Anche Airbnb dovrà pagare la cedolare secca

Pubblicata il: 04 Marzo 2019

Il tar lazio Il TAR Lazio boccia il ricorso presentato dalla società americana d’intermediazione immobiliare

Airbnb è un servizio online che mette in contatto persone in cerca di un alloggio o di una camera per brevi periodi, con altre persone che dispongono di uno spazio extra da affittare, generalmente privati.

Airbnb è attualmente il portale leader mondiale nell’attività di intermediazione immobiliare telematica. Un’attività in continua crescita anche in Italia, dove la piattaforma ha totalizzato 360mila annunci e 8 milioni di arrivi nel 2017 (Fonte: Il Sole24ore).

Il rifiuto di versare la cedolare secca

Nel nostro Paese, Airbnb si trova “a fare i conti” con la nuova normativa fiscale sugli affitti brevi, introdotta dal D.L. 24 aprile 2017, n.50, che impone a chi affitta una casa, anche su piattaforme online, di pagare la cosiddetta “cedolare secca”.

È obbligo dell’intermediario (anche online) di intascare e girare direttamente all’Agenzia delle Entrate il 21% di ogni transazione. Obbligo che Airbnb si è finora rifiutato di adempiere, impugnando davanti al TAR del Lazio il provvedimento dell’Agenzia delle Entrate n. 132395/2017 del 12 luglio 2017, che ha dato attuazione alle nuove norme.     Un rifiuto che ha avuto come conseguenza il flop del gettito fiscale previsto. Si calcola che, degli 83 milioni attesi già nel 2017 nella casse pubbliche, ne sono entrati soltanto 19; e nel 2018 – di cui mancano i dati ufficiali – potrebbe essere andata ancora peggio visto che il gettito atteso era di 139 milioni.

La legge ricomprende espressamente tra i soggetti che esercitano attività di intermediazione, anche “i soggetti che gestiscono portali telematici”. È chiaro quindi il riferimento a Airbnd ed agli altri portali concorrenti. Non a caso, alcuni hanno ribattezzato la nuova normativa “tassa airbnb”.

La normativa, inoltre, prevede che chi svolge attività d’intermediazione immobiliare o gestisce portali telematici, se residente in Italia o ivi avente una stabile organizzazione, dovrà operare come sostituto d’imposta. Nel caso in cui il medesimo soggetto non risieda in Italia e sia riconosciuto privo di una stabile organizzazione, lo stesso sarà tenuto a nominare un rappresentante fiscale per adempiere agli obblighi fiscali in qualità non già di sostituto d’imposta, bensì di responsabile d’imposta (art. 4, commi 5 e 5-bis, d.l. n. 50/2017).

Perché Airbnb non vuole la cedolare secca?

Secondo Airbnb, la normativa italiana «punisce chi non usa il contante». Il rischio, per il gruppo, è che molti host – come vengono definiti i proprietari di case – lascino Airbnb per approdare su piattaforme in cui è più facile pagare in contanti. Si tratta di adempimenti propri del sostituto d’imposta che, secondo gli avvocati di Airbnb, non le competono e, inoltre, violerebbero la gestione dei dati e della privacy. Per la società, inoltre, il provvedimento dell’Agenzia delle Entrate produrrebbe effetti distorsivi della concorrenza (rischio di perdita di clientela a favore di altri concorrenti), derivanti dall’imposizione degli obblighi di versamento della ritenuta in esame.

La decisione del TAR: anche Airbnb dovrà riscuotere la cedolare secca

Il TAR Lazio, con la sentenza n. 2207 del 18 febbraio 2019, ha bocciato il ricorso.

Secondo i giudici amministrativi, non c’è alcun pericolo di generare un effetto distorsivo a favore degli intermediari che non intervengono nel pagamento delle provvigioni. Questa tendenza «non risulta, sulla base dei dati messi a disposizione del Collegio».

L’adempimento non va contro il principio di tutela della concorrenza, perché «laddove i soggetti non residenti e non stabiliti che operano come intermediari fossero stati sottratti al regime imposto invece ai soggetti residenti, ciò si sarebbe tramutato in un illegittimo vantaggio competitivo». Inoltre, è ragionevole che questi adempimenti siano stati posti in capo a soggetti come Airbnb, perché questi «si trovano ad avere la materiale disponibilità di dette somme». E non è possibile sostenere che «lo Stato avrebbe dovuto rinunciare a tale strumento di esazione, che garantisce un gettito sicuro».

Airbnb ha già annunciato ricorso al Consiglio di Stato

Condividi sui social