Valida la vendita dell’immobile anche se l’immobile è difforme dal titolo urbanistico – Le Sezioni Unite della Cassazione intervengono a sanare il contrasto giurisprudenziale

Pubblicata il: 21 Giugno 2019

Valida la vendita dell’immobile anche se l’immobile è difforme dal titolo urbanistico

Le Sezioni Unite della Cassazione intervengono a sanare il contrasto giurisprudenziale

 

Partiamo dalla fine: gli atti di trasferimento di immobili difformi da quelli descritti nel titolo urbanistico sono validi a condizione che gli estremi del titolo menzionati nell’atto siano reali (ovvero non mendaci) e riferibili a quell’immobile, mentre non costituisce motivo di nullità la conformità o difformità dell’immobile rispetto al titolo menzionato.

Le Sezioni unite civili della Cassazione con la recentissima decisione del 22/03/2019, n. 8230 sono intervenute a sanare il contrasto nella giurisprudenza di legittimità relativamente alla interpretazione della natura della sanzione di nullità prevista dalla L. n. 47 del 1985, artt. 17 e 40, e art. 46 del T.U. 380/2001 entrato in vigore il 30.6.2003 (l’originaria data di entrata in vigore del 30.6.2001 è stata prorogata più volte, fino al DL 122/2002, art. 2, comma 1, convertito con modificazioni dalla L. 185/2002 che da ultimo ha previsto l’entrata in vigore per la data del 30.06.2003)

La Cassazione, dopo un ampio excursus storico degli interventi normativi statuali in materia edilizia e delle tesi formaliste e sostanzialiste in materia di nullità, fonte del contrasto esegetico (la tesi sostanzialista è stata formalizzata con la sentenza 23591/2013 – che ha affermato che un immobile irregolare dal punto di vista urbanistico è incommerciabile attesa la nullità assoluta degli atti di trasferimento che dovessero riguardarlo), è venuta elaborando la categoria della nullità “testuale”, che postula la validità dell’atto di trasferimento di diritti reali relativi ad edifici abusivi, in presenza di una dichiarazione reale e riferibile all’immobile a prescindere dal profilo della conformità o della difformità della costruzione realizzata al titolo abilitativo.

Questo perché il profilo della conformità urbanistica esula dal perimetro della nullità, in quanto non previsto dalle disposizioni che la comminano, e tenuto conto del condivisibile principio generale, affermato in numerose altre decisioni della Corte, secondo cui le norme che, ponendo limiti all’autonomia privata e divieti alla libera circolazione dei beni, sanciscono la nullità degli atti, debbono ritenersi di stretta interpretazione e non possono essere applicate, estensivamente o per analogia, ad ipotesi diverse da quelle espressamente previste.

Le Sezioni Unite, a soluzione del contrasto, hanno dunque così affermato i seguenti principi di diritto:

“La nullità comminata dall’art. 36 del DPR 380/2001 e dalla L. n. 47 del 1985, artt. 17 e 40, va ricondotta nell’ambito dell’art 1418 c-c- comma 3 (“il contratto è altresì nullo nei casi stabiliti dalla legge”) di cui costituisce una specifica declinazione, e deve qualificarsi come nullità “testuale”, con tale espressione dovendo intendersi, in stretta adesione al dato normativo, un’unica fattispecie di nullità che colpisce gli atti tra vivi ad effetti reali elencati nelle norme che la prevedono, volta a sanzionare la mancata inclusione in detti atti degli estremi del titolo abilitativo dell’immobile, titolo che, tuttavia, deve esistere realmente e deve esser riferibile, proprio, a quell’immobile”

“In presenza nell’atto della dichiarazione dell’alienante degli estremi del titolo urbanistico, reale e riferibile all’immobile, il contratto è valido a prescindere dal profilo della conformità o della difformità della costruzione realizzata al titolo menzionato“.

Il principio affermato dalla Corte è di estrema importanza e risolve uno dei temi più delicati relativo alle operazioni commerciali sui beni immobili. La tesi c.d. “sostanzialista”, che sanciva la nullità delle transazioni immobiliari, alla stregua della normativa di cui agli artt. 17 e 40 della legge 47/85 e dell’art. 46 DPR 380/2001, rappresentava un rilevante ostacolo alla compravendita di beni immobili non conformi al titolo, perché costringeva i professionisti del settore immobiliare, l’acquirente ed il notaio rogante di accertarsi della c.d. regolarità urbanistica del bene, ovvero della conformità reale del bene a quello descritto nelle planimetrie allegate alla richiesta del titolo abilitativo, al fine di garantire la commerciabilità del bene e quindi la validità della vicenda traslativa. Ciò al fine di evitare all’acquirente il rischio di subire le eventuali azioni restitutorie del venditore ed una sensibile riduzione del valore dell’investimento realizzato; al notaio le responsabilità professionali e disciplinari discendenti dalle norme contenute nella legge professionale del 1913.

Questa nuova sentenza della Corte di legittimità interviene efficacemente sul tema e scioglie un nodo importante, capace peraltro di incidere sul principio della continuità delle trascrizioni di cui all’art. 2560 c.c., assicurando la commerciabilità giuridica del bene immobile e rendendo peraltro più agevole il compito dei notai e dei professionisti del settore.

Riassumendo, alla luce della sentenza delle Sezioni Unite di cui ci stiamo occupando, un bene immobile è incommerciabile ed il relativo atto di trasferimento è nullo se:

1) il venditore non dichiari in atto in forza di quale titolo è stato costruito l’immobile che intende alienare;

2) il venditore dichiari che l’immobile è stato costruito in forza di titolo abilitativo che poi si dimostri inesistente o riferito ad un fabbricato diverso da quello venduto.

L’atto, pertanto, verificata l’insussistenza delle due condizioni, resta valido anche se poi si dimostri che il manufatto sia stato realizzato in maniera difforme rispetto a quanto previsto dal titolo stesso. Ciò, evidentemente, lascia immutata la questione della regolarità urbanistica del bene immobile, il quale, laddove si rivelasse difforme rispetto al titolo urbanistico, resterebbe soggetto, senza limitazioni di tempo, all’azione repressiva della pubblica amministrazione, fatta salva la possibilità di sanatoria della difformità in forza della normativa vigente (in particolare il già citato art. 36 DPR 380/2001 – t.u. edilizia e delle altre norme applicabili alle fattispecie concrete).

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