Tra questi, lo scrittore e cantautore Francesco Guccini, 73 anni, nato a Modena ma bolognese d’adozione e residente a Pavana (nell’Appennino pistoiese, poco dopo il confine con quello emiliano), è tra gli artisti la cui produzione letteraria è stata più condizionata dalla propria abitazione. Basti pensare che una delle sue canzoni simbolo, che ha dato titolo anche all’album in cui è stata pubblicata, si chiama “via Paolo Fabbri 43”, che è addirittura il suo indirizzo di casa a Bologna, dove era andato ad abitare all’inizio degli anni Settanta. Una casa da cui usciva e rientrava solo a tarda notte, spesso accompagnato dagli amici. Ma la casa è un tema che rientra spesso nelle canzoni di Guccini: in “Piccola città”, dove racconta il suo rapporto di amore/odio per Modena, si ritrovano “le pietre sconosciute e le case diroccate da guerra antica” intorno a via Cucchiari 22, dove era nato. In “Il pensionato”, racconta del rapporto con un vicino di casa a Bologna, in una casa con le pareti sottili (“Lo sento da oltre il muro che ogni suono fa passare”), incontrato al mattino presto quando Guccini torna a casa dalla notte in osteria e l’anziano già è alzato (“Lo sento quando torno stanco e tardi alla mattina, aprire la persiana, tirare la tendina”) Ancora più netto il suo rapporto con il “mattone” in Radici, canzone intimista in cui cercando appunto di ritrovare il suo legame con gli avi (l’album in copertina mette non a caso una foto di famiglia), il cantautore arriva appunto a concludere “La casa è come un punto di memoria”. Non è quindi un caso se negli ultimi quindici anni, ormai persi molti punti di riferimento a Bologna, Guccini è tornato a Pavana, appunto dove stanno le sue radici. Addirittura, l’album con cui ha chiuso la sua carriera discografica, “L’ultima Thule”, è stato inciso nel mulino di famiglia, in quel paesino dell’Appennino pistoiese in cui conosce tutti e tutti lo conoscono, con le stanze trasformate, per qualche settimana in sala di registrazione.