di Carlo Cassoli
Pubblicata il: 17 Aprile 2015
Sono stati di recente pubblicati, a cura del CRESME, i dati relativi al grado di utilizzo delle detrazioni fiscali per le ristrutturazione edilizie e il recupero di efficienza energetica degli edifici. Si tratta di dati veramente significativi: nel 2014 le domande relative ai due bonus assommano a 1.680.000. È un incremento dello 0,7 % rispetto al 2013, anno nel quale si era realizzato un vero e proprio boom (+45,2% rispetto all’anno precedente). Tale incremento ha riscontro ovviamente nel volume di investimenti privati che sono stati originati: quasi 28,5 miliardi pari a 2 punti di PIL nel 2014 (+1,8% rispetto al 2013). Si calcola che questa mole di investimenti si sia tradotta nel 2014 in 283.000 occupati in edilizia ed in altri 425.000 nei settori dell’indotto. Riuso, ristrutturazioni edilizie valgono oggi circa il 70% dell’attività edilizia contro il 30% rappresentato da lavori per nuove costruzioni. Si può ben affermare che il peso crescente di questo settore debba molto alla politica delle detrazioni fiscali, che ha preso avvio con il Governo Prodi nel 1998 e che gli ultimi Governi hanno avuto il merito di intensificare. ((Da ultimo con la decisione del Governo Renzi di prorogare fino al 31/12/2015 le attuali detrazioni al 50% e al 65%). Sono più di 11 milioni gli interventi incentivati attraverso questa politica dal suo avvio ad oggi. Si tratta quindi di un ottima scelta politica che noi pensiamo vada continuata e, in qualche maniera, diventare una scelta permanente. Le detrazioni che per lo Stato costituiscono un costo, sono in gran parte compensate dalle entrate fiscali generate da lavori che in altro modo non sarebbero realizzati; al tempo stesso si incentiva la riqualificazione edilizia ed energetica del nostro patrimonio immobiliare, con benefici evidenti. Si può immaginare una evoluzione di questa politica? Noi pensiamo di sì, almeno in due direzioni: In primo luogo, occorrerebbe allargare la politica delle detrazioni fiscali (e magari accompagnarla ad altre forme di incentivazione) alle politiche di riqualificazione di intere aree urbane, non solo di singoli edifici. In questo caso evidentemente le incentivazioni fiscali dovrebbero chiamare in causa anche la fiscalità locale (IMU e TASI). Il tema della riqualificazione urbana ha scontato in questi anni un significativo e colpevole ritardo che và colmato al più presto. La seconda direzione riguarda i cosiddetti ‘incapienti’ o comunque quei proprietari di immobili con un reddito talmente modesto da rendere poco attraenti gli incentivi fondati sulle detrazioni. Il problema è sempre più rilevante nei condomini. Il tasso di morosità crescente anche relativamente alle spese condominiali, l’impossibilità di quote crescenti di condomini di farsi carico di spese anche necessarie ed obbligate, che si traduce in ritardi o in impossibilità di deliberare, impone un ragionamento sulla necessità di immaginare forme di sostegno diretto, magari sotto forma di credito agevolato o garantito per chi non è in condizione di farcela da solo e e finisce per ritardare o bloccare importanti opere di riqualificazione edilizia o energetica. Il Governo ha dato prova di credere nella efficacia degli incentivi come forte misura anticiclica, a costi relativamente ridotti. Ne sono una prova due notizie degli ultimi giorni: la prima riguarderebbe l’intenzione da parte del Ministero dei Beni Culturali di incentivare un piano di recupero delle fcciate degli edifici attraverso detrazioni fiscali stabilite ad hoc; la seconda, riguarda l’annuncio dato dal Presidente del Consiglio al recente Salone del Mobile, di una prosecuzione, oltre i termini stabiliti, del bonus mobili ed elettrodomestici assicurato agli acquisti compiuti nell’ambito di ristrutturazioni edilizie. Benissimo, ci auguriamo che il Governo rifletta anche sulle proposte che qui sono intese avanzare.