Pubblicata il: 03 Ottobre 2022
Si tratta di associazioni tra cittadini, pubbliche amministrazioni locali, attività commerciali e/o piccole medie imprese che nascono per produrre e condividere energia rinnovabile.
Con il termine “comunità energetica rinnovabile” si indica un’associazione tra cittadini, amministrazioni locali, attività commerciali e/o piccole medie imprese che nasce per produrre e condividere energia rinnovabile, in modo da abbattere i costi e ridurre le emissioni di CO2 e lo spreco energetico. Chi ne fa parte può dotarsi di uno o più impianti condivisi per la produzione e l’autoconsumo di energia da fonti rinnovabili. Non è per forza necessaria la presenza di una persona giuridica per dare vita a una comunità energetica rinnovabile. Anche gli abitanti di uno stesso quartiere possono formarne una, se lo desiderano.
Le comunità energetiche rinnovabili sono state introdotte in Italia tramite la conversione in legge del decreto Milleproroghe 162/2019. Sono state previste per la prima volta tramite la direttiva Europa RED II (2018/2001/Ue).
Come si forma una comunità energetica rinnovabile?
Per dare vita a una comunità energetica rinnovabile, i soggetti interessati devono innanzitutto trovare un’area adatta nella quale installare l’impianto di produzione, chiaramente abbastanza vicina da soddisfare le necessità di tutti i consumatori coinvolti. Spesso gli spazi più adatti sono i terreni industriali in disuso, perché rispettano i requisiti necessari in termini di dimensione, collocazione e destinazione prescritti dalla normativa vigente. L’energia elettrica prodotta tramite l’impianto viene condivisa a tutti i membri della comunità energetica rinnovabile tramite la rete di distribuzione elettrica esistente.
L’impianto deve essere di proprietà della comunità? Non per forza, può anche venir messo a disposizione da un soggetto terzo.
La comunità energetica rinnovabile è a tutti gli effetti un soggetto giuridico e può essere costituita tramite un semplice contratto registrato presso l’Agenzia delle Entrate. Poiché ha finalità diverse dal profitto, nella maggior parte dei casi viene equiparata a una cooperativa o a un’associazione non riconosciuta. In quest’ultimo caso i costi gestione sono piuttosto bassi e gli obblighi di organizzazione sono relativamente semplici.
Gli incentivi previsti
La legge consente alle comunità energetiche rinnovabili con un impianto attivo di chiedere degli incentivi al Gestore dei Servizi Energetici (GSE). Sono riconosciuti solo per l’energia condivisa all’interno della comunità, ossia quella consumata dai membri nella stessa fascia oraria di produzione. Nel caso in cui venga prodotta più energia di quella consumata, alla comunità viene riconosciuto solamente il valore economico dell’energia, senza ulteriori benefici.
Anche se la legge sulle comunità energetiche non fa riferimento specifico alla tecnologia da adottare, la soluzione più adatta è rappresentata dal fotovoltaico, perché permette di sfruttare appieno i vantaggi previsti dal provvedimento.
Volendo, l’energia prodotta può essere immagazzinata in sistemi di accumulo (di solito vengono utilizzate le batterie elettrochimiche agli ioni di litio) per essere utilizzata quando non è possibile ricorrere alle fonti rinnovabili o in altre situazioni di necessità.
Le comunità energetiche rinnovabili hanno un impatto bassissimo sull’ambiente, perché non emettono CO2 e sono a chilometro zero. Pertanto permettono di evitare ogni possibile spreco di energia. Ci sono dei vantaggi anche dal punto di vista del risparmio. È vero che ogni singolo membro continua a pagare per intero la bolletta al proprio fornitore di energia, ma riceve anche dalla comunità un importo per la condivisione dei benefici garantiti. In buona sostanza, il denaro speso per i consumi energetici si riduce. Non mancano dei benefici sociali, soprattutto considerando che queste realtà favoriscono lo sviluppo di un indotto produttivo locale e la crescita di nuova occupazione.
Bisogna anche considerare il fatto che la maggior parte delle comunità energetiche rinnovabili realizza i propri impianti in terreni industrializzati inutilizzati, dando loro una nuova utilità e promuovendo l’economia circolare. Inoltre, le piccole e medie imprese possono essere coinvolte nelle attività di sviluppo, realizzazione, esercizio e manutenzione degli impianti rinnovabili. Ciò favorisce il tessuto industriale del territorio e genera nuova occupazione.